Giuseppe Marrazzo – L’11 settembre la Fao ha lanciato un grido di allarme. Ogni anno sprechiamo ben 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che hanno un costo di 750 miliardi di dollari. Per spreco s’intende la riduzione non intenzionale del cibo destinato al consumo umano a causa di una inefficiente catena di approvvigionamento. Tuttavia gli sprechi alimentari gravano sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità. Ogni anno il cibo prodotto e non consumato sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo del Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Tutto questo accade sotto gli occhi di 870 milioni di persone denutrite o sottonutrite, e dei quali molti sono bambini.
Che cosa fare?
a. La riduzione degli sprechi deve diventare una priorità. Soprattutto occorre ottimizzare la produzione e il consumo.
b. In caso di eccedenze alimentari occorre donare cibo alle persone più vulnerabili della società; se non è adatto per il consumo umano può essere destinato all’alimentazione animale, al posto di produrre mangimi commerciali costosi.
c. Dove non è possibile il riutilizzo, occorre almeno riciclare l’eccedenza di cibo per elaborare dei composti, recuperare energia, ecc.
In Viale Morgagni a Firenze, ma lo stesso accade a Roma, Napoli, Milano, un signore munito di gancio e una borsa spesa con ruote, rovista nei cassonetti per recuperare il recuperabile per la sopravvivenza. A Londra c’è un uomo, con bombetta e ventiquattrore, che ogni giorno da dieci anni a questa parte, si alimenta con quello che riesce a recuperare dai cassonetti dell’immondizia. Molte pietanze gustosissime derivano dalla consuetudine contadina di non buttare mai il cibo: con il pane raffermo si possono fare un’ottima zuppa di cipolle, «l’acqua pazza» e perfino la famosa «fonduta».