Riflessioni di Antonio Monteiro sulla sua detenzione in Togo
18 Febbraio 2014
Riflessioni di Antonio Monteiro sulla sua detenzione in Togo
18 Febbraio 2014

N7-Monteiro_intervistaPrima intervista al pastore avventista dopo il suo rilascio

Notizie Avventiste – Il ministro di culto della Chiesa avventista del 7° giorno, Antonio Monteiro dos Anjos, era stato arrestato e rinchiuso nella prigione di Lomé, in Togo, il 15 marzo 2012. Dopo 22 mesi, l’uomo, nativo di Capo Verde, è stato dichiarato innocente dalla Corte d’Appello del Togo e rilasciato il 13 gennaio 2014 . Migliaia di avventisti, amici e difensori dei diritti umani di tutto il mondo hanno gioito per la sua liberazione. Restano ancora in carcere tre persone accusate nello stesso caso, tra le quali Bruno Amah, membro della chiesa avventista.

Delbert Baker, vicepresidente della Chiesa avventista mondiale, ha incontrato la famiglia Monteiro in Senegal, dove  il pastore ha trascorso il primo sabato di libertà, e li ha accompagnati nella loro casa a Capo Verde. Ha quindi rivolto alcune domande ad Antonio Monteiro sull’esperienza vissuta.

Delbert Baker: Come riassumi, in breve, l’esperienza che hai vissuto negli ultimi due anni circa?
Antonio Monteiro: Ho aiutato un uomo che non avevo mai visto prima, il quale era venuto nel mio ufficio per chiedere assistenza. Qualche tempo dopo quell’uomo, nei guai con la polizia, ha accusato me e gli altri di un crimine di cui non sapevo nulla ed ero completamente estraneo. In seguito a queste false accuse sono stato arrestato e detenuto ingiustamente in carcere. Mi è sembrato che il cielo mi fosse caduto addosso. Nell’ultima predicazione prima dell’arresto, avevo parlato della rinascita personale e del camminare con Dio. Non sapevo ancora quanto bisogno avrei avuto di credere e seguire i principi biblici che avevo predicato. La mia fede è stata messa alla prova, ma Dio mi ha sostenuto.

D. B.: Quali emozioni hai provato nel sentire il verdetto che ti dichiarava innocente?
A. M.: Ero grato, sollevato e contento. Ricordo che mentre il giudice leggeva la sentenza pronunciando tutti i termini giuridici, le due guardie che mi stavano accanto mi hanno detto: “Pastore, è libero!”. È stato un momento emozionante e pieno di gioia.

D. B.: Le accuse e il tempo trascorso in prigione ti hanno mai reso rabbioso e triste?
A. M.: No. Non ero arrabbiato o amareggiato. Sapevo che le accuse contro di me erano prive di fondamento e che ero vittima di un’ingiustizia. In un primo momento mi chiedevo: “Perché accade proprio me?”. Poi ho cominciato a chiedermi:” Che cosa vuole Dio che impari da questa situazione?”. Ho quindi deciso di non perdere tempo a essere negativo, ma di fare si questa esperienza un’occasione di crescita.

D. B.: E gli altri che sono stati accusati con te e non sono stati liberati?
A. M.: Qualcuno mi ha detto, e ci credo, che in carcere avevo una missione. Non avrei lasciato la prigione prima di compierla. Era vero per me e lo è per gli altri. Prima di lasciare il carcere ho detto al fratello [Bruno] Amah, che stimo e credo innocente, e agli altri credenti, di continuare il lavoro che abbiamo iniziato. Prego ancora che lo stesso Dio che ha operato con noi in passato, continuerà a farlo con loro.

D. B.: Puoi descrivere una giornata tipica in carcere?
A. M.: Ho vissuto in una prigione costruita per 500 detenuti, ma eravamo stipati in quasi 2.000. Nella mia cella eravamo in 25-28 uomini, senza finestre o aria condizionata. Ci alzavamo presto al mattino. Trascorrevo dei momenti in preghiera e leggendo la Bibbia, poi uscivo in cortile. Il cibo era ritenuto da molti immangiabile. Naturalmente ci erano negate le libertà fondamentali. Alle 17.30, le guardie ci chiudevano in cella e non si poteva uscire né sarebbero più venuti fino alle 6.00 del mattino seguente. Dormivamo su stuoie sul pavimento duro e c’era un grosso secchio al centro della stanza che tutti usavano come toilette. Non c’era alcuna privacy. Le condizioni di vita non erano buone. C’era il rischio di contrarre malattie e che scoppiassero scontri. Tuttavia, sono stato benedetto per il fatto che gli altri prigionieri mi hanno rispettato e non mi sono mai ammalato.

D. B.: Ha ricevuto visite in prigione da tante persone. Che cosa hanno significato?
A. M.: Sicuramente sono state incoraggianti. Ora capisco meglio ciò che la Bibbia intende quando invita a visitare le persone che sono in carcere. Ogni visita è stata una dimostrazione di affetto e sostegno.

D. B.: C’è qualche lezione che hai imparato da questa esperienza?
A. M.: Ci sono molte lezioni che ho imparato mentre ero in prigione. In primo luogo, non avere rancore e perdonare. C’era la tentazione di essere arrabbiato per come sono stato trattato, ma anche Gesù è stato maltrattato e accusato ingiustamente. Quindi ho deciso di perdonare e non avere alcun risentimento. Ecco perché ho potuto relazionarmi gentilmente con l’uomo che mi ha accusato e che era nel mio stesso carcere. In secondo luogo, accettare senza rinunciare. Non sapevo quello che mi avrebbe riservato il futuro, ma ho accettato il mio stato di prigionia. Credevo che sarei stato liberato a un certo punto, però non sapevo dove e come sarebbe accaduto. In terzo luogo, la compassione e la generosità. In carcere c’è sempre bisogno di aiutare le persone e l’ho fatto ogni volta che era possibile. Ho cercato di portare la pace e la riconciliazione quando c’erano litigi tra i detenuti. Soprattutto, quando le persone erano disposte, ho condiviso il Vangelo. In quarto luogo, fiducia costante in Dio. Ho continuato a credere che Dio era in prigione con me. Non avrei gettato la spugna. Infine, utilizzare il tempo con saggezza. Lo avevo nelle mie mani; potevo sprecarlo oppure usarlo per crescere mentalmente e spiritualmente. Ho letto la Bibbia e dei libri, ho pregato, scritto un diario, sviluppato sermoni. Ho potuto predicare, insegnare e consigliare gli altri. Ho cercato di usare il tempo in modo costruttivo.

D. B.: Hai parlato di perdonare chi ti ha accusato falsamente. Come sei riuscito a esercitare il ministero del perdono?
A. M.: Le persone mi hanno visto trattare bene e con gentilezza il mio accusatore e volevano sapere come ci sono riuscito. Questa dimostrazione vivente di perdono mi ha permesso di testimoniare. Il carcere è diventato un posto più tranquillo. I detenuti dicevano: “Non possiamo scontrarci come al solito dato che in giro c’è il pastore Monteiro” (ride). L’esempio del perdono è potente e contagioso.

D. B.: Avete realizzato anche attività di sensibilizzazione?
A. M.: Sì, arrivato in carcere, mi hanno presentato come pastore avventista e mi hanno chiesto di predicare. Poi abbiamo organizzato momenti di preghiera e gruppi di studio della Bibbia. Abbiamo anche organizzato il “Pray for Togo Day”, in cui per la prima volta musulmani, cattolici, protestanti e persone di altre religioni si sono riuniti in amicizia per pregare per il Togo e per i suoi leader. Queste attività hanno creato unità nel carcere.

D. B.: Quale messaggio vorresti condividere con coloro che, in tutto il mondo, hanno pregato per te e per la tua liberazione?
A. M.: Voglio dire a tutti grazie, grazie, grazie. Sono grato per l’affetto, il sostegno e le preghiere durante il periodo della mia detenzione. Le parole non potranno mai esprimere pienamente la mia gratitudine.

 

 

 

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