Iraq. Non c'è più futuro nella nostra terra
12 Novembre 2014

N38-Porte Aperte_campi_profughi_nlLe voci direttamente dai campi profughi nel nord dell’Iraq presentano una situazione di grande difficoltà. Sempre di più considerano la fuga come unica via d’uscita per avere la possibilità di un futuro.

Porte Aperte – L’inverno è vicino e migliaia di cristiani iracheni saranno costretti a viverlo in tende e rifugi improvvisati, come profughi  nel loro stesso paese, lontani dalle proprie case, abbandonate in fretta e furia per salvarsi dai miliziani dell’Isis. Serpeggia nei campi profughi del nord dell’Iraq un sentimento sempre più diffuso: non c’è più futuro nella nostra terra.

“I primi giorni e settimane, la gente qui pensava ancora alla propria casa. Ma ora, dopo mesi di vita in queste condizioni, molti hanno perduto questo sentimento. Sanno che le loro case sono state saccheggiate, ma non solo dai miliziani dell’Isis”, ha riferito un operatore di un campo profughi allestito in una chiesa. Sanno che molte delle loro proprietà sono state rubate da persone comuni che vivono nei villaggi vicini e questo distrugge ogni speranza di ritorno. “Le comunità sono state distrutte dall’interno”, ha concluso l’operatore sconsolato.

Ma per Rajih, responsabile di un campo profughi con 350 famiglie, di cui 80 per cento cristiane, allestito sui piani alti di un grande centro commerciale vicino al centro storico di Erbil, nel nord Iraq, la soluzione più veloce “è scappare tutti da qui!”. Nelle sue parole non vi è solo una provocazione, ma il disperato affanno di aver a che fare ogni giorno con tutta questa ingiustizia e miseria.

Una giovane donna fuggita da Qaraqosh a inizio agosto, di nome Jala, dice: “Prima abbiamo vissuto in tende, poi in un edificio in costruzione. Ora ci siamo spostati in un appartamento fuori Erbil, ma è troppo costoso per noi, e siamo tutti senza lavoro”. Questi profughi, infatti, sono di lingua araba, vengono dalla pianura di Ninive e ora si trovano nel nord Iraq, il Kurdistan, dove si parla curdo, una lingua completamente diversa. “Se vogliamo lavorare, dobbiamo parlare curdo, ma noi parliamo arabo. E gli affitti sono troppo costosi per noi”, ripetono in molti, disperati e impotenti.

Nasir, un giovane cristiano iracheno padre di due bimbi, non è d’accordo con chi dice di lasciare l’Iraq: “Dio ci vuole qui e noi staremo qui. Ma molte famiglie che conosciamo non vedono futuro per loro e i loro bambini”.

La situazione in Iraq è allarmante; questo paese si sta dissolvendo. Molti cristiani iracheni perdono la speranza di poter ritornare alle loro case; il loro fondi personali si esauriscono e opportunità di lavoro non ce ne sono nelle zone dove sono fuggiti.

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