Rachele Intagliata – Nel weekend dal 18 al 20 ottobre, presso il centro “Casuccia Visani” a Poppi (AR), si è svolto il VII Convegno nazionale avventista sulla relazione d’aiuto, dal titolo “La gestione dei confini. Tra incontro e separazione nella relazione d’aiuto”, organizzato dal Dipartimento Ministeri della Famiglia. L’evento era rivolto a tutti i professionisti che lavorano in questo ambito: psicologi, counselor, assistenti sociali, educatori, insegnanti e figure sanitarie.
“Siamo in una grande piazza. Camminate, vedendo solo le vostre scarpe”. Così è iniziato il nostro convegno. Nessuno si è solo guardato le scarpe, perché nessuno si è scontrato con l’altro. Siamo un confine per l’altro. Noi, mettiamo dei confini, a volte inavvertitamente, altre volte volontariamente. E sono l’espressione dal nostro essere qui e ora. Possono essere permeabili, rigidi, inesistenti. Parlano a noi stessi e di noi agli altri.
Ed è stato interessante vedere come la nuova Gerusalemme (descritta nel libro biblico di Apocalisse 21, ndr) abbia mura, ornamenti e porte (con incisi i nomi delle 12 tribù) non per difendere e allontanare, ma per ricordare la nostra identità.
Fondamentale è stato capire come i confini, e il modo in cui li gestiamo, debbano essere oggetto della nostra attenzione: li possiamo “sentire”, “ascoltare” e anche “vedere”, attraverso i sintomi con cui il nostro corpo ci parla. E tutto questo per poter essere d’aiuto a noi e al prossimo – sempre che voglia essere aiutato
In questo, il gran Medico ci ha lasciato degli ottimi esempi da seguire. Gesù aspettò al pozzo la donna samaritana e lei gli chiese “dammi di quest’acqua” (Giovanni 4:15), per superare i confini del tempo che tenevano separati i Giudei dai Samaritani. Ma, allo stesso tempo, dobbiamo stare lì pronti ad aiutare e a non invadere il confine dell’altro. Come nel caso del centurione, nel Vangelo di Luca, che preferì chiedere a Gesù di compiere il miracolo ma senza varcare la soglia della propria casa: “di’ una parola e il mio servo sarà guarito” (Lu 7:7).
I “confini”, abbiamo imparato, non sono solo quelli che definiscono noi stessi, ma anche quelli socio-politico-culturali.
Arricchenti sono state le esperienze dirette raccontate: da quelle vissute in uno studio clinico a quelle delle istituzioni dei servizi sociali; da quelle dei contesti sanitari a quelle in ambito scolastico. Ma tutto dipende da noi, dal conoscersi, prendere atto di noi nel volersi migliorare, ristabilendo anche dei confini.
Sono cresciuta molto in consapevolezza, partecipando a questo convegno. E tre sono le cose che in particolare porterò dentro di me:
– quanto le modalità e l’ambiente in cui si nasce incidano sulla formazione del senso di sé e dei propri confini;
– prendere consapevolezza di ciò cambia completamente la prospettiva di relazione (visione) di me stessa e del prossimo;
– la responsabilità che ho nei confronti dei figli, ai quali insegnare a costruire in modo sano i propri confini.
Al termine del convegno abbiamo ringraziato i relatori che hanno saputo arricchire il nostro bagaglio di conoscenza sul tema dei confini: Stefano De Vecchis (infermiere), Giusy Catalano (assistente sociale), Elisa Severi, Deborah Giombarresi e Mirela Pascu (psicologhe/psicoterapeute), Antonietta Fantasia (educatrice), Saverio Scuccimarri (pastore e decano della Facoltà avventista di teologia).
All’incontro hanno partecipato anche il past. Ignazio Barbuscia (segretario dell’Unione italiana- Uicca) e sua moglie Loide.
,[Foto pervenute dal Convegno sulla relazione d’aiuto 2024]