Pasqua: un agnello per amico

Pasqua: un agnello per amico

Giovanni Fantoni – Da bambino vissi alcuni anni in campagna, in una casa colonica. Un giorno mi permisero di giocare a lungo con un bell’agnellino. Lo ricordo ancora… Ma il giorno dopo, doveva essere Pasqua, mi diedero da mangiare della carne. Poi mi dissero che era l’agnellino con cui avevo giocato. Ne soffrii tanto… Anni dopo, a mio figlio mentre eravamo ospiti da amici capitò la stessa cosa con un piccione. Rammento i lacrimoni che gli rigarono il viso… Erano buoni amici, care persone, ospitali. Ma lui aveva giocato con quel volatile, se ne era preso cura per un’oretta, quella mattina, e gli si era affezionato. La scelta di diventare vegetariani è personale, non può essere imposta; ha però dei risvolti positivi come il rispetto per gli animali e il creato, maggiore tutela delle risorse del pianeta e certamente una salute migliore. La Bibbia dice che al principio l’alimentazione prevista per il genere umano era vegetaliana. Vero è che Gesù non era totalmente vegetariano; ma ora sarebbe tempo di tornare a esserlo. Pasqua vuol dire risurrezione, quindi rispetto per la vita! Allora, buona Pasqua a tutti.

Pasqua: un agnello per amico

Povertà e giustizia sociale

Giampiero Vassallo – Papa Francesco, come il suo precursore di Assisi, va incontro alla propria missione: riparare la casa di Dio. Una casa che è la dimora di Dio fra gli uomini. È Cristo l’unico che può farlo e ogni cristiano potrà farlo solo rivivendo Cristo e ubbidendo al suo comandamento «nuovo». L’amore reciproco fra le persone, infatti, è la premessa fondamentale di ogni altra regola, la condizione affinché Cristo possa essere presente fra gli uomini.

Già dal primo affacciarsi davanti al suo popolo, il vescovo di Roma ha voluto sottolineare con segni chiari e inequivocabili l’importanza fondamentale della reciprocità e della collegialità: la fiducia reciproca fra le chiese, il cammino di reciprocità fra «vescovo e popolo, popolo e vescovo», cominciando dal chiedere, chinandosi umilmente, la preghiera dei fedeli per il loro vescovo. E soprattutto la scelta del nome: Francesco, che della fraternità e della reciprocità è il simbolo.

A livello personale, individuale, Francesco ha già fatto il primo passo utile ad abbattere le distanze con il prossimo, col suo popolo, con le chiese e con tutti gli uomini di buona volontà, per costruire la casa di Dio fra gli uomini, suoi figli e fratelli fra loro.

Adesso occorrerà un passo ulteriore, non più individuale. In qualità di primo leader della chiesa cattolica dovrà fare un passo tangibile, affinché l’intera chiesa di Roma possa incarnare lo spirito francescano: mettere i beni mobili e immobili di proprietà della chiesa a disposizione dei poveri. Un immobile su 5 in Italia oggi risulta di proprietà della chiesa. In questo modo tutti gli italiani che non hanno una casa potranno trovare un riparo. Sarebbe auspicabile trasparenza circa i conti dello Ior, investendo per le aziende e le famiglie in difficoltà per contribuire alla soluzione della crisi economica finanziaria.

Basterebbe questo da uno che si chiama Francesco! Non servono risposte circa l’etica, la sessualità, il rapporto fra fede e scienza, il dialogo teologico, ecumenico, la pastorale. Serve la testimonianza di un amore concreto e tangibile di Dio che si rivolge in prima istanza agli ultimi, ai poveri, ai bisognosi e soddisfa i loro bisogni innanzitutto materiali.

Cristo, presente in mezzo agli uomini che incarnano il Vangelo, come ha cercato di fare Francesco d’Assisi, ricostruirebbe la sua chiesa.

Pasqua: un agnello per amico

Aria pulita

Gary Krause – Il filosofo danese Søren Kierkegaard racconta di un ospedale in cui i pazienti morivano come mosche. I medici presi dal panico tentavano diverse soluzioni, senza alcun esito. Infine scoprirono la causa del problema: non c’entrava la direzione sanitaria, ma l’edificio stesso, impregnato di veleni.

Nella stessa situazione, dice Kierkegaard, si trovava la chiesa danese del XIX secolo. Le chiese erano inquinate come l’edificio di quell’ospedale. Le comunità soffocavano e morivano; tutti proponevano una cura: un nuovo innario, un nuovo stile di adorazione, un nuovo libro liturgico. Ma tutto risultava inutile. Il problema era più profondo. Il veleno spirituale veniva proprio dall’interno della struttura ecclesiastica, che soffocava l’intera organizzazione. La chiesa non veniva ossigenata, spiritualmente, da anni.

Quando le porte e le finestre sono chiuse non possiamo vedere la nostra comunità né le esigenze del mondo. Ci concentriamo sulle nostre necessità e i nostri interessi. Cominciamo a prendercela gli uni con gli altri, a discutere di problemi dottrinali, a criticare. L’atmosfera spirituale diventa pesante e inquinata. La congregazione muore.

Quale può essere il rimedio per una simile chiesa? In fondo, è alquanto semplice! Abbiamo bisogno di aprire porte e finestre per fare entrare aria fresca e rivitalizzarci con l’ossigeno. Ma più di tutto dobbiamo mettere il capo fuori dalle porte della chiesa e respirare l’aria fresca e vitale del servizio e della missione. La chiesa deve essere un luogo in cui c’è ispirazione, equipaggiamento, motivazione a lasciare il luogo di culto per mescolarsi con la società, dimostrare simpatia, rispondere ai bisogni, conquistare la fiducia degli altri e condurre persone ai piedi di Gesù.

Pasqua: un agnello per amico

Un tetto agli stipendi dei manager

Giuseppe Marrazzo – In Svizzera è passato con una stragrande maggioranza il referendum promosso da Thomas Minder, piccolo industriale che produce materiale per l’igiene dentale, per stabilire un tetto agli stipendi dei manager e ai superbonus per la loro buonuscita. La percentuale di circa il 68 per cento indica un vero plebiscito popolare con il quale la ricca Svizzera ha ritenuto opportuno interrompere quel meccanismo perverso che permetteva ai consigli di amministrazione compiacenti di stabilire l’ammontare dei bonus e degli stipendi. Da ora in avanti sarà l’assemblea degli azionisti ad avere questa incombenza.

Tutti ricordiamo che quando 5 anni fa ci fu la bancarotta della Lehman Brothers, l’ultimo amministratore delegato e presidente, Richard Fuld, chiese una liquidazione a parecchi zeri. Molti quotidiani dell’epoca gridarono allo scandalo.

In Italia, a partire del 1° gennaio 2011 venne applicata una supertassa del 5 per cento a salari e pensioni compresi tra 90.000 e 150.000 euro lordi annui, dopo questo tetto si applicava il prelievo del 10 per cento. In ottobre 2012 la Corte Costituzionale ha ritenuto questo prelievo un atto incostituzionale perché riguardava una singola categoria, quindi discriminatorio.

In coincidenza della crisi politica che rende il futuro incerto e della crisi economica che fa dire ai ministri del tesoro e ai capi del governo che questa è l’epoca dei sacrifici e di nuove gabelle per i poveri e tartassati cittadini. Nel frattempo, però, l’esercito dei Paperon de Paperoni non rinuncia alle mega prebende, emolumenti, compensi e retribuzioni vari.

Brava la Svizzera!

Viene in mente una pagina tratta dall’epistola di Giacomo in cui si chiede ai ricchi di «piangere». Lo fanno da sempre il pianto dei coccodrilli, ma l’autore della lettera del primo secolo ha ancora oggi un che di profetico: «A voi ora, o ricchi! Piangete e urlate per le calamità che stanno per venirvi addosso! Le vostre ricchezze sono marcite e le vostre vesti sono tarlate. Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni. Ecco, il salario da voi frodato ai lavoratori che hanno mietuto i vostri campi, grida; e le grida di quelli che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del Signore degli eserciti. Sulla terra siete vissuti sfarzosamente e nelle baldorie sfrenate; avete impinguato i vostri cuori in tempo di strage. Avete condannato, avete ucciso il giusto. Egli non vi oppone resistenza» (Gc 5:1-6).

 


Pasqua: un agnello per amico

La ricreazione è finita… almeno lo speriamo

Vittorio Fantoni -È finita!
Finalmente la campagna elettorale, un rito troppo lungo per una società abituata ad andare di corsa, è terminata.
Dalle urne è uscito un responso; che sia quello di cui i cittadini abbiano bisogno, lo dimostreranno gli eletti.
Agli slogan elettorali contiamo si possano sostituire programmi realistici e scelte capaci di incidere in una società civile ingessata e scettica.
Dopo gli scherzi, cari legislatori, fate posto al lavoro!
Ora ci sono gli adempimenti istituzionali, che forse andrebbero resi più sobri e veloci: convocazione del Parlamento, elezioni dei Presidenti delle Camere, individuazione di una maggioranza, nomina di una personalità come Capo del Governo da parte del Presidente della Repubblica, costituzione del Governo, ottenimento della fiducia…
Diciamo che ci vogliano altri due mesi, poi speriamo che si cominci a lavorare.
Chiunque sia il prossimo Capo del Governo avrei un centinaio di richieste – né di destra, né di sinistra, ma di buon senso – da presentargli.
Avendo soltanto 2.000 caratteri a disposizione ne sintetizzo solo una.

Caro Presidente, certo non tutto è nelle sue possibilità, ma qualcosa anche lei può fare con l’aiuto dei Presidenti delle Camere e degli altri leader di partito.
Per esempio, può eliminare lo sconcio di quei parlamentari che passano la maggior parte del loro tempo a fare altro rispetto a ciò per cui sono stati votati… ovviamente sommando indennità e salari vari.
Un bambino che non va a scuola deve portare la giustificazione, un lavoratore assente deve esibire un certificato, mentre un parlamentare può perdersi il 60, 70, 80 per cento delle sedute parlamentari e restare deputato o senatore della Repubblica…

Ho letto che i parlamentari si disaffezionano perché si annoiano; ci sono troppi discorsi da ascoltare, troppi bottoni da premere… li capisco, ma penso anche a come si annoia un cassintegrato attendendo per mesi di rientrare al lavoro.
Ho grande rispetto per la politica e per chi la fa onestamente, ma chi non ha voglia di lavorare o fa altro o deve essere rimosso dalle sue funzioni.

Attendo con ansia una legge che lo preveda.

Caro Presidente, ci tolga lo schifo soprattutto di quegli avvocati che, eletti al parlamento repubblicano, passano il loro tempo a difendere altri parlamentari inquisiti, e magari chiedono pure il legittimo impedimento!

Infine, cari parlamentari, non vogliamo che lavoriate troppo, ma il giusto: dunque, abbiate per piacere una sola attività, scegliete quella che vi piace di più e fatela con cura e onestà.

È troppo?

Sull’uso improprio della religione

Sull’uso improprio della religione

Dora Bognandi – Può la religione diventare un’arma potente per prevaricare sul prossimo?

La settimana della libertà religiosa, che quest’anno propone una riflessione sul rapporto che c’è o dovrebbe esserci tra «Chiese e Potere», si prefigge lo scopo di evidenziare diverse malversazioni consumatesi nel tempo e indicare alcune possibili strade da percorrere. La storia ci dice che gli esponenti di entrambe le istituzioni troppo spesso hanno interpretato il loro ruolo per soddisfare i propri interessi, piuttosto che per il bene comune.

Questo uso improprio della fede è prerogativa solo della chiesa di maggioranza?

Purtroppo non soltanto le grandi istituzioni cadono nella tentazione di imporre il proprio punto di vista. Se un credente sfuma il suo legame con Dio per difendere con forza le proprie idee, rischia di cadere in questa trappola. Può succedere che, animato da «santo zelo» e sentendosi portavoce di Dio, finisca con l’attribuire le proprie vedute al Creatore. Con questi sentimenti è portato a guardare gli altri dall’alto in basso.

È facile individuare gli errori degli altri, ma nessuno è esente dal commetterli. In realtà tutte le volte che un credente qualsiasi giudica l’esponente di un’altra religione senza conoscere il suo percorso di fede, si mette in qualche modo al posto di Dio. Quando si chiude all’ascolto di chi pensa diversamente da lui, dimostra l’arroganza di chi ritiene di non avere nulla da imparare. Quando manca di rispetto verso chi ha fatto scelte diverse dalle sue, disonora la sua stessa fede. Quando manca di carità, disonora Cristo stesso. Quando lavora di fantasia e spaccia le sue conclusioni per pura dottrina, fa violenza al Vangelo stesso. Quando giudica l’altro solo per l’appartenenza religiosa, non fa altro che ripetere le discriminazioni che lui stesso ha subito perché di fede diversa.

Se il punto di riferimento del cristiano non rimane il Cristo stesso, allora si assumeranno troppo facilmente atteggiamenti integralisti e si pronunceranno giudizi anche violenti contro persone che sinceramente seguono la propria strada. La regola d’oro trasmessaci dal Cristo stesso, «Fai agli altri quello che vorresti gli altri facciano a te» (cfr. Matteo 7:12), dovrebbe essere uno dei punti di riferimento principali per un vero cristiano. Se ci lasciamo guidare dal concetto che tutto il bene sta in noi e tutto il male in quelli che non la pensano come noi, se riteniamo di avere scoperto tutta la verità mentre tutti gli altri sono nelle tenebre, allora è il momento di rivedere il nostro rapporto con Gesù e cercare di imparare da lui come relazionarci con noi stessi e con il prossimo, perché stiamo usando le nostre vedute religiose impropriamente, attribuendoci un potere che nessuno ci ha conferito.

Pasqua: un agnello per amico

In Francia, matrimonio per tutti!

Raffaele Battista* – Christiane Taubira, Ministro della giustizia francese, ha detto: «Siamo onorati e fieri di aver superato questa prima tappa…». Il motivo della sua fierezza è determinato dall’esito positivo della votazione sull’articolo 1 della legge sui matrimoni gay. L’attuale trend culturale e politico, sembrerebbe dare ragione al ministro francese e torto a tutti coloro che non ne condividono l’entusiasmo.

A dire il vero, anche nel paese transalpino, le proteste non sono mancate. Il tasto più efficace, su cui premere per dare fiato alla protesta, senza beccarsi l’accusa di omofobia e la patente a vita di oscurantista reazionario, è naturalmente quello dell’adozione.

È giusto, infatti, decidere al posto di un bambino sull’assegnazione di genitori così al di fuori degli schemi che, non una legge dello Stato, ma la natura stabilisce essere anomali?

Tale anomalia, sul piano genitoriale, non scaturisce, infatti, dalla lettura integralista di un testo religioso, ritenuto rivelazione divina solo da chi ha fede, ma proprio dal quel diritto naturale che dovrebbe stare alla base della cultura laica, e degli stati che si ritengono tali.

Sul piano dei diritti individuali, la scelta omosessuale, di qualunque origine sia, dovrebbe rimanere, a mio avviso, nella sfera di autodeterminazione etica e morale.

Il soggetto coinvolto si renderà responsabile a vari livelli sociali, religiosi e spirituali delle sue scelte. In questo senso, sinceramente credo che, discriminazioni di tipo, politico, sociale, lavorativo, dovranno essere viste come tali.

Ma, quando si parla di adozione, mi sembra che le coppie gay vogliano indebitamente stravincere. L’ aver ottenuto in molti paesi del mondo il diritto di contrarre matrimonio, mi pare un punto di arrivo e non di ripartenza.

Il solo chiamare matrimonio l’unione omosessuale, significa già, di per sé utilizzare una terminologia che chiama in causa valori che difficilmente possono essere estratti dal progetto eterosessuale e depositati pari pari, in un contesto omosessuale, senza generare frizioni, perfino etimologiche e semantiche.

In una visione laica dello Stato e della società, sia pur con notevoli aggiustamenti e forzature, il concetto in qualche modo vi si adatta. Ma, per L’adozione, onestamente no!

La natura (volutamente non menziono alcuna divinità) ha deciso che la procreazione è un’esperienza che riguarda un uomo e una donna e, a meno di non citare in giudizio proprio la natura, accusandola di omofobia, non credo che una legge dello Stato, potrà mai modificare il fatto che, un bambino, ha diritto a un padre e una madre.

Proprio in nome della libertà e del rispetto dell’infanzia, meraviglia e fragilità ugualmente infinite, proviamo tutti, etero e omosessuali a interrogarci su cosa è bene e su cosa è meglio.

*Bibliotecario della Fat, Firenze

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