Siria, il Paese delle crisi che si sovrappongono
22 Febbraio 2023

Dopo oltre un decennio di guerra civile, durante il quale sono morte più di 300.000 persone, è arrivata una nuova crisi. La gente scava ancora tombe, stavolta per gli adulti e per i bambini che sono riusciti a sopravvivere alla guerra. “Perché siamo soli?”, il grido di chi resta.

Carmen Lăiu – Si potrebbe pensare che, dopo 12 anni di guerra, i siriani abbiano visto e sperimentato tutto, dai bombardamenti che hanno fatto esplodere le loro case, le scuole e gli ospedali, alla carenza di acqua e di elettricità. Tuttavia, il terremoto che ha colpito il nord-est della Siria ha lasciato dietro di sé ancora più sofferenza. Molti hanno assistito impotenti alle grida di aiuto dei loro cari, senza squadre di soccorritori o mezzi per rimuovere gli strati di macerie.

"Come la fine dei tempi" 
"Questi sono i giorni più tragici che ho visto in tutta la mia vita", ha detto il dott. Nehad Abdulmajeed, che pensava di aver già visto tutto. Racconta di come le persone arrivano in ospedale portando i corpi senza vita dei loro cari, per i quali i medici non possono fare altro che piangere. E lo stesso Abdulmajeed confessa di aver pianto per tutti i bambini che sono riusciti a sopravvivere alla guerra per poi essere uccisi dal terremoto.

"È improbabile che un solo bambino sia uscito indenne, fisicamente o psicologicamente, dalle aree devastate dal terremoto", ha dichiarato il portavoce dell’Unicef, Joe English. Secondo il funzionario dell’organizzazione, la Siria vive un trauma che va ad aggiungersi ad altri. English ha affermato che al momento non ci sono dati sul numero di bambini che sono stati salvati o sono stati vittime del terremoto.

Le conseguenze del terremoto assomigliano alla fine dei tempi, riporta il giornalista Mohamad Kazmooz che ha trascorso le prime 12 ore dopo il sisma aiutando il gruppo di soccorso dei Caschi Bianchi a rimuovere i corpi da sotto gli edifici crollati del suo quartiere.

Kazmooz racconta che Idlib, la città in cui vive, non può affrontare un altro disastro, dopo anni di guerra, siccità e fame. Si è rifugiato con la sua famiglia in una fattoria e ora dormono sotto alcuni ulivi. Nessuno dei suoi conoscenti è tornato a dormire nella propria casa e il giornalista ritiene che l’80% della popolazione della città abbia troppa paura per tornare nelle loro abitazioni. Anche se non tutte le costruzioni sono crollate, la gente teme di rifugiarsi negli edifici che sono stati scossi dai bombardamenti, dal terremoto e dalle sue scosse di assestamento. Nemmeno i freddissimi giorni d’inverno riescono a convincerli.

La notte del terremoto, alcuni hanno pensato che si trattasse di barili bomba lanciati da un elicottero. Tra loro c’è Ismail Alabdullah, un uomo di 36 anni che è corso a mettere al riparo suo figlio. È un volontario dei Caschi Bianchi nel villaggio di Sarmada e dice che vivono un’esperienza molto diversa da quelle precedenti. Sono abituati a tirare fuori le persone da sotto le macerie, ma ora assistono impotenti alla morte di coloro che sono sepolti sotto gli edifici, perché non hanno l’attrezzatura necessaria per salvarli.

Stretti tra il regime di Damasco e i gruppi militanti che controllano la regione, i siriani del nord-ovest del Paese (sono circa 4,5 milioni) si trovavano già in una situazione insostenibile: vivono sotto la minaccia di attacchi aerei e combattimenti a terra, e il 90% di loro dipende dagli aiuti per sopravvivere.

Il gruppo di soccorso dei Caschi Bianchi ha annunciato venerdì la fine delle operazioni di ricerca e salvataggio nelle regioni controllate dai ribelli perché ritiene che "nessuno intrappolato sotto le macerie sia ancora vivo". I Caschi Bianchi hanno salvato e soccorso 2.950 feriti nelle aree controllate dall’opposizione nelle province di Idlib e Aleppo, ma la loro missione è stata ostacolata dalla mancanza di carburante per le loro macchine, di attrezzature tecniche moderne e dalla "mancanza di aiuti e supporto internazionale".

"Non capiamo. Perché siamo soli?", chiede Mahmoud Hafar, sindaco di Jinderis. La domanda è diventata il doloroso leitmotiv di un’analisi che contrappone gli aiuti ricevuti dalla Turchia (con un gran numero di camion che hanno bloccato le strade, trasportando aiuti che vanno dagli escavatori ai prodotti di prima necessità, aumentando così le possibilità di soccorso) al silenzio della città di Jinderis, dove, per un po’, si sono sentite solo le urla di chi era sepolto sotto le macerie.

La necessità di sostenere la Siria 
Fino a 5,3 milioni di persone rischiano di rimanere senza casa dopo il terremoto in Siria, ha dichiarato Sivanka Dhanapala, rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) in Siria.

La carenza delle forniture idriche e delle infrastrutture igienico-sanitarie in alcune zone della Siria unita al terremoto potrebbero aggravare i focolai di colera e morbillo già esistenti, ha messo in guardia Rick Brennan, direttore regionale delle emergenze dell’ufficio dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) per il Mediterraneo orientale.

Le spedizioni di aiuti umanitari sono state ostacolate dai conflitti che devastano la Siria da oltre un decennio. Il primo convoglio delle Nazioni Unite ha impiegato quattro giorni per passare dalla Turchia alla Siria nord-occidentale. Sabato è atterrato a Beirut il primo carico di aiuti europei per la Siria: 30 tonnellate di aiuti umanitari del governo italiano.

Il nord-ovest del Paese, pesantemente colpito dal terremoto, ha ricevuto pochi aiuti umanitari rispetto alle aree controllate dal governo. Esiste un solo corridoio umanitario approvato tra Turchia e Siria, il valico di Bab al-Hawa, per entrare nella provincia nord-occidentale di Idlib, controllata dalle forze di opposizione.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di autorizzare l’apertura di nuovi punti di assistenza umanitaria transfrontalieri tra Turchia e Siria. Inoltre, la Turchia ha dichiarato di essere al lavoro per aprire due nuove rotte verso le aree controllate dai ribelli.

Gli sforzi di soccorso a lungo termine potrebbero essere completati in due o tre anni in Turchia, ma ci vorrebbero dai cinque ai dieci anni per iniziare a lavorare in Siria, ha avvertito Caroline Holt, responsabile degli interventi nel campo delle catastrofi, del clima e delle crisi per la Federazione internazionale della Croce Rossa (Ifrc).

(Carmen Lăiu è redattrice di Signs of the Times Romania e ST Network. Questo articolo è stato pubblicato il 16 febbraio 2023 su ST Network).

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

 

 

 

 

 

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