Un fastidio chiamato noia
22 Agosto 2024

“Tutti i problemi dell’umanità derivano dall’incapacità di sedersi tranquillamente da soli in una stanza”, Blaise Pascal.

Corina Matei – Per alcuni giovani le vacanze estive sembrano segnate da una noia enorme e persistente. Almeno così ci riportano i commenti su Internet e nella vita reale: in campagna, dai parenti, al parco e al ristorante… “Che noia, fratello!”, “Non c’è niente da fare!”. Spesso queste espressioni sono accompagnate dal racconto delle attività da praticare nel tempo libero. Con l’aggravarsi della situazione, questi ragazzi finiscono per lamentarsi pubblicamente e con schiettezza come se fossero affetti da una malattia.

In molti casi condividono questa sofferenza tra di loro e chiedono consigli. In altri, offrono qualche possibile rimedio, in modo solidale. Si comportano come se avessero una patologia comune, e chi è in buona salute non può capirli. È un problema frequente e, di certo, l’abbiamo notato anche noi. Quindi, è giusto preoccuparsene e cercare di offrire un aiuto, in qualche maniera.

La noia tra cultura e vita quotidiana
La letteratura e il folclore raccontano celebri esempi di noia: dalla grave o rassegnata immobilità dei personaggi di Cechov alla “bruttezza e tristezza” del cittadino George Topârceanu in “My Summer House”; dai ricordi d’infanzia di Ion Creangă sulla sua caccia alle mosche con un libro, fino al personaggio Oblomov di Ivan Goncharov… la lista potrebbe continuare.

L’idleness, l’ozio, a volte è “praticato” senza sentirsi a disagio proprio come, nella favola di La Fontaine, la cicala trascorre l’estate cantando e svagandosi senza preoccupazioni immediate. Gli italiani hanno coniato l’espressione “dolce far niente” [in italiano nel testo, ndt] per descrivere questo stato. La noia, tuttavia, è sempre scomoda, e può verificarsi sia nell’ozio che al di fuori di esso, nelle attività e nell’inazione. Eminescu ha detto che i giovani del nostro tempo sono “stanchi senza fare nulla”, che poltriscono con la scusa di studiare.

L’immagine classica della piacevolezza dell’ozio, com’è trasmessa ancora oggi nelle pubblicità e nei film, è quella di un’amaca appesa in qualche posto in riva al mare, su un’isola tranquilla all’ombra di una palma. Non si tratta solo di una bella giornata che trascorre placidamente, rinfrescata dal soffio dei ventagli, o con i cerimoniali del servizio dei pasti, del caffè, del tè, ecc. L’ozio ha anche forme occidentali, nello stile di vita borghese. La noia, però, può sorgere anche mentre ti rilassi su un’amaca o sei a una festa. Può capitare di viverla anche nel più invidiabile attimo di relax e benessere. Di conseguenza, si cerca ogni sorta di idea che dia la carica, in linea generale attraverso occupazioni viziose o dubbie, ma deliziose e stimolanti.

La noia riguarda l’assenza di piacere, uno stato di mancanza di interesse in quello che stai facendo. Significa non essere dell’umore giusto qualsiasi cosa sperimenti; sentirsi sempre più scoraggiati quanto più si esplora; cercare sempre nuovi piaceri e distrazioni, o di maggiore intensità; è anche l’atteggiamento dei potenti blasé ovunque e in ogni tempo.

Anche se i modi in cui si esprime variano da un periodo all’altro, la noia ha una costante. Implica sempre una stanchezza e un’angoscia associate alla pigrizia, all’inattività o alla routine. È un confinamento interiore, una mancanza di orizzonti e possibilità, una repulsione a stare da soli o in presenza di altri. È il persistere e la saturazione di uno stato senza risorse e verso tutto ciò che è proposto, a volte con la sensazione di essere imprigionati in questa condizione. Da qui il travolgente senso di impotenza, ma anche la paura che cose attraenti o importanti accadano solo ad altre persone, altrove. Diventa patologico quando produce una costante insoddisfazione per gli eventi della vita, per il momento presente e per la compagnia degli altri, ma anche, consciamente o inconsciamente, con se stessi.

Rimedi dall’interno
Ecco, allora, cosa potete scovare sul web a proposito di consigli e rimedi di giovani che sono “annoiati a morte” e vogliono “ammazzare il tempo” più velocemente possibile: cercare o pubblicare barzellette, imitare gli animali, far finta di suonare la chitarra, disegnare, truccarsi, ballare, fare scherzi e smorfie mentre si filma, ecc. Se i suggerimenti variano di tanto, hanno tutti un denominatore comune: cercano di sostituire la noia con situazioni divertenti, come se l’intrattenimento fosse l’alternativa, l’unico stato d’animo da desiderare, indotto e preservato, come se la sua assenza producesse solo stati d’animo negativi.

Le soluzioni proposte provengono da dentro il problema, dal punto di vista della persona coinvolta, pertanto non sono poi così utili; ricordano il modo assurdo in cui il barone Munchausen, famoso bugiardo e avventuriero, si “salva” dall’annegamento, con il cavallo e tutto il resto, tirandosi su per il collo. Non riuscendo a identificare la vera causa della noia e dell’immobilismo, si propongono varie attività per combatterne solo gli effetti. L’unica preoccupazione è quella di moltiplicare le idee per superare un periodo estremamente noioso. E alla fase successiva e simile, che sicuramente tornerà, saranno impiegati gli stessi metodi. È come se per curare un prurito si suggeriscano mille modi di grattarsi.

A volte è come se cercassimo a tutti i costi di evitare lo stato che provoca la noia. Una situazione più seria, un atteggiamento più sobrio, un evento solenne, un’informazione impegnata: tutti questi elementi tendono a peggiorare il buon umore e, se persistono, possono condurci alla noia. Per chi si ribella, qualsiasi condizione o idea etica, educativa o civica può rasentare la noia. Questo pericolo diventa, quindi, una giustificazione per l’evasione, per evitare la partecipazione, la cooperazione, l’empatia. In effetti, si cercano soluzioni per evitare di innescare la riflessione, il ragionamento e il pensiero critico, per sfuggire allo sviluppo del pensiero, del carattere e della personalità.

Cause e rimedi per questa patologia culturale
A molti capita di vivere diversi periodi noiosi. Si verificano anche casi che scattano da un impedimento oggettivo o da un’impossibilità. L’“uomo monodimensionale” della filosofia esistenzialista, ad esempio, è ridotto dalla forza delle circostanze sociali a una posizione di noia e disumanizzante, o a un lavoro routinario. Chaplin lo ha rappresentato al meglio con il personaggio dell’operaio su un nastro trasportatore, che gira le viti più e più volte, a tutte le ore, giorni e anni del suo lavoro.[1]

La noia, però, è davvero malsana quando deriva dalla povertà interiore dell’individuo. Può anche essere considerata un disturbo quando trapela da una carenza spirituale e intellettuale, da una pigrizia del pensiero, non solo dell’azione, da un rifiuto di svilupparsi, da una stagnazione in uno stato gregario e avvilente dell’esistenza.

Non è salutare, inoltre, trascorrere del tempo senza dargli valore, senza usarlo in modo utile e costruttivo, ma semplicemente per “ucciderlo”. Ciascuno dei tre ritmi apprezzabili della vita umana – lavoro, riposo, relax – richiede del tempo da passare in modo fruttuoso, ed è naturale che sia così. Ma utilizzare questo tempo per niente, aspettare solo che passi, rifugiarsi in attività sciocche per farlo finire più velocemente, è un modo malsano di vivere il tempo della vita, e a volte, di chi ci è accanto. È come sprecare un tesoro. Si usa dire così: quando vuoi manifestare il tuo amore a qualcuno, gli doni il tuo tempo. Quindi, il tempo è davvero una ricchezza che non può essere sostituita con altri mezzi, come il denaro, i regali, le dichiarazioni, il benessere, ecc.

Konrad Lorenz, insignito del Premio Nobel per la medicina e la fisiologia, ha evidenziato l’esistenza della “neofilia” come malattia culturale: “Dal momento che il progressivo restringimento della capacità di sperimentare il piacere deriva generalmente dall’adattamento a situazioni di stimolo sempre più forti, non sorprende che le persone blasé siano sempre alla ricerca di nuovi stimoli… Per l’individuo afflitto da questo disturbo della ‘civilizzazione’, tutto ciò che ha posseduto per un certo periodo perde attrattiva, che si tratti di un paio di scarpe, un abito, un’auto, persino del suo amico”.[2]

Da dove arriva il declino della capacità di provare piacere?
Dall’opacizzazione dei sensi, risponde Lorenz; dall’assuefazione a una vita confortevole e tiepida, libera da ogni impegno, prova e sfida. Da tutto ciò, se lo accettassimo, il popolo molle della civiltà odierna potrebbe rafforzarsi. Se si lottasse, ci si impegnasse, se si vincesse o, a volte, si venisse sconfitti, la soddisfazione finale porterebbe ogni ricompensa. Si sperimenterebbe la gioia della vita. Si scoprirebbero tutte le delizie degli obiettivi raggiunti, tutta la saggezza delle lezioni dolorose ma preziose, tutta l’autostima della propria realizzazione. In altre parole, la voglia di vivere riemergerebbe. E con essa, quei piaceri e quelle soddisfazioni cancellati o spenti dalla noia si riaccenderebbero, colorando ogni momento.

In particolare, i rimedi che alcuni terapeuti hanno scoperto sono ostacoli naturali o situazioni al limite che vanno affrontati. Queste strategie possono essere deliberatamente pianificate e utilizzate con i “giovani annoiati”: programmi di formazione nella natura, impiegandoli come bagnini, mettendoli di fronte a vari pericoli, per uscire da vicoli ciechi, trovare soluzioni, e così via.[3]

Inoltre, è emerso che il risveglio da questo disturbo può essere causato anche da eventi drastici di un’epoca (rivoluzioni, guerre, crisi), dal lavoro creativo, da incidenti o malattie che ti mettono tra la vita e la morte, e dalla conversione religiosa che dona pace all’anima, anziché torpore. Una visione che richiede un ripensamento del valore della vita e del tempo, una rinascita della gioia di affrontare esperienze diverse, non solo piacevoli, anche dolorose o disturbanti ma costitutive di ogni essere umano nella sua completezza.

Evitare lo sforzo e la sofferenza è la prima causa della fragilità e dell’involuzione spirituale di una persona. La noia di una vita tiepida ne è solo un effetto. La spiegazione sta nel fatto che il costante desiderio di progredire, di migliorare come essere umano, rende impossibile uno stato di disappunto e disillusione. Semplicemente si genera una trasformazione mentale, un cambiamento della qualità della vita. Si diventa umani accettando che l’impegno, il dolore e il desiderio di superare gli ostacoli sono la prerogativa di ogni persona per raggiungere qualcosa, per conquistare un territorio della realtà, per creare un mondo. Così Lorenz lancia l’allarme sullo stato di rischio che l’umanità ha raggiunto: “Non mancano gli ostacoli da superare se l’umanità non vuole perire, e sormontarli è una sfida sufficiente per fornire a ciascuno di noi adeguate possibilità di dimostrare il proprio valore e merito. Sarebbe un compito educativo gratificante fare in modo che i giovani ne siano consapevoli”.[4]

L’istruzione, quindi, ha un ruolo cruciale nel cambiare l’attuale e scoraggiante mentalità del modo di vivere. È una responsabilità dei genitori e dei nonni, principalmente, e poi della scuola, per due motivi: poiché le abitudini sulla maniera di trascorrere il tempo si formano fin dalla tenera età, e perché il tempo per l’istruzione in questo senso è più probabile che sia gestito dai membri della famiglia che dagli insegnanti. Padre Arsenie Boca ha raccontato un episodio[5] della sua infanzia; suo padre gli impartì la lezione più importante quando chiese di promettere che non avrebbe mai sprecato tempo nella sua vita. La sua esistenza si è completata poi con il modello cristiano che non lasciava spazio a perdite di tempo.

Il Salvatore è l’esempio per eccellenza della totale fecondità della vita, della realizzazione sapiente, della vittoria su tutti gli ostacoli, della gloria eterna. E l’esistenza di coloro che hanno Gesù come esempio è caratterizzata, secondo la sua promessa, dalla “pienezza” (Giovanni 10:10).

(Corina Matei è giornalista, scrittrice e professoressa di filosofia all’Università di Bucarest. Conduce anche un programma televisivo sulla rete romena Speranta TV)

Note
[1] Nel film “Tempi moderni”.
[2] K. Lorenz, Civilized Man’s Eight Deadly Sins (Gli otto peccati capitali della nostra civiltà), 1973, p. 40.
[3] Ivi, pp. 41-42.
[4] Ivi, p. 42.
[5] Padre Arsenie Boca, Obiectivul Bratu (Target Bratu), Bucarest, Sophia Publishing House, 2009.
[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

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