Gesù esplosione di vita. Voglio misericordia

Gesù esplosione di vita. Voglio misericordia

Francesco Zenzale – “Ora, se voi sapeste che cosa significa ‘Voglio misericordia e non sacrificio’, non avreste condannato gli innocenti; perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato” (Matteo 12:7-8).

Non è facile accettare l’idea di essere giudicato, specialmente se il tuo percorso di crescita è stato segnato da un contesto familiare di specchi giudicanti. Si ha l’impressione che ogni attività sia manchevole, di essere inadeguato, non all’altezza delle attese altrui o della situazione. Poi c’è quel tipico senso di colpa che sgorga dalla dolorosa sensazione di aver sbagliato qualcosa. Con timore, aspetti che l’altro, superiore nel servizio retribuito, esprima il suo giudizio. Una via crucis accentuata dalla meritocrazia e da un insegnamento religioso-culturale che non permette di muoversi secondo le convinzioni ispirate da Cristo o dalla coscienza.

Il dolore è marcato anche dall’incapacità di reagire, di considerare che la valutazione dell’altro sia soggettiva, che i parametri cui s’ispira fluiscono dall’esperienza personale e che potrebbe avere le tue stesse paure, camuffate da atteggiamenti prevalenti, dall’esperienza acquisita e dalla mansione di competenza vissuta impropriamente.

Giudicare è facile. Si analizza lo stile di vita, tenendo conto se ciò che l’altro dice e fa non danneggi l’entourage in cui si opera. Si fa appello al passato, all’importanza di mantenere discutibili equilibri e alla Bibbia, per poi erompere con il biasimo edulcorato con una superficiale comprensione della problematica. Anche il sentito dire è più conveniente dell’ascoltare col cuore. Incunearsi nell’animo umano è una perdita di tempo. Chi riferisce è più credibile di chi si racconta. L’importante è agire sull’apparenza con suggerimenti che si riveleranno fallibili.

L’equipe teologico-amministrativa al tempo di Gesù amava giudicare, condannare degli innocenti con facilità impressionante. Poco importava quel che Gesù diceva e faceva. L’interesse personale, come anche il prestigio acquisito era sovrastante a ogni inventiva di buon senso e a ogni atto di accoglienza, di perdono e di riesame delle proprie convinzioni. Ciò che contava è accentuare la colpa, il disagio morale e spirituale. Condannare e asservire i fedeli traendo encomi e possibilmente vantaggi economici.

Gesù si sottrae a questo perverso gioco. Rifiuta di stare dalla loro parte e sceglie di annunciare la libertà interiore agli umili, agli schiavi, agli afflitti, ecc. (Isaia 61:1-3). Una scelta valutata, dai supervisori, degna di condurlo al patibolo (Matteo 12:14).

Voglio misericordia! Questo era il suo messaggio e il suo modus vivendi. Il regno di Dio è un regno di misericordia e non di specchi giudicanti. È un regno di accoglienza, dove i pubblicani, le prostitute, uomini e donne avviliti dal senso d’inadeguatezza sono redenti dalla sua grazia.

Paolo scriveva: “Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Romani 8:1). Nessuna condanna! Che messaggio incisivo e liberatorio! L’estimo degli altri e di noi stessi potrebbe anche esprimersi in termini di condanna, di rifiuto o di disapprovazione, ma il giudizio potrebbe essere inopportuno e sbagliato. L’estimo di Dio, indubbiamente è intelligente e acuminato (Proverbi 21:2; 1 Corinzi 4:5), tuttavia egli preferisce la misericordia, più che la condanna o inutili sacrifici votivi.

Agli abitanti di Ninive, verso i quali Giona aveva espresso biasimo, Dio offre la misericordia. Alla giovane prostituta, sulla quale pesava la condanna a morte dei suoi aguzzini, Gesù esprime parole di perdono e di accoglienza. Al paralitico, calato dal soffitto, prima di guarirlo Cristo gli concede la compassione. A Pietro che lo invita ad allontanarsi dalla sua esiguità, il Maestro lo invita a diventare pescatore di uomini (Luca 5:8). E dopo qualche anno, rinnegandolo, nonostante il preavviso, lo perdona e lo reintegra (Matteo 26:34, 74-75; Giovanni 21:15-19).

Parole e gesti empatici, di misericordia, di accettazione e di condivisione. Sulla croce fra le sue ultime “carezze” ricordiamo quelle rivolte al ladrone: «tu sarai con me in paradiso» (Lu 23:40-43) e quelle indirizzate ai suoi carnefici: “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (v. 34).

Non è facile perdonare, accogliere, comprendere l’altro e lasciare che si avvicini a Gesù da solo. Ci sentiamo quasi obbligati ad accompagnarlo, valutando se il suo percorso sia attendibile quanto il nostro, dimenticando facilmente che il nostro cammino non è poi così levigato. Facciamo fatica a concedere fiducia, a lasciare che l’altro sia accolto tra le braccia del Padre e festeggiato. Preferiamo rivendicare di essere nella casa del Padre con sacrificio e devozione (cfr. Luca 15:11-32).

Il nostro perdono purtroppo è distinto dai se, dai ma e da una stabile presenza valutativa. Siamo specchi giudicanti. Le nostre mani non sono vuote e non esprimono empatia. Avviluppano pietre pronte per essere scagliate. Dobbiamo liberarcene gettandole per terra (Giovanni 8:7). Rendere visibile la trave dalla nostra coscienza (Matteo 7:3-5) e lasciarci opacizzare dalla grazia di Dio, affinché l’altro non rispecchi la nostra immagine o percezione morale, ma quella di Cristo.

“Vestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza” (Colossesi 3:12). “Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta” (Matteo 5:7).

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

Gesù esplosione di vita. Redenzione cosmica

Gesù esplosione di vita. Redenzione cosmica

Francesco Zenzale – Il carattere unico della razza umana risiede nel fatto che è stata creata a immagine di Dio (Genesi 1:27). Tuttavia siamo venuti all’esistenza dalla “polvere della terra”, alla quale Dio ha soffiato la vita (2:7). Ciò significa che siamo legati alla terra e a tutto ciò che essa può offrirci per vivere e apprezzare l’amore di Dio. In tal senso, le prime indicazioni riguardano il rapporto con altri esseri viventi e l’alimentazione (1:28-29), quindi la gestione della terra e degli animali (1:26).

Dio pose l’uomo “nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse” (2:15). Quest’unica e indescrivibile esperienza è stata destabilizzata dal peccato. La terra e tutto ciò che consentiva un’esistenza serena subirono un’alterazione. Il testo biblico evidenzia che il suolo fu stato maledetto a causa dell’uomo, rilevando le seguenti conseguenze: “ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai” (3:17-19).

È doloroso osservare come la terra sia diventata oggetto di fatica, sudore e sofferenza. Un’impensabile trasformazione! Quello che era molto buono, distensivo ed eufonico con il cielo (1:31) diventò un azzardo esistenziale. La polvere dalla quale Dio creò l’uomo, infondendogli l’alito vitale (2:7), ora torna alla terra. Ciò che doveva esistere per sempre, sfocia nella non esistenza. L’uomo che è stato tratto dalla materia, e tributato di vita, torna nell’oblio. La terra è divenuta la culla dell’inquietudine e dell’inconsistenza.

Anche la terra soffre e spera! È stanca di produrre spine e rovi, di aprirsi alla morte ospitando lacrime inquiete e avvilite. Scrive l’apostolo Paolo: “la creazione geme ed è in travaglio» e «vive» nell’attesa della redenzione «per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio” (Romani 8:19-22). Parole di speranza estensiva, che esprimono l’idea che la salvezza coinvolga compiutamente la creazione. La riconciliazione uomo-Dio, in Gesù Cristo, implica il ricongiungimento della terra al “mondo” di Dio. All’uomo spirituale, glorioso, incorruttibile (1 Corinzi 15:42-54) corrisponde la terra riabilitata e bonificata (Apocalisse 21:1; Matteo 19:28; Isaia 11:9).

Questa speranza escatologica fluisce anche in una delle più sublimi raffigurazioni contenute nella parola di Dio. In Isaia 35 si legge che il “deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa; si coprirà di fiori, festeggerà con gioia e canti d’esultanza; le sarà data la gloria del Libano, la magnificenza del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio […] delle acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nei luoghi solitari;  il terreno riarso diventerà un lago, e il suolo assetato si muterà in sorgenti d’acqua; nel luogo dove dimorano gli sciacalli vi sarà erba, canne e giunchi. Là sarà una strada maestra, una via che sarà chiamata la via Santa” (vv.1, 2, 5-8).

Credo che Dio non potesse accettare che una particella (la terra) dell’universo andasse perduta per sempre. L’amore di Dio non poteva rimanere sporcato dall’idea del fallimento. Per smacchiare il cosmo da questa necrosi, Dio aveva due possibilità. Eliminare la terra e i suoi abitanti con un atto violento, ponendo fine, simultaneamente, all’esistenza di Satana e dei demoni; oppure riconciliare il mondo a sé con un inenarrabile atto d’amore. Nella prima soluzione, tu e io non staremmo qui a parlarne e facilmente, il dubbio, sulla bontà di Dio, si sarebbe incuneato in altre dimensioni dell’universo (Ebrei 11:3).1 Conseguentemente il peccato poteva riemergere in altre realtà. Nella seconda soluzione, esistiamo con la possibilità di scegliere cosa fare della nostra vita, di accertare l’annientamento del male e della morte, di vedere la terra restaurata ricongiunta al regno di Dio e di risiedervi (Apocalisse capitoli 21 e 22).

Il modo in cui Dio ha scelto di riappropriarsi di ciò che gli apparteneva (Genesi 1; Salmo 24:1) è inspiegabile e sorprendente: abitando l’umanità (Giovanni 1:1-2, 14), intraprendendo un percorso che poteva risultare un insuccesso. Infatti, dopo tempestose e viscide tentazioni (Matteo 4:1-11), a conclusione della sua umana esistenza, nell’orto degli ulivi e di fronte al dramma del supplizio, Gesù invita il Padre ad agire diversamente (Luca 22:42). Ma non ci sono mai state alternative alla croce. La luttuosa e definitiva separazione dal regno di Dio, doveva essere sconfitta da chi come uomo aveva dichiarato di essere la risurrezione e la vita (Giovanni 11:25; 14:6). La morte doveva essere ingurgitata per sempre da un’innocente esistenza. In tal senso, la risurrezione di Cristo è una deflagrazione di vita universale. “La morte è stata sommersa nella vittoria” per sempre (1 Corinzi 15:54; Apocalisse 21:4). “Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione” (2 Corinzi 5:19).

Riconciliazione è una parola osteggiata dall’indifferenza, dal rancore, da dolorosi ricordi, dalla prevaricazione, dall’incapacità di perdonarsi e perdonare, e di camminare congiuntamente con l’altro. È anche sgradevole perché esprime capacità di osservazione, di mettersi in discussione, di comunicare e di ricevere lezioni di vita dalla natura e dal regno animale. E noi non abbiamo tempo per ritrovarci e vivere in armonia con il creato. Proviamo a prenderci cura di ciò che il Signore ci ha affidato. Cerchiamo di lenire la sofferenza della terra rispettando l’ambiente. L’esistenza umana dipende intimamente dall’habitat in cui viviamo.

Nota
1 È meraviglioso osservare come anche gli angeli, collaboratori di Dio in favore dei credenti (Ebrei 1:7; Apocalisse 22:9), cercano di incunearsi nel mistero redentivo per cogliere l’inafferrabile amore divino. Gli angeli “bramano penetrare con i loro sguardi” (1 Pietro 1:12).

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

Gesù esplosione di vita. L’estensione della fede

Gesù esplosione di vita. L’estensione della fede

Francesco Zenzale – Tempo fa mia moglie mi disse: “Ho fiducia in te, ma gli altri possono fraintendere i tuoi gesti di ricezione e di generosità”. Questo pensiero mi ha fatto un gran bene e, indubbiamente, mi ha aiutato a essere molto più attento nei confronti di persone che manifestano velatamente pregiudizi nei confronti di altri.

La fiducia è uno degli aspetti essenziali della vita in generale e coniugale. Resta difficile pensare di continuare a stare accanto a una persona, che affermiamo di amare, per poi defraudarla del senso di affidamento. Purtroppo sono numerose le persone che a causa della propria insicurezza e disistima faticano a consegnarsi all’altro, soprattutto quando subentra l’inafferrabilità.

Tendenzialmente, per diversi motivi (educativi, formativi, psicologici, ecc.), siamo invogliati a tenere tutto sotto controllo. Ciò ci induce a “oggettivare” ogni aspetto della vita, a rendere visibile l’impercettibile. Siamo formalmente sereni quando possiamo visualizzare la persona amata e in qualche modo “maneggiarla”, ma soffriamo quando l’altro sgorga dall’immaginazione perché assente. L’insicurezza domina la nostra esistenza e spesso può risultare luttuosa.

Avere fiducia significa concedere all’altro la possibilità di allontanarsi. Di rendersi invisibile. Non è facile, ma è indispensabile e inevitabile. L’altro non ci appartiene. Se ha scelto di stare con noi non significa che ha rinunciato alla propria dignità, individualità e libertà esistenziale ed espressiva. La coesistenza non defrauda l’altro della gioia di essere se stesso. Indubbiamente, possiamo invitarlo a restare con noi, ma è l’altro che deve decidere di fermarsi e quando lasciarci soli.1 I discepoli di Emmaus invitarono Gesù a restare con loro, ed egli acconsentì, ma all’improvviso, durante la cena, Gesù scelse di andarsene: “scomparve alla loro vista” (Luca 24:31). L’imprevedibilità è un aspetto della vita che ci scuote, per questo motivo la fiducia è un ottimo rimedio per attenuare il colpo e vivere nell’attesa che l’altro ricompaia perché ci ama.

Ricordo le parole di Gesù rivolte ai discepoli: “Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete” (Giovanni 16:16). Io non so qual è la vostra comprensione di questo gioco di parole sulla sua visibilità. I discepoli cercarono di coglierne il senso, ma non lo percepirono. Gesù intervenne cercando di oggettivare il suo dire, ma l’impressione è che non furono ancora in grado di comprendere: “In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia” (Giovanni 16: 17-20). Analizzando il testo, possiamo considerare alcuni spazi temporali della vita di Gesù in relazione alla fiducia.

– La sua presenza fisica come Messia-Uomo, con i suoi prodigi e insegnamenti. Un dato tangibile in cui la fede riposa sulla visibilità, palpabilità e operatività.

– Le ultime ore contraddistinte dal Messia sofferente-assente (morto), in cui la fede è destabilizzata: “noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose” (Luca 24:21; cfr. Matteo 27:56).

– La sua presenza-assenza nello spazio di quaranta giorni in cui Gesù visse saltuariamente con i discepoli. La fiducia in questo periodo oscilla tra l’oggettivazione e l’invisibilità. Gesù si fa toccare, parla, mangia e si rende impercettibile (cfr. Atti 1:3). La fiducia acquista una notevole valenza grazie all’irreperibilità del Maestro. I discepoli non riescono a penetrare nel mondo di Dio, dove Gesù è alla sua destra, se non per fede. Questo movimento di Gesù – apparire e scomparire – li aiuta ad accettare il definitivo distacco: “Mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi” (Atti 1:9).

– La sua invisibilità-ritorno. Gesù non si fa più vedere se non in visione e con manifestazioni diverse, rispetto ai quaranta giorni (Atti 9:3-6; Apocalisse 1:12-20). Si tratta di un’estensione temporale che ancora non ha avuto il suo epilogo, quindi la sua invisibilità si protrae fino al suo ritorno (Atti 1:10-11). Quest’ultima unità di tempo Gesù la consegna al credente con l’incognita del giorno del suo ritorno (Matteo 24:36), della contaminazione del vangelo (2 Tessalonicesi 2:1-12), delle persecuzioni (2 Timoteo 3:12) e del potenziale pericolo di perdere la fede (Luca 18:8). Aspetti che tendono a destabilizzare il credente inducendolo a perdere la fiducia nel risorto o a esplodere in tutta la sua trascendenza e risolutezza, esprimendosi in un atto di totale abbandono.

L’estensione della fiducia in chi è invisibile-assente, fluisce:
– dalla consapevolezza che l’altro esista, anche se in modo diverso da come possiamo immaginarlo. Ad esempio, possiamo rappresentarci il Gesù uomo, difficilmente il Gesù risorto e glorioso;
– dalla certezza che l’invisibilità dell’altro non ha nulla a che fare con comportamenti orientati a screditare la relazione (Giovanni 14:1-3);
– dalla percezione che l’altro, benché assente, operi in nostro favore e della convivenza (1 Giovanni 2:1-2);
– dalla risolutezza nel rimanere fedeli, nonostante il protrarsi dell’attesa e le vicissitudini che possono invalidare la speranza (Apocalisse 2:10; 14:9-12). Paolo scriveva: “È anche per questo motivo che soffro queste cose; ma non me ne vergogno, perché so in chi ho creduto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno” (2 Timoteo 1:12).

L’ampliamento della fiducia è estensione della persona nell’altro. Questo movimento verso l’altro, nell’accezione spirituale, lo si può cogliere nella locuzione: “per me vivere è Cristo” (Filemone 1:21; Cfr. Galati 2:20). Vivere il risorto significa accettare che Gesù fa parte di un’altra dimensione e che la “nostra cittadinanza è nei cieli” (Filemone 3:20). Questa dichiarazione di fede rileva che non è Gesù che va incontro all’umanità, divenendo ancora una volta uomo (Giovanni 1:14; Filippesi 2:5-8), ma siamo noi che “a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito” (2 Corinzi 3:18). Tale prospettiva celeste implica il cercare e desiderare il modus vivendi di “lassù dove Cristo è seduto alla destra di Dio” e non anelare “le cose che sono sulla terra”. “La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio”; quando Cristo, che è la nostra vita, ritornerà “allora anche noi saremo con lui manifestati in gloria” (Colossesi 3:1-4; cfr. 1 Corinzi 15:51-54).

Nel significato antropologico e sociale, l’estensione della fiducia nell’altro, presente-assente, si realizza in termini affettivi e tangibili. Se l’altro è fratello o sorella è un privilegio cogliere il senso di reciproca appartenenza. Facciamo parte di una realtà collettiva e solidale, dove la fraternità dovrebbe essere uno degli aspetti edificanti. La comunità esiste laddove alberga il rispetto, la fiducia e il mutuo sostegno: etico, spirituale e pragmatico.

Se l’altro è il partner, moglie o marito, la fiducia acquista una valenza esclusiva, distinta dal senso di reciproco affidamento, dalla complicità e dall’intimità. L’invisibilità dell’altro è avvertita come bisogno di stare insieme e di condivisione e non di possesso. Benché assente, l’altro è presente in termini amorevoli, di pensiero, d’immaginazione e di laboriosità vissuta nella prospettiva del riaversi. Gli invisibili-assenti sognano, desiderano, aspettano e pensano. Si rispettano, si amano e si preparano con distingui tangibili per rendere la mutua visibilità accogliente, affascinante, incentivante e creativa.

La fiducia rende visibile l’invisibile. L’altro è inscindibile come l’ombra ed è presente in ogni aspetto della vita.

Nota
1 Ci sono tante realtà nella vita che ci allontanano dall’altro: impegni di lavoro, attività sportive, interessi personali, ecc., e non sempre l’allontanamento fluisce da una libera scelta. Le cause sono molteplici e possono anche sgorgare da una relazione sofferta. In tal senso l’invisibilità può instradare una sana autocritica e una seria riflessione sulla relazione.

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

Gesù esplosione di vita. Redenzione globale

Gesù esplosione di vita. Redenzione globale

Francesco Zenzale – Il carattere unico della razza umana risiede nel fatto che è stata creata a immagine di Dio (Genesi 1:27). Tuttavia siamo venuti all’esistenza dalla “polvere della terra”, alla quale Dio soffiò la vita (Ge 2:7). Ciò significa che siamo legati alla terra e a tutto ciò che essa può offrirci per vivere e apprezzare l’amore di Dio. In tal senso, le prime indicazioni riguardano il rapporto con altri esseri viventi e l’alimentazione (Ge 1:28-29), quindi la gestione della terra e degli animali (Ge 1:26). Dio pose l’uomo “nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse” (Ge 2:15). Quest’unica e indescrivibile esperienza è stata destabilizzata dal peccato. La terra e tutto ciò che consentiva un’esistenza serena subirono un’alterazione. Il testo biblico evidenzia che il suolo è stato maledetto a causa dell’uomo, rilevando le seguenti conseguenze: “ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai” (Ge 3:17-19).

È doloroso osservare come la terra sia diventata oggetto di fatica, di sudore e di sofferenza. Un’impensabile trasformazione! Quello che era molto buono, distensivo ed eufonico con il cielo (Ge 1:31) diventa un azzardo esistenziale. La polvere dalla quale Dio creò l’uomo infondendogli l’alito vitale (Ge 2:7), torna alla terra. Ciò che doveva esistere per sempre, sfocia nella non esistenza. L’uomo che è stato tratto dalla materia e tributato di vita, torna nell’oblio. La terra è divenuta la culla dell’inquietudine e dell’inconsistenza.

Anche la terra soffre e spera! È stanca di produrre spine e rovi, di aprirsi alla morte ospitando lacrime inquiete e avvilite. Scrive l’apostolo Paolo: “la creazione geme ed è in travaglio” e “vive” nell’attesa della redenzione “per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio” (Romani 8:19-22). Parole di speranza estensiva, che esprimono l’idea che la salvezza coinvolga compiutamente la creazione. La riconciliazione uomo-Dio, in Gesù Cristo, implica il ricongiungimento della terra al “mondo” di Dio. All’uomo spirituale, glorioso, incorruttibile (1 Corinzi 15:42-54) corrisponde la terra riabilitata e bonificata (Apocalisse 21:1; Matteo 19:28; Isaia 11:9).

Questa speranza escatologica fluisce anche in una delle più sublimi raffigurazioni contenute nella parola di Dio. In Isaia 35 si legge che il “deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa; si coprirà di fiori, festeggerà con gioia e canti d’esultanza; le sarà data la gloria del Libano, la magnificenza del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio […] delle acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nei luoghi solitari; il terreno riarso diventerà un lago, e il suolo assetato si muterà in sorgenti d’acqua; nel luogo dove dimorano gli sciacalli vi sarà erba, canne e giunchi. Là sarà una strada maestra, una via che sarà chiamata la via Santa” (Is 35:1-2,5-8).

Io credo che Dio non poteva accettare che una particella (la terra) dell’universo andasse perduta per sempre. L’amore di Dio non poteva rimanere sporcato dall’idea del fallimento. Per smacchiare il cosmo da questa necrosi, Dio aveva due possibilità: eliminare la terra e i suoi abitanti con un atto violento, ponendo fine, simultaneamente, all’esistenza di Satana e dei demoni; oppure riconciliare il mondo a sé con un inenarrabile atto d’amore. Nella prima soluzione, tu e io non staremmo qui a parlarne e, facilmente, il dubbio sulla bontà di Dio si sarebbe incuneato in altre dimensioni dell’universo (Ebrei 11:3).1 Di conseguenza, il peccato poteva riemergere in altre realtà. Nella seconda soluzione, esistiamo con la possibilità di scegliere cosa fare della nostra vita, di accertare l’annientamento del male e della morte, di vedere la terra restaurata e ricongiunta al regno di Dio, e di risiedervi (Apocalisse 21 e 22).

Il modo in cui Dio ha scelto di riappropriarsi di ciò che gli apparteneva (Genesi 1; Salmo 24:1) è inspiegabile e sorprendente: abitando l’umanità (Giovanni 1:1-2,14), intraprendendo un percorso che poteva risultare un insuccesso. Infatti, dopo tempestose e viscide tentazioni (Matteo 4:1-11), a conclusione della sua umana esistenza, nell’orto degli ulivi e di fronte al dramma del supplizio, Gesù invita il Padre ad agire diversamente (Luca 22:42). Ma non ci sono mai state alternative alla croce. La luttuosa e definitiva separazione dal regno di Dio, doveva essere sconfitta da chi come uomo aveva dichiarato di essere la risurrezione e la vita (Giovanni 11:25; 14:6). La morte doveva essere ingurgitata per sempre da un’esistenza innocente. In tal senso, la risurrezione di Cristo è una deflagrazione di vita universale. “La morte è stata sommersa nella vittoria” per sempre (1 Corinzi 15:54; Apocalisse 21:4). “Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione” (2 Corinzi 5:19).

Riconciliazione è una parola osteggiata dall’indifferenza, dal rancore, da dolorosi ricordi, dalla prevaricazione, dall’incapacità di perdonarsi e perdonare e di camminare congiuntamente con l’altro. È anche sgradevole perché esprime capacità di osservazione, di mettersi in discussione, di comunicare e di ricevere lezioni di vita dalla natura e dal regno animale. E noi non abbiamo tempo per ritrovarci e vivere in armonia con il creato. Proviamo a prendere cura di ciò che il Signore ci ha affidato. Cerchiamo di lenire la sofferenza della terra rispettando l’ambiente. L’esistenza umana dipende intimamente dall’habitat in cui viviamo.

Nota
1 È meraviglioso osservare come anche gli angeli, collaboratori di Dio in favore dei credenti (Ebrei 1:7; Apocalisse 22:9), cercano di incunearsi nel mistero redentivo per cogliere l’inafferrabile amore divino. Gli angeli “bramano penetrare con i loro sguardi” (1 Pietro 1:12).

Gesù esplosione di vita. Ai piedi della croce

Gesù esplosione di vita. Ai piedi della croce

Francesco Zenzale – Ho il piacere di vivere a ridosso del Lago di Pusiano e di essere circondato da meravigliose montagne. Alzando lo sguardo verso il Cornizzolo,1 posso vedere sulla cima del monte una croce. In passato, quando la salute me lo permetteva, ho avuto la gioia di sedermi ai suoi piedi, adesso mi limito a guardarla tutti i giorni, pensando a Gesù.

Forse il mio pensiero è sclerotico, privo di mobilità, perché non riesco a staccarmi, simbolicamente, dai piedi della croce di Cristo. Penso alla sua persona e fantastico nel vederlo mentre cammina, parla, guarisce, risuscita, ecc. Poi il pensiero si sofferma sulle ultime ore della sua vita. Lo vedo nell’orto degli ulivi angosciato, in preghiera e in compagnia dell’angelo che lo incoraggia, illustrandogli i risultati del suo sacrificio (Luca 22:43; cfr. Isaia 53). Scorgo il perfido bacio del traditore, la spada tagliente di uno degli apostoli e la delicata mano di Gesù che raccoglie l’orecchio, guarendo chi era andato da lui per arrestarlo (Luca 22:49-50).

Sono sbigottivo e confuso! Mai un uomo avrebbe agito in quel modo! Non si tratta solo di porgere l’altra guancia, ma di fare del bene a chi ti sta arrestando e di lasciare che faccia di te quel che vuole, pur avendo la possibilità di agire con dodici legioni di angeli (cfr. Matteo 26:53) o scappare. Ma quella era l’ora dei persecutori, dell’oscurità spirituale e morale. E lui lo sapeva! (cfr. Luca 22:52-53).

Quest’ora dei malvagi che devono disporre della mia vita secondo criteri iniqui e violenti, faccio fatica a comprenderla e ad accettarla. Soffro terribilmente e provo un profondo senso di giustizia quando le tenebre soggiogano la luce spirituale. Eppure, sta scritto “beati” i perseguitati e gli insultati (cfr. Matteo 5:1 e segg.). È uno strano percorso di vita quello del credente! Il desiderio di pace e di fratellanza è ignorato e calpestato dal buio morale. Triste! Ma vero.

Volgendo lo sguardo alla croce fissa sul monte, come segno di tradimento e di speranza per tutti, mi ritrovo nell’atrio della corte, dove albergava Pilato. Ascolto i suoi deboli tentativi di liberarlo, la sua arrendevolezza di fronte alla gente inferocita che gridava: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!» (Luca 23:21). Poi, avvolto anche lui dall’ombra del male, pone la ciurmaglia di fronte all’ineluttabile scelta: «Gesù o Barabba?».
«Barabba!».
Che rabbia… che amarezza!

Un re o un governante senza forza morale, che non sta dalla parte della giustizia e della verità, è un uomo senza valore. Un perdente! Tale è stata l’esperienza di Pilato! Devo essere sincero! Delle volte, preso da chissà quale paura, forse quella di non sentirmi emarginato, anch’io ho avuto serie difficoltà a stare dalla parte di Cristo.

Lasciandomi alle spalle il disagevole atrio, mi avvio lungo il sentiero che conduce al luogo del teschio, cercando di stare vicino a Gesù. Non voglio perderlo di vista! È vero sono di vetro frangibile, ma quell’uomo sfigurato, che s’è fatto carico della mia esiguità, non mi ripugna (cfr. Isaia 53). Gli voglio bene! Cade e si rialza a causa dell’angoscia, dell’afflizione e della spossatezza fisica. Finalmente arriva Simone il cireneo (cfr. Mt 27:32), che allieva la sua sofferenza caricandosi forzatamente la croce. Non gli apostoli o uno dei suoi discepoli, ma un cireneo. Uno straniero! Onestamente, i suoi lo avevano rifiutato dall’inizio della sua missione. Alla nascita era stato costretto a rifugiarsi in Egitto: volevano ucciderlo. In Giovanni si legge che «È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto» (Gv 1:11).

Nonostante l’aiuto di Simeone, procede sul sentiero pietroso come se fosse ubriaco. Vorrei avvicinarmi, sorreggerlo e mitigare il suo dolore con un sorso d’acqua. Impossibile! Quell’amaro calice deve berlo da solo! Non c’è spazio per l’uomo! Solo lui poteva farsi carico del dramma umano e risolverlo per sempre. La grazia che zampilla dalla croce appartiene a Dio (cfr. Salmo 3:8; Apocalisse 7:10).

Eccomi sul Golgota. Francamente non vorrei esserci. È uno spettacolo orribile oltre che iniquo. Martelli, chiodi e corde. Esausto, Gesù è adagiato sulla croce. I chiodi penetrano la sua carne che trasuda acqua e sangue. Poi, lo sollevano come se fosse uno dei peggiori criminali.

Cerco di capire, di riflettere sul perché di tanta ingiustizia e crudeltà, ma la ragione è oscurata dalle emozioni e dal mio peccato. Le parole «questo è il corpo dato per voi, e il mio sangue versato per voi» (cfr. Luca 22:19-29) acquisiscono corporeità. Vorrei accarezzare quel corpo inerte e insanguinato, ma ho paura. Sono impuro e indegno! E come Pietro lo invito ad allontanarsi da me (cfr. Luca 5:8). Non può. Dalla croce non sarebbe sceso vivo, ma morto, per poi essere oscurato dalla pietra sepolcrale. È il trionfo del male, dell’ingiustizia e del nulla. Chi ha l’autorità e la capacità di porre fine all’ora delle tenebre? Nessuno! Se non chi ha il potere di deporre la vita e di riprenderla (cfr. Giovanni 10:18).

Con il capo reclinato, mi distanzio ripercorrendo quella ruvida mulattiera. Scorgo delle macchie di sangue: è il suo sangue! Le nuvole sovrastano il sole e il cielo diventa oscuro e piange: anche gli angeli piangono! Sono molto debilitato, vacillo, cado sulla terra bagnata e piango irrefrenabilmente! Poi, come un bambino angosciato in cerca di aiuto, rivolgo lo sguardo al cielo, tentando di superare l’oscurità del mio cuore. Voglio vedere le lacrime di Dio! Dal cielo tenebroso uno squarcio di luce illumina il mio volto: Dio sta piangendo! Lacrime di sofferenza che sgorgano da un’inesauribile misericordia. All’improvviso, come se fossi avvolto dallo stesso mistero dell’incarnato, ascolto la sua tenera voce: «Ti amo, come amo mio figlio che è morto per te». «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! […] io sono il Signore, il tuo Dio […] tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo» (Isaia 43: 1-4).

Nota
1 Il Cornizzolo è una delle più famose vette del triangolo lariano, con la sua enorme croce che svetta sulle Prealpi e sui laghi dell’Alta Brianza. Il monte Cornizzolo, (Curnisciöö nel dialetto locale) è una montagna alta 1.241 m. A circa 1.100 m s.l.m., vi è il rifugio Marisa Consigliere, aperto ogni domenica durante tutto l’anno e tutti i giorni nel mese di agosto. È famoso tra gli appassionati di deltaplano e parapendio, perché presenta un campo di decollo accessibile quasi tutto l’anno, dove da diversi anni vengono organizzate competizioni sportive di livello internazionale.

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

[Immagine: Wikipedia]

 

Gesù esplosione di vita. È diventato peccato per noi

Gesù esplosione di vita. È diventato peccato per noi

Francesco Zenzale – È sorprendente quanto il Nuovo Testamento insista sul fatto che Cristo è “morto, è risuscitato… e anche intercede per noi” (Romani 8:34). In occasione dell’ultima cena, Gesù afferma che avrebbe offerto se stesso (corpo e sangue) “per voi” (per noi) (Luca 22:19-20). Nel Vangelo di Giovanni, il buon pastore “offre la vita per le sue pecore” (10:11). Lo stesso vale per Romani 8:32, dove è scritto che Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” ed è disposto a donarci ogni cosa “insieme con lui”. Paolo, rievocando, la cena del Signore, scrive che Gesù prese del pane e “dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: ‘Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me’” (1 Corinzi 11:24 Cei).1

Umanamente, qualora ci trovassimo nella condizione di bisogno, l’idea che qualcuno agisca in nostro favore è accettabile, ma che l’altro sia disponibile a morire è impraticabile. Può succedere, ma per errore e non per espressa volontà. Di Gesù sta scritto che ha scelto di morire per noi. Egli “è morto per i nostri peccati secondo le Scritture” (1 Cor 15:3 ND) e senza vincoli o particolari richieste di bisogno. Sinceramente, è irrisorio pensare di formulare una richiesta salvifica se riteniamo di essere ricchi e non abbiamo bisogno di niente (cfr. Apocalisse 3:17). L’arroganza è uno degli aspetti che ci ha sempre contrassegnati. Preferiamo nasconderci piuttosto che riconoscere di essere nella necessità di essere salvati (cfr. Genesi 3:9). Guai a chi evidenzia la nostra esiguità! La colpa è sempre di chi ci sta vicino, mai personale (cfr. Genesi 3:10-14).

È diventato peccato per noi
Paolo, nella seconda Lettera ai Corinzi rileva che Gesù “non ha conosciuto peccato, egli l’ha fatto diventare peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio in lui” (5:21). “Diventare peccato per noi” e senza il nostro consenso, esprime l’idea che Dio abbia agito solo per amore, appropriandosi in Gesù Cristo del peccato. Gesù ha vissuto nella sua pelle o nella sua carne il peccato e, paradossalmente, senza peccare (cfr. Ebrei 4:15). In che modo quest’umanizzazione del peccato sia stata possibile da innocente, rimane un mistero per noi come anche per gli angeli (cfr. 1 Pietro 1:12).

Secondo la logica antropica, è inaccettabile che un giusto subisca la colpa del malvagio. Ci sono esempi di persone che sono state dichiarate colpevoli di reati e che dopo diversi anni sono risultati innocenti. Quando ciò accade, avvertiamo rabbia, indignazione e un forte senso di giustizia. Ma la logica divina ci disorienta, perché Egli ha voluto che Gesù, suo figlio, divenisse peccato e morisse sulla croce, e da malfattore, per noi. Per questo motivo Paolo parla della pazzia di Dio (1 Corinzi 1:18 e segg.).

Sicuramente, quest’azione di Dio in Gesù Cristo rivela, da una parte, la sua inspiegabile misericordia per il mondo. Dall’altra evidenzia la terribile condizione di esseri viventi. Tragedia che si è acutizzata sulla croce in Gesù Cristo.

È morto per noi, come se fosse uno di noi, “affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21). La salvezza peregrina per la strada che conduce al calvario e sgorga da un uomo crocefisso da innocente. Non c’è alternativa. La giustizia di Dio, vale a dire la sua misericordia o la sua grazia, si attualizza in Gesù uomo, che ha immolato la sua vita per noi. Celeberrimo è il testo del Vangelo di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (3:16).

Scrive la scrittrice cristiana Ellen G. White: “La morte di Cristo è la prova del grande amore di Dio per l’uomo. Essa è la nostra garanzia di salvezza. Rimuovere la croce dal cristiano e come rimuovere il sole dal cielo.  La croce ci avvicina a Dio e ci riconcilia con il suo Spirito. Con la stessa tenerezza di un padre per i figli, Dio guarda alle sofferenze che suo Figlio ha patito per poter salvare l’umanità dalla morte eterna, e ci accetta per i suoi meriti. Senza la croce, l’uomo non potrebbe avere comunione col Padre. Da essa dipende ogni nostra speranza. Sul suo legno si riflette la luce dell’amore di Cristo; e il peccatore non può che gioire quando va ai piedi della croce, sapendo che i suoi peccati sono stati perdonati. Inginocchiato ai piedi della croce, egli ha raggiunto la più elevata posizione che l’uomo possa ottenere. La sua fede l’ha salvato. Mediante la croce noi impariamo che il Padre celeste ci ama infinitamente. Possiamo forse stupirci dell’esclamazione di Paolo: ‘Non sia mai ch’io mi glori d’altro che della croce del Signor nostro Gesù Cristo!’ (Galati 6:14 Luzzi). È anche nostro privilegio gloriarci nella croce, è nostro privilegio dare tutto noi stessi a Colui che diede se stesso per noi . Con i volti illuminati dalla luce del Calvario, noi potremo avanzare rivelando questa luce a quelli che sono nell’oscurità”.2

Note
1 Nel Vangelo di Giovanni, l’espressione greca uper umon (per voi) esprime l’idea di “in favore di” (locuzioni prepositive: in favore di, a favore di, in beneficio, a vantaggio, o a sostegno di).  “Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Giovanni 17:19). Questa espressione “per voi” sottolinea anche l’azione dello Spirito Santo in favore dei credenti: “colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti [uper aghion: per i santi] secondo i disegni di Dio” (Rimani 8:27, 31).

2 E. G. White, Gli uomini che vinsero un impero, Ed. Adv, Firenze, p. 131).

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

Gesù esplosione di vita. Misericordia e sacrificio

Gesù esplosione di vita. Misericordia e sacrificio

Francesco Zenzale – Quando penso alla misericordia di Dio, alla sua grazia e al modo in cui Dio ha agito in favore dell’umanità, sono sempre più persuaso che egli abbia esplorato tutte le possibilità per salvare l’uomo. E se Dio ha scelto quella dell’incarnazione che inevitabilmente ha accompagnato Gesù al Calvario, ciò significa che quella era l’unica strada percorribile. Noi valutiamo la scelta di Dio con una visione limitata dal peccato e dalle sue conseguenze, ciò potrebbe indurci a formulare teorie contrapposte, fra le tante quella sostitutiva (Cristo è morto al nostro posto) e quella di separare la misericordia di Dio dall’opera di Cristo, affermando che la salvezza è accordata indipendentemente dal sacrificio di Cristo. In altre parole, la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del peccato e dalla morte, e la vittoria di Cristo sul male si pongono su due piani diversi.

Quest’ultimo pensiero teologico è costruito sul nobile presupposto che se Dio, per perdonare aveva bisogno del sacrificio di suo figlio, non è diverso dalle divinità pagane. Allora Dio perdona non perché è amore, ma perché sollecitato dal sacrificio.

Per sostenere questa idea, si indicano una serie di testi biblici,1 come anche la parabola del figlio prodigo (si trova in Luca 15:11 e segg.), tralasciando di prendere in considerazione che il favore di Dio, nell’Antico Testamento, si esprime in un contesto caratterizzato dai sacrifici, in modo particolare quello per il peccato.  Concetto, questo, presente anche nel mondo pagano, ma con una comprensione teologia diversa da quella impressa dal Dio d’Israele.

Riguardo alla parabola del figlio prodigo, indubbiamente, si evince la grandezza dell’amore di Dio, del suo eterno grado di accettazione e della sua misericordia, ma difficilmente si può trarre un insegnamento teologico sulla salvezza. L’espressione “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Luca 15:24,32) pongono l’accento sul comportamento misericordioso e la gioia del padre in contrasto con l’azione inqualificabile del figlio, come anche della reazione del figlio maggiore, ma non evidenzia in che modo il suo gesto misericordioso e di accoglienza acquista valore eterno. La parabola costituisce per noi tutti un esempio di vita su come dovremmo relazionarsi con il prossimo (figli, fratelli, sorelle, ecc.).

Certamente la misericordia Dio è salvifica, ma la salvezza è inevitabilmente legata al sacrificio. Nell’Antico Testamento è annessa all’immolazione di un animale idoneo per l’espiazione del peccato;2 nel Nuovo Testamento, alla morte di Cristo. In occasione dell’ultima cena Gesù pronuncia le seguenti parole: “questo è il mio sangue, il sangue del patto, il quale è sparso per molti per il perdono dei peccati” (Matteo 26:28). Egli coniuga il suo amore con il suo sacrificio. Così anche in Giovanni 13: “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici” (Giovanni 15:13).

Nel discorso di Pietro dopo la Pentecoste, il perdono dei peccati è legato all’annuncio della morte e della risurrezione di Cristo (Atti 2; cfr. Atti 5: 30-31; 13:37-38). In Romani 3:25 si desume che “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato”. E ancora, “Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8). Di fatto, “in lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia” (Efesini 1:7; cfr. Eb 2:17). L’apostolo Pietro ci rende consapevoli che “non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia” (1 Pietro 1:18,19).

La misericordia è sempre legata alla persona e all’opera di Gesù. Anche la riconciliazione, conseguente al perdono è intimamente congiunta alla morte di Cristo. “Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Romani 5:10; cfr. 2 Corinzi 5:18-21; Colossesi 1:22).

Alla luce di quanto espresso, credo che non sia biblicamente saggio scindere la grazia e il perdono di Dio dal sacrificio di Cristo. Inoltre, questo insegnamento dovrebbe essere compreso nell’ottica di un progetto universale, inteso a riconciliare il nostro piccolo pianeta terra al mondo di Dio e all’universo. La salvezza ha una valenza cosmica. Per realizzare questo proposito era fondamentale dare concretezza alle parole riconcilianti3 .

Di fatto, in passato, il Signore aveva manifestato la sua accoglienza per mezzo dei suoi messaggeri, ma in Gesù Cristo ha dato visibilità alla sua volontà redentrice. Ha reso tangibile e palpabile ciò che non lo era se non in forma simbolica (Eb 1:1-2).4 La grazia, nella vita, nella morte e nella risurrezione di Cristo acquista corporeità. Il semplice e profondo atto nel perdonare si materializza, diventa carne, lo si può toccare, respirare, contemplare. Ciò significa che la salvezza non può prescindere da Cristo.

Scrive, Giovanni: “ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo” (1 Giovanni 1:1-4). Grazie a questo gesto ineffabile di Dio, anche noi, con Giobbe possiamo esclamare: “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Giobbe 42:5).

Note
1 Fra i tanti: Isaia 44:22; 43:25; Osea 6:6; Matteo 9:13; 12:33, ecc.
2 Montone, agnello, ecc. Esodo 30:10; Levitico 4: 3,8, 14, 24; 5: 6-7; 23:19; 16. “Secondo la legge, quasi ogni cosa è purificata con sangue; e, senza spargimento di sangue, non c’è perdono” (Ebrei 9:22).
3 Misericordia, perdono, grazia, ecc.
4 In tal senso, l’autore della Lettera agli Ebrei illustra magistralmente in che modo Gesù ha adempiuto le variegate tipologie che lo raffiguravano.

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

Gesù esplosione di vita. Il vocabolario della salvezza

Gesù esplosione di vita. Il vocabolario della salvezza

Francesco Zenzale – Il linguaggio della salvezza si colora di immagini tratte dal contesto giuridico, sociale, economico, cultuale e familiare del primo secolo. Era così grande il desiderio di comunicare una verità straordinaria e sconvolgente che gli apostoli, per timore di non spiegarsi bene, hanno moltiplicato le metafore e le similitudini per presentare l’offerta di grazia e di perdono in Cristo, fondamento della nuova “creazione”.

Tuttavia le immagini vanno prese per quelle che sono: semplici illustrazioni. Spingersi oltre può significare introdurre una forzatura che rischia di nascondere più di quanto possa aiutarci a capire. Tutte le immagini vanno prese nel loro insieme e, piuttosto che soffermarsi sui dettagli, si dovrebbe cogliere il panorama che esse ci presentano. Quali sono i termini che annunciano la salvezza?
1. La giustificazione indica il bisogno di essere legalmente graziato o perdonato. L’immagine è tratta dal contesto forense e risolve il problema della colpevolezza (Romani 3:21,24; Galati 2:3).
2. La riconciliazione deriva dal contesto relazionale in cui l’inimicizia introduce l’elemento di sofferenza e quindi occorre ristabilire e recuperare quelle relazioni interrotte (2 Corinzi 5:18-20; Romani 5:10,11; Colossesi 1:20).
3. Dal mondo del commercio, della guerra e degli affari deriva il concetto di riscatto. Il problema è il denaro che manca e la soluzione è il pegno che viene dato in garanzia (1 Corinzi 1:30; Efesini 1:7,14).
4. Il concetto di purificazione è collegato al corpo umano che ha bisogno di un bagno ristoratore per togliersi di dosso la sporcizia (1 Corinzi 6:11; Efesini 5:2-6; Tito 2:12).
5. L’adozione è presa in prestito dalla vita familiare segnata dal lutto: orfani indifesi sono i figli che hanno perso i genitori. L’adozione, atto gratuito, è la soluzione che offre un nuovo focolare a chi ha subito quella triste perdita (Romani 8:13-23; Galati 4:5; Efesini 1:5).
6. L’idea della salvezza è tratta dal contesto di un imminente pericolo di vita in cui gli “infermieri e i medici” lottano per salvare la vita del paziente e offrono al malcapitato l’aiuto necessario per fugare il pericolo di morte (Efesini 2:5,8; 2 Timoteo 1:18; Tito 3:5).
7. Il perdono è collegato alla remissione di un debito che un individuo è costretto a contrarre a causa di circostanze avverse della vita (un raccolto perduto, una calamità naturale, l’emigrazione…) (Romani 4:4; Colossesi 1:14; Efesini 1:7).
8. La liberazione deriva dal contesto sociale ed è legato alla pratica della schiavitù. Il fallimento di un’impresa si risolveva concedendo se stessi come servi al parente prossimo in grado di riscattare le proprietà perdute, ma in questo caso la soluzione è la libertà ritrovata (1 Corinzi 7:22; Galati 5:1 Romani 8:2).
9. Il concetto di espiazione è collegato al culto e al santuario in cui era fondamentale che il sacrificio fosse in grado di cancellare ogni colpevolezza (Romani 3:25; Efesini 5:2).
10. Sempre dal mondo religioso deriva anche il concetto di santificazione. Per Paolo la santificazione non è un processo ma è qualcosa di più ampio. Dal momento in cui il credente si affida a Cristo è già “santificato” e “giustificato” (1 Corinzi 6:11).

Tutte queste illustrazioni ci fanno comprendere l’ampiezza del piano divino a favore dell’uomo, ma non esiste una graduatoria per stabilire quale sia l’immagine più importante. L’opera di Cristo va oltre queste illustrazioni. Semper maius, Dio ci conduce oltre a quello che in Cristo ci ha già donato, ma quando vogliamo forzare le illustrazioni si rischia di rendere incomprensibile quello che l’immagine desiderava semplificare.

Nota
Questa riflessione è stata tratta da uno studio non pubblicato del past. Giuseppe Marrazzo.

Pubblicato in omaggio e memoria del past. F. Zenzale.

Gesù esplosione di vita. L’estensione della fede

Gesù esplosione di vita. “È morto per noi”

Francesco Zenzale – “Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8).

La morte è una dolorosa esperienza che accompagna la vita senza che l’umanità, nel corso dei secoli, abbia trovato l’antidoto che ponga fine a questo tragico evento. Nessuno è morto lasciandoci un segno di speranza o di fiducia tale da farci credere che in un tempo lontano ci sarebbe stata un’inversione efficace a favore della vita. No! Nessuna aspettativa o eventualità di trascendere quest’umana esistenza. Si commemorano gli eventi della vita belli e brutti, ma non la vita, perché la morte è inattesa e oscura, capace di infrangere ogni aspirazione all’amore, al bene e alla fratellanza.

Noi moriamo a causa della nostra natura contrassegnata dal peccato, senza trarre alcun anelito alla vita per noi stessi e per l’umanità. Passiamo davanti al cimitero con il pensiero che prima o poi anche noi faremo compagnia ai nostri cari defunti. Molti sono coloro che hanno comprato una nicchia accanto ai loro cari! Uniti per sempre! Ma nella morte!

Di fronte a questo dramma, la parola ispirata ci informa che Cristo “è morto per noi” e non per se stesso o per Dio. Egli si è fatto uomo, ha vissuto su questa terra per circa trentatré anni, è morto ed è risorto per noi. Questo pensiero è presente in tutto il Nuovo Testamento. L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani, scrive che “mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi” (Romani 5:6-8; Efesini 2:1-3), evidenziando che Dio “mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8).

In virtù di questo atto d’amore, Dio non ci ha destinati a sottostare alle conseguenze del peccato “ma all’acquisto1 della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. (1 Tessalonicesi 5:9-10 Cei).

La sua morte risulta, per noi, motivo di speranza, di trascendenza e di sano orgoglio spirituale. In tal senso Paolo scrive che “non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo” (Galati 6:14).

l motivo per cui si addice ai credenti di vantarsi della croce sta nel fatto che la morte di Cristo è per il mondo come anche per il singolo: per te o per me. È sorprendente il fatto che, indipendentemente dalla nostra risposta personale a questo atto d’amore o dalla consapevolezza che si possa avere “il mondo è stato crocifisso” in Cristo. Ciò significa che l’umanità tutta è stata inseminata o inebriata dalla speranza, dall’eternità che fluisce dal Calvario.

Come vittima innocente, nella sua morte e risurrezione, ha posto fine al peccato e alla morte, offrendoci la gioia di pensare concretamente a un’esistenza intensa. Effettivamente, il “Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe, non è un Dio dei morti ma dei viventi!” (Marco 12:26-17).

In Gesù Cristo, la morte è stata ingoiata nella vittoria, così anche il peccato e il suo pungiglione (cfr. 1 Corinzi 15:54-58 Cei). Grazie a questo infinito dono, per fede, anche chi crede ha “vinto per mezzo del sangue dell’Agnello” (Apocalisse 12:11) e perciò, “noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Romani 8:37) e non per riconoscimenti personali. Salvati per grazia e non per opere, “altrimenti, la grazia non è più grazia” (Romani 11:5-6; cfr. Tito 3:5).

Gesù non solo ha annientato nella sua umanità tutto ciò che costituiva un ostacolo alla vita, ma questo percorso deflagrante è diventato per noi un’occasione per morire a noi stessi. Paolo afferma che “siamo morti al peccato” (Romani 6:2), perché “siamo stati battezzati nella sua morte, quindi sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita” (Romani 6:3-6).

Nota
1 “Acquistare” la salvezza nel senso che possiamo appropriarcene mediante un atto di fede e di abbandono, implicante la confessione della nostra impotenza e dei nostri peccati.

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore.

 

 

Gesù esplosione di vita. “Dato” e “versato per voi”

Gesù esplosione di vita. “Dato” e “versato per voi”

Francesco Zenzale – In occasione dell’ultima cena, Gesù “prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ‘Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me’. Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: ‘Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi’” (Luca 22:19-20).

Verosimilmente, in questa intima esperienza, Gesù non si sofferma tanto sul dramma della morte che stava per subire. Si avvicinava l’ora degli empi! (cfr. Matteo 26:45; Luca 22:53). Nella sua mente albergava il pensiero che la sua morte avrebbe avuto un significato cosmico ed eterno per chi avrebbe colto in quell’atto violento la fine del male, la sconfitta del peccato e del nulla, quindi il trionfo del regno del Padre. Egli non avrebbe più mangiato il simbolo del suo corpo, né bevuto il frutto della vita, fino al giorno in cui sarebbe venuto il regno di Dio (cfr. Luca 22:16-18; Apocalisse 19:9).

L‘espressione “questo è il mio corpo dato per voi” esprime l’insegnamento che Gesù ha offerto se stesso, da innocente, in favore dell’umanità. Lo stesso vale per la locuzione “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi”. Il sangue, simbolo della vita, che egli ha versato in nostro favore, ci offre la gioia di essere vincenti sul peccato e sulla morte come anche lui lo è stato.

Gesù, nella sua umanità, anticipa anche l’acutizzarsi di due realtà contrapposte che hanno caratterizzato l’esperienza umana sin dalla nascita.

1. Morte e vita. Un binomio antitetico che nelle ultime ore della sua presenza su questa terra caduca e speranzosa (cfr. Romano 8:19-23) duellano in Gesù uomo. In questa immane lotta, la natura umana corruttibile e mortale cede il passo: è sconfitta, polverizzata. Nella sua morte la vita fluisce trionfante a tal punto che il corpo seminato corruttibile, ignobile, naturale, finalmente zampilla incorruttibile, glorioso e spirituale (1 Corinzi 15:42-47).

2. Trasgressione e obbedienza, intesa come armonia con il cielo. Si sfidano e, finalmente, l’uomo secondo Dio stravince ponendo fine al peccato e a ogni forma di trasgressione. Infatti, “come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l’ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti” (Romani 5:19).

Da quanto evidenziato si evince che il percorso di vita di Gesù, la sua morte e la sua esplosiva risurrezione in favore dell’umanità sono elementi essenziali della salvezza. Finalmente il peccato e  la nostra natura bio-degradabile, di cui lui si era fatto carico, sono disintegrati.

Grazie a questo atto esplosivo, conseguente all’amore di Dio in nostro favore, abbiamo Gesù Cristo che ha vissuto, è morto ed è risorto (cfr. Romani 8:31-38); lo Spirito Santo che cammina con noi con sospiri ineffabili, rendendoci consapevoli del bisogno di Cristo, della salvezza che egli ha conseguito per noi (cfr. Giovanni 16:8-11), dei suoi doni che ci permettono di pervenire alla statura perfetta di Cristo, permettendoci di vivere nella pienezza di Dio (cfr. Efesini 4:11-13; 3:14-21); e infine abbiamo l’amore di Dio Padre che ci accoglie senza riserve, risvegliando in noi il desiderio di amarlo e di orientare quest’amore verso il prossimo (cfr. Matteo 25:31 e seguenti).

Il Signore viene incontro a noi come uno che ama tanto (Giovanni 3:16), facendoci conoscere ciò che è bene; che altro potrebbe chiederci se non di amarlo “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e di amare il tuo prossimo come te stesso” (Matteo 22:36-40).

Pubblicato in omaggio e memoria dell’autore scomparso di recente.

Gesù esplosione di vita. Il gioco delle parti

Gesù esplosione di vita. Il gioco delle parti

Francesco Zenzale – Spesso facciamo fatica ad accettare il fatto che qualcuno possa veramente interessarsi a noi senza pretendere nulla in cambio. Ancora oggi, a distanza di millenni, ci troviamo di fronte a una religiosità contraddistinta dal rifiuto di un gesto d’amore disinteressato. Tendiamo a credere che Dio non possa redimerci se noi non facciamo la nostra parte. In altre parole, una relazione salvifica concepita dal “tu mi dai e io ti do”. In qualche modo questo genere di relazione è impresso nel nostro modo di essere. A ogni gesto deve coincidere una reazione correlata. Non ci accontentiamo di un semplice grazie, pretendiamo un riconoscimento concreto, diversamente ne va di mezzo il rapporto. Questo modo di fare tende a intrappolare l’altro, perché presuppone un ristorno soddisfacente. L’amore che tanto decantiamo in fondo non è poi così disinteressato.

Dio non fa parte di questo gioco delle parti. Egli è amore e non pretende nulla.

Un giorno Gesù guarì dieci lebbrosi; a distanza di poco tempo, solo due ritornarono per ringraziarlo, gli altri otto continuarono a vivere liberamente. Gesù non li indusse a giustificare il loro scortese comportamento, proseguì per la sua strada senza essere turbato dal loro comportamento, ma contento perché tutti erano tornati a vivere in un contesto sociale che prima era loro negato.

Al buon ladrone, Gesù non chiese nulla in cambio dell’offerta paradisiaca. Vi fu una richiesta, espressione di fiducia e di accettazione di Gesù come Messia-Re, quindi la risposta de-angosciante: “tu sarai come me in paradiso”. Il ladrone era privo di qualsiasi contropartita, accettò la promessa, rimase ancora per qualche tempo a contemplare Gesù, ascoltò le sue ultime parole: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Luca 23:46) e poi morì nella beata speranza del regno di Dio.

Alla peccatrice che stava per essere lapidata, dopo averla perdonata, Gesù dice: “va’ e non peccare più» (Giovanni 8:11). Questa ingiunzione non deve essere compresa come se il perdono richiedesse una ricompensa redentiva, ma come un invito a migliorare la qualità della vita. Continuare a vivere come prima implicava un modus vivendi frustrante, privo di significato; inoltre, secondo legge di Mosè, la lapidazione. La guarigione disinteressata del paralitico di Bethesda chiarisce questo pensiero: “Più tardi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: ‘Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio’” (Giovanni 5:14).

È possibile che anche oggi molti credenti meritino lo stesso richiamo che Paolo rivolse ai credenti della Galazia. “O Galati insensati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo è stato rappresentato crocifisso? Questo soltanto desidero sapere da voi: avete ricevuto lo Spirito per mezzo delle opere della legge o mediante la predicazione della fede? Siete così insensati? Dopo aver cominciato con lo Spirito, volete ora raggiungere la perfezione con la carne?” (Galati 3:1-3).

Paolo prosegue nella sua lettera evidenziando che la redenzione non prevede nessuna contropartita, perché “la grazia, dono di Dio, non è un espediente pubblicitario: è assolutamente, completamente gratuita. Tutto quello che dobbiamo fare è accettare questo scambio straordinario: cediamo la nostra vita peccaminosa e riceviamo in cambio la vita perfetta di Gesù. Non dobbiamo guadagnarci il cielo facendo qualcosa: il perdono, la vita eterna sono nostre per quello che Gesù ha fatto per noi. Questa è veramente una buona notizia. Forse molti di noi hanno paura di manifestare la gioia della libertà che otteniamo in Cristo, perché temono che un dono gratuito ci porti a sottovalutarne il costo. Ma proprio la sua completa gratuità rende il dono di Gesù niente meno che lo scambio più costoso dell’universo. ‘Sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia’ (1 Pietro 1:18,19)”- C. Klingbeil, Il Messaggero Avventista – Settimana di preghiera 2010, sez. mercoledì, Ed. Adv, Impruneta (Firenze).

Gesù esplosione di vita. Perché si è fatto uomo?

Gesù esplosione di vita. Perché si è fatto uomo?

Francesco Zenzale – I motivi per cui Gesù si è fatto uomo sono svariati. Nel Vangelo di Giovanni, capitolo 17, Gesù stesso evidenzia quelli più importanti. Eccoli in breve:
– per dare vita eterna a tutti coloro che crederanno in lui (v. 2; cfr. Giovanni 3:16);
– per farci conoscere il vero carattere di Dio, che è amore (vv.3, 6, 26; cfr. Giovanni 14.9);
– per compiere l’opera che il Padre gli aveva affidato (v.4; cfr. Giovanni 4:34);
– per offrire la parola di Dio e santificarci nella verità (vv. 14-17);
– affinché coloro che credono in lui siano uniti nella fede in Dio (vv. 20-23);
– affinché, un giorno, chi crederà in lui per mezzo della Parola sarà con lui nella sua gloria (vv. 24-25).

Oltre a queste brevi e significative risposte, possiamo cogliere altri importanti motivi se esaminiamo la sua presenza fra noi in relazione alla salvezza.

Gesù si è fatto uomo perché nessun essere umano avrebbe mai potuto operare in favore della propria redenzione. L’uomo non poteva essere “come Dio” prima del peccato e non lo è ancor più dopo. Non può in alcun modo pensare di essere Dio e di gestire la vita – che sua non è – autonomamente.

Antiche e nuove filosofie di vita cercano di farci credere che Dio è dentro di noi. Perciò, per vivere un’esistenza serena e ultraterrena, è importante mettersi in contatto con il “dio” che è in noi ed essere in sintonia con la natura. Poi ci sono religioni antiche e nuove secondo cui ogni essere umano ha in sé un’anima immortale o un’energia vitale, che trasloca nel cielo quando si muore. Una comprensione dicotomica dell’uomo tipica del mondo greco. Niente di più inattendibile. Nel mondo orientale, quello animista, si parla di trasmigrazione delle anime: una sequenza di reincarnazioni fino al punto di arrivare a essere parte del ṇirvāna. Anche questa teoria è ingannatrice e in qualche modo riproduce la tentazione edenica: “Voi sarete come dio” (Genesi 3:5).

Io credo che Gesù si sia fatto uomo per aiutarci a capire che alla morte non c’è soluzione umana e che le teorie intorno al dopo morte sono devianti, un’illusione esistenziale. L’uomo non può salire in cielo in nessun modo se non per mezzo di colui che è disceso dal cielo ed è risalito dopo la drammatica esperienza umana. “Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell’uomo” (Giovanni 3:13).

 

 

Pin It on Pinterest