A qualunque costo
5 Aprile 2023

La prospettiva di "perire" era in effetti definitiva.

Martin Mato – Furiose nuvole di fumo nero si alzavano nell’aria secca e polverosa, distanti e minacciose. Sapevamo fin troppo bene cosa significasse. Per settimane si erano verificate tensioni tra due importanti tribù nello stato di Kaduna, in Nigeria, con fatti di sangue nei villaggi non lontani dall’omonima capitale. In seguito, si erano diffuse voci secondo cui la fazione antagonista intendeva portare la lotta in città. Il fumo rendeva spaventosamente chiaro che avevano mantenuto il loro avvertimento.

La città era lontana da dove viveva la mia famiglia (più di dieci chilometri), e saremmo stati al sicuro se fossimo rimasti a casa. Il panico che cresceva dentro di noi riguardava mio fratello e mia sorella più piccoli, usciti quella mattina per andare a scuola dall’altra parte della città. La capitale era ormai diventata un ammasso di mini-zone di guerra. Eravamo preoccupati anche per mio padre. Quasi casualmente prima di andarsene tre o quattro ore prima, ci aveva detto che sarebbe andato lui a "prenderli" a scuola.

Il tempo passava e non succedeva niente. Papà non tornava. Abbiamo aspettato e aspettato. All’improvviso abbiamo visto la nostra macchinina rossa spuntare da una curva vicina e dirigersi nella nostra direzione. Con stupore e gioia abbiamo visto avvicinarsi la macchina e quando si è fermata sono usciti mio padre, mio fratello e mia sorella e quattro soldati, tutti illesi. Tutti e sette erano riusciti in qualche modo a infilarsi in quella minuscola berlina a due porte.

Non dimenticherò mai le parole, pronunciate in hausa, del primo soldato che scese dall’auto: “Baban ku nan, shi ma soldier ne". Tradotto significava: "Anche tuo padre è un soldato". Poi ci raccontò che mio padre era arrivato a un posto di blocco alzato dai soldati, loro avevano cercato di impedirgli di andare oltre spiegando che c’erano molti posti pericolosi tra il luogo dove si trovavano e quello dove voleva andare. Ma papà aveva risposto: “I miei figli sono laggiù. Se volete aiutarmi, venite con me. Altrimenti, lasciatemi stare. Io devo andare".

Un altro salvataggio 
La luna era piena quella notte di circa 2000 anni fa. Il cielo era limpido. Era possibile leggere una pergamena al chiaro di luna, pur affaticando un po’ gli occhi. Il giardino era tranquillo come al solito e le quattro persone che si trovavano lì non erano estranee a quei pacifici boschetti.

La differenza quella notte era che il capo del gruppo non era se stesso, neanche lontanamente. Era chiaramente oppresso. Era andato nel giardino come uno che cerca di non soccombere sotto un grosso peso. Sudava copiosamente, anche se il clima era mite. In quel momento non pregava nell’abituale posizione, ma prostrato a faccia in giù, le mani aggrappate al suolo per la disperazione. Non molto lontano, i suoi amici giacevano profondamente addormentati.

Ma anche se fossero stati svegli e avessero potuto vedere le grosse gocce di sangue sulla sua fronte e udire i suoi gemiti incomprensibili, sicuramente non sarebbero stati in grado di capire l’entità di ciò che accadeva. Non sarebbero stati capaci di vedere che suo Padre aveva quasi ritirato ogni segno della sua presenza dal loro maestro agonizzante. Non sarebbero stati in grado di comprendere quanto si sentisse solo o di sentire il peso schiacciante della decisione eterna che era davanti a lui.

Tuttavia, i problemi erano chiari allo stesso “portatore” del peccato. Sapeva di poter sospendere la missione di salvezza e tornare semplicemente a casa, a casa per ricevere l’adorazione di migliaia di migliaia di angeli e di tutti gli esseri non caduti su innumerevoli pianeti. Poteva giustamente lasciare gli umani ingrati al loro destino, salvarsi da quella che sembrava una morte certa ed eterna, e avrebbe avuto perfettamente ragione nel farlo.

Ma “Egli vede i trasgressori della legge abbandonati a se stessi, destinati a perire; vede l’uomo in uno stato disperato; scorge la potenza del peccato e gli appaiono il dolore e i lamenti di un mondo condannato. La sua decisione è presa: salverà l’uomo a qualunque costo. Accetta il battesimo di sangue, perché con la sua morte milioni di esseri umani possano avere la vita eterna”.[1]

Affrontare l’ignoto 
La prospettiva di "perire" era definitiva. Non gli sembrò che sarebbe “risorto il terzo giorno”, come egli stesso aveva detto con sicurezza in circostanze molto diverse. Quella notte il Creatore dell’universo vide che saremmo stati irrimediabilmente perduti se ci avesse lasciato a noi stessi, e decise di morire al nostro posto "a qualunque costo".

Anche se suo Padre lo avesse rifiutato per sempre per aver preso il mio posto, vile e miserabile come sono, lo avrebbe fatto. Anche se il suo possente trono fosse rimasto vuoto per sempre purché la salvezza e la santificazione fossero assicurate per quella frazione della razza umana che accetterà il suo sacrificio per loro, lo avrebbe farebbe. Qualunque fosse stato il prezzo per salvarci, era pronto a pagarlo. Questo era stato il senso di tutta la sua vita sulla terra, e ora era rivelato all’intero universo.

Nelle ore che seguirono, una scena vergognosa dopo l’altra ebbero luogo in rapida successione, calcolate per mettere alla prova il Signore al massimo, ma la sua decisione era presa e non la cambiò fino alla fine. Una folla trattò il Principe della Pace come se fosse un criminale comune. Un tribunale notturno a cui mancava persino una parvenza di giustizia processò e condannò il Giudice di tutta la terra. Soldati romani ignoranti sputavano e ridevano del miglior Soldato del cielo. Un sovrano codardo interrogò il Leone della tribù di Giuda. Un altro despota, vile e omicida, ordinò che colui che era "la Resurrezione e la Vita" operasse un miracolo. I demoni in forma umana iniziarono e aumentarono il grido di crocifiggere Michele, l’Arcangelo. Ma nulla avrebbe dissuaso dall’essere concentrato sul riscattare gli abitanti di questo granello di pianeta.

Anche mentre era in croce, Satana, con le sue feroci tentazioni, strinse il cuore dell’Uomo dei dolori disprezzato e rifiutato. “Il Salvatore non riusciva a scorgere nulla al di là della tomba. La speranza della sua vittoria sul sepolcro vacillava, e non era più sicuro che il suo sacrificio fosse gradito al Padre. Sapendo che il peccato è odioso agli occhi di Dio, temeva che la separazione fosse eterna”.[2]

Vi è un inno che amavo da piccolo e mi rendo conto che è sbagliato. Non disse ai soldati “continuate, , piantate i chiodi nelle mie mani" sicuro che sarebbe "risorto". Molto probabilmente disse loro "continuate, piantate i chiodi nelle mie mani" perché così molti sarebbero stati salvati. "Forse non io stesso, ma molti". Il Tambaya Mato è ora un ultrasettantenne ricurvo e l’amore che lo spinse a rischiare la vita per salvare i suoi due figli molti anni fa vive nelle nostre menti come una testimonianza dell’amore paterno. Ma quanto l’infinito è al di sopra del finito, così l’amore del Salvatore per l’umanità è superiore all’amore di un padre terreno per i suoi figli. Le parole non possono spiegare né le menti umane possono comprendere appieno il suo sacrificio, ma l’Uno Infinito lo ha pianificato e predetto; e per assicurarsi che non lo dimenticassimo da questa parte del cielo, fece del nome stesso del Salvatore sulla terra una promessa. Egli era colui che l’angelo annunciò: “è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati” (Matteo 1:21).

Note 
[1] Ellen G. White, La speranza dell’uomo, Adv, Firenze, p. 690. 
[2] Ivi, p. 753.

(Martin Mato vive nella città di Kaduna, in Nigeria, dove lavora come Linux administrator. È sposato e ha due figli).

[Foto e fonte: Adventist Review. Traduzione: L. Ferrara]

 

 

 

 

 

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