Nel cinquantesimo anniversario della nascita di Internet, gli studenti del college avventista inglese hanno dialogato con Andrew Graystone della Bbc.
Notizie Avventiste – In un’epoca in cui più della metà delle persone nel mondo ha accesso a Internet, qual è l’effetto dell’era digitale sulla nostra umanità? È stata questa la domanda fondamentale posta alla Beach Lecture del 2019, tenuta presso il Newbold College, istituzione avventista inglese, martedì 8 ottobre. Ospite Andrew Graystone, produttore e giornalista della Bbc, analista dei media, consulente e scrittore, che ha iniziato il suo intervento con una panoramica dei vari progressi tecnologici e delle prospettive future del digitale. Proprio 50 anni fa, il 29 ottobre del 1969, avveniva la prima trasmissione tra due computer. I tecnici riuscirono a trasmettere solo le lettere “Lo”, prima che il sistema cedesse, ma fu l’inizio di un’avventura ripresa nel 1989 e proseguita dagli anni ’90 fino a oggi.
“Graystone ci ha ricordato che la tecnologia non è neutrale, gli strumenti che usiamo ci cambiano, infatti tendiamo ad adattare le nostre domande per adeguarle alle risposte che la tecnologia può fornire” spiega Helen Pearson, una partecipante alla conferenza, sul sito TedNews.
Tra le domande poste ai presenti dal relatore, la più seria riguardava la tendenza a usare le macchine come strumenti di misurazione. “Fitbit può misurare i passi ma non sarà mai capace di misurare quanto sei stato gentile o quanto ti sei sentito amato. Finiamo per dire che poiché queste cose non possono essere quantificate non sono importanti?” ha chiesto.
Graystone ha incoraggiato a pensare non tanto all’ingegnosità della tecnologia bensì alla cultura che essa crea: una cultura che tende a “disincarnare” le persone, creando vari tipi di “avatar”. Le numerose imprese, come banca, compagnia elettrica, negozi, sono tutte interessate a caratteristiche diverse che non riguardano “le persone in carne e ossa quali siamo”.
Collasso del contesto e postumanità
Il “collasso del contesto” diventa così una delle principali caratteristiche dell’essere umano nell’era digitale: a differenza di un oggetto fisico, per esempio un libro, “le informazioni digitali possono viaggiare su grandi distanze e arrivare nelle stesse esatte condizioni in cui sono state inviate. Possono restate per mesi o anni in un dispositivo di archiviazione e quando vengono riaperte appaiono esattamente le stesse, indipendentemente dalla proprietà, dal tempo o dalla geografia”.
Ha quindi suggerito che Internet incoraggia la perdita di distinzione tra chi crea e ciò che viene creato, tra soggetto e oggetto. Siamo tutti facilmente manipolabili da algoritmi, e questa attività disumanizzante viene svolta in uno spazio in cui ci sono “enormi interessi commerciali e politici in gioco, che vanno ben oltre i confini degli stati geografici”.
La conferenza è proseguita con una discussione complessa e affascinante su quale tipo di umanità una macchina altamente funzionante potesse avere. Graystone ha parlato della possibilità che esseri umani e macchine creino una forma di quella che si potrebbe definire “postumanità”. Sebbene sia ancora una mera congettura, rimane comunque nel vicino orizzonte dello sviluppo umano. Fanno riflettere le implicazioni della disumanizzazione alla luce dell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo che è venuto “al momento giusto”e in un luogo fisico, il cosiddetto “scandalo della particolarità”. L’incarnazione è “in contrasto con la cultura digitale in cui nulla è particolare e nessun atomo è mai più importante di un altro”.
La penultima sezione della conferenza ha affrontato le sfide pratiche e pastorali della chiesa nella cultura digitale. “Poiché la nostra comprensione di ciò che è ‘reale’ e di ciò che è virtuale è scossa dalla nuova tecnologia, i cristiani dovranno pensare a nuovi modi di incontrarsi, organizzarsi e comunicare il vangelo” ha affermato il relatore.
Tre domande
Graystone ha concluso ponendo tre domande impegnative:
– “In che modo una chiesa costruita interamente attorno alla geografia potrà cavarsela in un’epoca in cui le comunità non geografiche sono la norma?”;
– “In che modo una chiesa che è quasi interamente guidata dal testo comunicherà in un’epoca dominata dai simboli?”;
– “Cosa ha da dire la religione dell’Incarnazione a una cultura che relativizza il corpo umano?”.
I sette principi lasciati da Graystone
Infine ha condiviso i suoi “sette principi di impegno cristiano nell’ambiente digitale”.
1. Singolarità della personalità. Dobbiamo predicare la singolarità della personalità in quanto obiettivo della santità cristiana. La santità richiede che non mi comporterò in un modo in privato e in un altro in pubblico, o in un modo online diverso da quello in cui mi comporterei off-line. Sono una persona alla quale Dio si riferisce.
2. Umanizzare le relazioni digitali. Dovremmo cercare continuamente di umanizzare la relazione tra chi crea contenuti e chi li consuma. Dovremmo respingere l’idea che l’autoespressione digitale sia fine a se stessa, riaffermando la responsabilità del creatore di contenuti nei confronti del consumatore. Ciò potrebbe essere considerato come una sorta di equivalente digitale del “commercio equo e solidale”.
3. Educazione. Dovremmo impegnarci in un ampio processo di “coscientizzazione” che consenta ai produttori di contenuti e ai consumatori di comprendere le dinamiche di potere dell’ambiente digitale e, per quanto possibile, di assumere il controllo della propria presenza nell’ambiente digitale.
4. Autorità e apertura. Dovremmo respingere l’uso di pseudonimi e ripudiare la dottrina secondo cui il segreto produce sicurezza online. Dovremmo invece assicurarci che ogni espressione della nostra identità digitale sia “firmata” in modo che sia rintracciabile direttamente con la nostra realtà personificata.
5. Giustizia digitale. Dovremmo proteggerci dalla preminenza dell’identità delle persone come consumatori. Nelle questioni politiche, come la disponibilità della banda larga superveloce o l’accesso mobile, dovremmo discutere per un trattamento preferenziale a favore dei poveri, per evitare che si disumanizzino diventando oggetti in ogni relazione digitale.
6. Missione e servizio. Dobbiamo riconoscere che i nostri “vicini” ora includono 1,8 miliardi di persone che sono online e 4,8 miliardi che sono accessibili tramite telefono cellulare, senza dimenticare l’impatto che la comunità digitale ha sui 2 miliardi o più di coloro che finora non hanno accesso a queste tecnologie.
7. Priorità della persona vera. Dobbiamo affermare che le persone che incontriamo realmente, con le quali condividiamo case, strade o pane e vino, rimarranno sempre la nostra comunità principale.
La conferenza è disponibile sulla pagina Facebook del Newbold College of Higher Education.
Graystone ha recentemente pubblicato un libro sul tema della conferenza, dal titolo Too Much Information? Ten Essential Questions for Digital Christians.
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[Foto e fonte: TedNews]