Leggiamo insieme – Uomini o animali

Leggiamo insieme – Uomini o animali


In questa puntata Roberto Vacca intervista il professore Simone Pollo, autore del libro: Uomini o animali. (Carocci Editore)

Sinossi del libro:
Gli animali sono presenti nella vita umana sin dalle origini. Sono utilizzati per l’alimentazione, il lavoro e la ricerca, vivono nelle nostre case, condividono con noi gli spazi urbani e abitano gli ambienti selvatici che ci circondano. Il loro trattamento suscita accese discussioni pubbliche e un vivace dibattito teorico, in particolare per quegli usi, come alcune sperimentazioni, ai quali allo stato attuale non sembra ragionevole rinunciare. Il libro presenta tali questioni etiche sullo sfondo di una ricostruzione della realtà biologica e culturale del rapporto con gli animali e di una rassegna delle concezioni filosofiche passate e contemporanee. L’autore individua nei sentimenti e nella capacità umana di simpatizzare con gli animali le risorse per includerli nella considerazione morale e per riformare il modo di interagire con essi.

Mangiare noci fa ingrassare?

Mangiare noci fa ingrassare?

Uno studio sulla dieta delle persone anziane in salute rivela il contrario.

Notizie Avventiste – I ricercatori della Loma Linda, l’università avventista californiana, hanno scoperto che le noci possono essere introdotte tranquillamente nella dieta quotidiana delle persone anziane in salute, perché non hanno conseguenze sull’aumento o sulla gestione del peso.

I risultati dello studio, pubblicati il 18 settembre dalla rivista Nutrients, ampliano la conoscenza di come la frutta secca possa apportare benefici salutari.

Secondo Edward Bitok, assistente professore alla Loma Linda e autore principale della ricerca, è diffusa l’idea errata che i grassi contenuti nelle noci causino un aumento di peso, e quindi potrebbero condurre a obesità o ad altre patologie legate al peso (malattie cardiache, diabete, ecc.). La ricerca, invece, dimostra che le noci sono uno spuntino salutare.

“A causa del loro alto contenuto energetico, molte persone hanno creduto all’idea sbagliata che le noci provochino un indesiderato aumento di peso e siano quindi da evitare”, ha affermato il prof. Bitok “Questo studio ci aiuta a capire di più sui grassi buoni e su quelli cattivi”.

La ricerca, durata due anni e intitolata “Effects of Long-Term Walnut Supplementation on Body Weight in Free-Living Elderly: Results of a Randomized Controlled Trial” (Effetti dell’integrazione a lungo termine delle noci sul peso corporeo degli anziani: risultati di uno studio controllato e randomizzato), è un sotto-studio di uno più ampio sulle noci e l’invecchiamento in buona salute (Waha), ma è il primo a verificare se questo prodotto della natura abbia un ruolo nell’invecchiamento di chi è in salute.

“Volevamo fornire una ricerca che smentisse l’idea che i grassi presenti nelle noci non fossero salutari e facessero ingrassare” ha aggiunto il prof. Bitok “Abbiamo condotto questo studio principalmente per determinare se i soggetti che mangiavano noci erano a maggior rischio di aumento di peso rispetto a quelli che non ne consumavano”.

Studi precedenti sul rapporto tra consumo di noci e peso corporeo si erano concentrati su individui più giovani e per periodi più brevi. “Carente era la ricerca riguardo all’assunzione a lungo termine di noci e al loro effetto sul peso corporeo negli adulti più anziani. Abbiamo voluto così colmare questa lacuna”, ha spiegato il prof. Bitok.

Bitok ha lavorato a stretto contatto con il coautore Joan Sabate, direttore esecutivo del Center for Nutrition, e titolare dello studio Waha.

“Volevamo che gli anziani potessero introdurre le noci nella loro dieta senza preoccuparsi di ingrassare” ha affermato il prof. Sabate “E in effetti è quanto ha dimostrato questo studio”.

La ricerca ha esaminato 307 partecipanti di età compresa tra i 63 e i 79 anni, anziani in salute residenti nel raggio di circa 100 chilometri dall’università Loma Linda.

[Fonte: Loma Linda University Health News/Adventist Review. Immagine: Pixabay]

Deficit di attenzione e dipendenza da videogiochi

Deficit di attenzione e dipendenza da videogiochi

I ricercatori della Loma Linda University confermano le ultime scoperte scientifiche.
Il parere di Luciano Gheri, medico psichiatra e psicoterapeuta, che lavora da anni con gli adolescenti delle scuole medie della Provincia di Prato, per la prevenzione delle tossicodipendenze e del disagio giovanile.

Notizie Avventiste – Uno studio condotto dai ricercatori della Loma Linda University, istituzione della Chiesa avventista, conferma che il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd) è associato all’uso smodato dei videogiochi. La ricerca dell’università californiana, “Video game addiction, Adhd symptomatology, and video game reinforcement”, pubblicata lo scorso 6 giugno sull’American Journal of Drug and Alcohol Abuse, rileva, infatti, l’associazione tra gravità dell’Adhd e gravità della dipendenza da videogame e mostra che il rischio di dipendenza esiste indipendentemente dal tipo di videogioco usato o preferito.

“Il risultato è coerente con la nostra ipotesi e con una ricerca precedente, e suggerisce che le persone con maggiore gravità dei sintomi di Adhd possono essere maggiormente a rischio di sviluppare abitudini di gioco problematiche”, ha affermato Holly E. R. Morrell, professoressa della Loma Linda University School of Behavioral Health e ricercatrice principale del progetto.

Lo studio è uscito nel periodo in cui la dipendenza da videogiochi è stata riconosciuta un problema di salute pubblica internazionale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aggiunto la voce “gaming disorder” nell’undicesima edizione della Classificazione internazionale delle malattie (International Classification of Diseases), pubblicata il 18 giugno.

L’esito di ricerche precedenti ha mostrato che il 23% dei giocatori di videogame presentavano sintomi di dipendenza tali da produrre effetti negativi su salute, benessere, sonno, studio e socializzazione.

Nella ricerca della Loma Linda University, il numero di ore trascorse a giocare è stato associato alla gravità della dipendenza. I maschi hanno mostrato maggiore gravità di dipendenza rispetto alle femmine. La prof.sa Morrell e il suo team hanno testato circa 3.000 giocatori tra i 18 e i 57 anni. L’età non costituiva un fattore di studio.

Esperta nel campo della dipendenza, la prof.sa Morrell ha pubblicato di recente uno studio a più mani, intitolato “Cyberpsychology, Behaviour e Social Networking”, in cui descrive alcuni dei rischi associati alla dipendenza da videogame: problemi di salute fisica e mentale, ma anche sociali e di operatività professionale.

Sui risultati della ricerca della Loma Linda abbiamo ascoltato il parere di un medico psichiatra italiano. Roberto Vacca, di Radio Voce della Speranza (Rvs), parla di Adhd e dipendenza da videogiochi con Luciano Gheri, medico psichiatra, psicoterapeuta, psicoanalista interpersonale. Luciano Gheri esercita la professione come libero professionista a Prato e a Firenze, e lavora da anni con gli adolescenti delle scuole medie della Provincia di Prato, per la prevenzione delle tossicodipendenze e del disagio giovanile.

Ascolta l’intervista a Luciano Gheri

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La frequenza dei pasti influenza l’indice di massa corporea

La frequenza dei pasti influenza l’indice di massa corporea


Lo afferma una ricerca basata sulle informazioni raccolte dallo studio sulla salute degli avventisti, Adventist Health Study-2

ARnews/Notizie Avventiste – Uno studio condotto da ricercatori della scuola di salute pubblica della Loma Linda University, negli Stati Uniti, e della Repubblica Ceca ha scoperto che la tempistica e la frequenza dei pasti aiutano a capire se ci sarà perdita o aumento di peso in una persona.

Utilizzando le informazioni raccolte su gli oltre 50.000 partecipanti allo studio sulla salute degli avventisti, Adventist Health Study-2 (Ahs-2), i ricercatori hanno scoperto quattro fattori associati a una diminuzione dell’indice di massa corporea: consumare solo uno o due pasti al giorno; mantenere un digiuno notturno fino a 18 ore; consumare la prima colazione invece di saltarla; rendere la colazione o il pranzo il pasto principale della giornata. Se si mangerà molto a colazione si avrà una diminuzione più significativa dell’indice di massa corporea (Imc) rispetto a un’abbondanza di portate a pranzo.

Si avrà invece un aumento dell’Imc se si consumeranno più di tre pasti al giorno (gli spuntini sono stati considerati come pasti supplementari) e la cena diventerà il pasto più abbondante della giornata.

Per attuare una pratica strategia di gestione del peso, la ricercatrice Hana Kahleova raccomanda di consumare colazione e pranzo, saltare la cena, evitare gli spuntini, fare della colazione il pasto principale del giorno e digiunare di notte fino a 18 ore. Impegnata in un dottorato di ricerca alla Loma Linda University School of Public Health quando è stato condotto lo studio, la dott.sa Kahleova dirige la ricerca clinica per il Physicians Committee for Responsible Medicine a Washington, DC. Attualmente è in riposo sabbatico dall’Istituto di medicina clinica e sperimentale di Praga.

Per la dottoressa i risultati confermano un’antica formula nutrizionale: “Consuma una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da povero”.

Lo studio “Meal frequency and timing are associated with Body Mass Index in the Adventist Health Study-2” è stato scritto da Gary Fraser, professore alla scuola di medicina e salute pubblica della Loma Linda University e direttore dell’Ahs-2 . È stato pubblicato in anteprima online il 12 luglio e apparirà nell’edizione di settembre 2017 del Journal of Nutrition.

Oltre a Fraser e Kahleova, il gruppo di ricerca includeva Jan Irene Lloren e Andrew Mashchak, entrambi biostatisti della scuola di salute pubblica della Loma Linda University, e Martin Hill, ricercatore presso l’Istituto di endocrinologia di Praga.

Fraser ha anche affermato che indipendentemente dal modello dei pasti, in media si è registrato un aumento di peso di anno in anno fino a quando i partecipanti hanno raggiunto i 60 anni di età. In seguito, la maggior parte dei partecipanti ha perso peso ogni anno.

“Prima dei 60 anni di età, coloro che consumavano calorie all’inizio della giornata registravano un minore aumento di peso”, ha affermato Fraser, aggiungendo che dopo i 60 anni, lo stesso comportamento tendeva a produrre una percentuale più elevata di perdita di peso rispetto alla media. “Nei decenni, l’effetto complessivo è molto importante”, ha concluso.

Gli studiosi hanno utilizzato una tecnica chiamata analisi della regressione lineare e hanno adeguato i risultati per escludere i fattori demografici e di stile di vita che potevano alterare i risultati.

Il testo integrale dello studio, sovvenzionato dal National Cancer Institute, dal World Cancer Research Fund e dal Ministero della Salute della Repubblica Ceca, è disponibile online.

 

 

La frequenza dei pasti influenza l’indice di massa corporea

Ricercatori avventisti conducono uno studio sui giovani cristiani LGBT negli Stati Uniti

Sono ad alto rischio di depressione, abuso di stupefacenti e suicidio.

NADnews/Notizie Avventiste – In un recente articolo pubblicato dal Journal of Social Work and Christianity,* un gruppo di ricercatori avventisti ha condiviso le sue conclusioni dopo aver condotto uno studio speciale: “Venire a patti con la propria identità sessuale è un processo particolarmente complesso per i giovani cristiani LGBT, molti dei quali sono ad alto rischio di conseguenze negative, come la depressione, l’abuso di stupefacenti e il suicidio”. Non fanno eccezione, secondo i risultati dell’indagine, i giovani avventisti, anzi possono avere una maggiore difficoltà a gestire questi problemi a causa “degli standard comportamentali molto elevati della nostra Chiesa”.

Lo studio, condotto da Curtis Vanderwaal, David Sedlacek, Nancy Carbonell e Shannon Trecartin, ha esaminato 310 giovani avventisti della Generazione Y (18-35 anni) negli Stati Uniti, sul modo in cui hanno percepito l’accettazione o il rifiuto della famiglia riguardo al loro orientamento sessuale, o identità di genere, durante l’adolescenza.

I metodi utilizzati nello studio includono la scelta della popolazione di riferimento, lo sviluppo del sondaggio, la raccolta dei dati e la divisione del campione nei vari segmenti della popolazione. I risultati riportati si basano sull’ambiente religioso (il 97,4 per cento è cresciuto in ambito avventista, con il 76,8 per cento che definisce la propria famiglia “molto religiosa o spirituale”); le variabili indipendenti di accettazione e rifiuto della famiglia quando i giovani esaminati rispondevano alle domande su come “avevano fatto coming out, come LGBT, con un genitore o un tutore”; le risposte e le conseguenze del genitore o tutore; e l’influenza che la religione ha avuto nel modo in cui i rispondenti e le famiglie hanno interpretato e risposto alle questioni sull’orientamento e l’identità. Il sostegno sociale da parte di amici e parenti rientrava nelle variabili dipendenti del sondaggio.

Questa ricerca è stata condotta per favorire una migliore comprensione dei LGBT avventisti: molti membri della Chiesa parlano delle persone LGBT, ma pochi in realtà parlano direttamente con loro. Secondo l’articolo, la Chiesa avventista è stata “sollecitata ad affrontare la realtà che vi sono membri con un orientamento sessuale, o identità di genere, che può essere lesbico, gay, bisessuale, transgender. … Molti genitori lottano per conciliare la loro comprensione dell’insegnamento biblico e la posizione ufficiale della loro Chiesa con l’orientamento sessuale dei propri figli”.

I ricercatori ritengono che nessuno studio sia stato pubblicato fino a oggi che esamini l’accettazione delle persone LGBT all’interno delle famiglie in un contesto confessionale cristiano. Essi vorrebbero, secondo l’articolo, che si conducano ulteriori studi per capire il ruolo che l’accettazione o il rifiuto svolgono nella depressione, nella tendenza al suicidio, nell’abuso di stupefacenti, nelle attività sessuali a rischio, ecc.

Si spera che gli operatori sociali e i counselor cristiani siano capaci di aiutare genitori e figli, facilitando conversazioni in cui entrambe le parti imparino “a rispondere in grazia e ad essere una voce obiettiva nella loro vita, in questo difficile periodo… ”.

E i ricercatori ritengono inoltre che gli avventisti, i quali concordano che il maggiore comandamento è amare, debbano discutere su come vada dimostrato questo amore. Hanno quindi ipotizzato che ciò debba “iniziare con dialoghi che diano spazio a maggiori livelli di comprensione e compassione. … E, nel manifestare questo amore in modo significativo, dobbiamo ricordarci che siamo tutti beneficiari della grazia continua di Dio”.

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*Journal of Social Work and Christianity, vol. 44, n. 1 & 2, (2017), pp. 72-95.

 

La frequenza dei pasti influenza l’indice di massa corporea

Le religioni del Congresso USA in uno studio del Pew Research Center

I cristiani sono il 91 per cento, ma la ricerca rivela un parlamento “molto meno protestante”, solo il 56 per cento.

ARnews/Notizie Avventiste – I due avventisti membri del Congresso degli Stati Uniti fanno parte di quella contrazione nella coorte di cristiani protestanti all’interno del corpo legislativo, rivelata da un’analisi del Pew Research Center.

Il 115° Congresso statunitense, che ha prestato giuramento il 3 gennaio scorso, è formato per il 91 per cento da cristiani, rileva il Pew nel suo studio intitolato “Faith on the Hill”. Un dato questo non molto inferiore al 95 per cento di deputati e senatori che, nell’87° Congresso, in carica dal 1961 al 1962, si dichiaravano cristiani. Inoltre è la prima volta che sono disponibili dati precisi sull’appartenenza religiosa nei luoghi legislativi degli USA.

Il Congresso degli Stati Uniti ha un mandato di due anni, che è anche la durata dell’elezione di un deputato della Camera dei Rappresentanti. I senatori statunitensi restano in carica per sei anni, ma anch’essi sono membri di ogni sessione biennale del Congresso.

Quasi tutti i repubblicani nell’attuale Congresso statunitense sono cristiani, due sono ebrei. L’80 per cento dei democratici sono cristiani ma ci sono anche “28 ebrei, 3 buddisti, 3 indù, 2 musulmani e 1 universalista unitario”, afferma la ricerca.

Dieci, tra deputati e senatori, hanno rifiutato di dare informazioni sulla propria appartenenza religiosa.

Si contano oggi sette protestanti in meno rispetto alla precedente legislatura, i cattolici sono aumentati di 4 unità (ora sono 168) e i mormoni sono scesi a 13 (erano 16 nel 2015).

Buddisti e indù (3 rappresentanti per ciascuno di questi gruppi) sono più numerosi dei musulmani (se ne contano 2 al momento, ma potrebbero dimezzarsi in caso un rappresentante accetti un incarico che comporterebbe le dimissioni da deputato).

Tuttavia, come ha osservato il Pew, è la composizione cristiana del Congresso degli Stati Uniti che ha subito il maggiore cambiamento dal 1961, quando si insediò il presidente John F. Kennedy.

“All’interno del cristianesimo, vi è un importante cambiamento nella diminuzione della quota dei protestanti, una tendenza che rispecchia il generale declino della popolazione protestante negli Stati Uniti. I protestanti componevano i tre quarti del 87° Congresso, rispetto al 56 per cento di quello odierno. Nel frattempo, i cattolici, che raggiungevano il 19 per cento nel 1961, ora costituiscono il 31 per cento”, osserva la ricerca.

Il rapporto completo dal Pew Research Center, gruppo di ricerca senza scopo di lucro che ha sede a Washington, si può consultare online.

 

La frequenza dei pasti influenza l’indice di massa corporea

Nuovo studio collega l’assunzione di alcol a sette tumori

Pixabay-wine.1509590_1920I risultati rafforzano la posizione della Chiesa avventista di evitare ciò che è dannoso per la salute.

ARnews/Notizie Avventiste – Un nuovo studio collega il consumo di alcol ad almeno sette tipi di cancro. L’indagine, pubblicata nell’ultimo numero della rivista scientifica Addiction, ha scoperto che bere anche quantità basse o moderate di alcol provoca il tumore orofaringeo, alla laringe, all’esofago, al fegato, al colon, al retto e alla mammella.

L’autrice dello studio, Jennie Connor, dell’Università di Otago in Nuova Zelanda, ha esaminato le prove scientifiche dai principali istituti di ricerca sul cancro negli ultimi dieci anni e ha concluso che tutte le bevande alcoliche, compreso birra, vino e superalcolici, possono causare il cancro.
“C’è una forte evidenza che l’alcol provochi il cancro in sette parti del corpo e probabilmente anche in altre”, ha scritto Connor in una sintesi dello studio, “Le stime attuali suggeriscono che i tumori attribuibili all’alcol in queste parti rappresentano il 5,8 per cento di tutti i decessi per cancro nel mondo”.

Fin dalle sue origini, la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno insegna il non uso dell’alcol.
“La ragione principale per non assumere alcol è spirituale. Non vogliamo infatti offuscare la mente o renderla meno sensibile alla comunicazione con Dio e lo Spirito Santo”, ha affermato Peter N. Landless, direttore esecutivo della Commissione internazionale per la prevenzione dell’alcolismo e della tossicodipendenza e direttore del dipartimento Ministeri della Salute della Chiesa avventista mondiale.

Questa ragione spirituale è il motore del messaggio di promozione di uno stile di vita sano portato avanti dalla Chiesa, che mira a rendere le persone consapevoli del fatto che ogni individuo è amministratore di un bene, la salute, donatagli dal Creatore e quindi responsabile del proprio benessere.

Landless ha anche affermato che questo nuovo studio rafforza la posizione di non consumo, adottata della chiesa, contro quella di “uso sicuro”, quando si tratta di alcol.
“Non c’è uso sicuro, dato che la letteratura scientifica è forte e chiara nell’affermare che ‘non esiste un livello sicuro di assunzione di alcol’, in particolare quando si tratta di carcinogenesi”, ha precisato Landless ad Adventist Review.

(Foto: Pixabay)

La frequenza dei pasti influenza l’indice di massa corporea

La dieta vegana taglia il rischio di cancro alla prostata

Pixabay-berries-Jan12Per i ricercatori della Loma Linda University Health il segreto è nel maggior consumo di frutta e verdura, e nella mancanza di prodotti caseari.

ARnews/Notizie Avventiste – Gli uomini che seguono una dieta vegana hanno un terzo in meno di probabilità di sviluppare il cancro alla prostata, secondo una nuova ricerca condotta dalla Loma Linda University Health. Lo studio, pubblicato nel numero di gennaio del Journal of Clinical Nutrition, evidenzia una riduzione del rischio nei maschi che seguono una dieta vegana, senza carne, pesce, latticini e uova.

“Se sei già un vegano, rallegrati perché avrai un rischio minore di sviluppare il cancro alla prostata”, ha affermato il dott. Gary Fraser, direttore dello studio, ad Adventist Review. “Se non sei vegano, sappi che l’alimentazione latto-ovo e la dieta pesco-vegetariana non hanno dato prova di protezione rispetto ai non-vegetariani”.

Lo studio, una nuova analisi di 26.346 uomini che hanno partecipato all’Adventist Health Study-2, ha esaminato l’associazione tra cancro alla prostata e alimentazione di uomini che mangiavano carne (non vegetariani), poca carne (semi-vegetariani), latticini e uova, ma niente carne (latto-ovo vegetariani), solo pesce (pesco-vegetariani), nessun prodotto di origine animale (vegani).

I vegani differiscono dagli altri gruppi alimentari per il maggior consumo di frutta, verdura, noci, semi e soia. L’altra grande differenza è che non mangiano prodotti lattiero-caseari e uova.
“Quindi sarebbe ragionevole pensare di ridurre al minimo il consumo di latte e formaggi, e mangiare molta più frutta, verdura, noci e soia, soprattutto se si ha una storia familiare di cancro della prostata”, ha aggiunto Fraser.
Ma ha avvertito: “Questo messaggio su latte, latticini e formaggi è al momento una deduzione logica, piuttosto che un risultato testato”. Il suo team prevede di testare presto questa deduzione e poi farà sapere.

Secondo l’American Cancer Society, quello alla prostata è il secondo tumore più comune tra gli uomini, e rappresenta il 27 per cento di tutti i casi di cancro tra gli uomini. Ma i soggetti di sesso maschile della ricerca avventista, che seguivano una dieta vegana, hanno avuto circa un terzo in meno di probabilità di sviluppare il cancro alla prostata, ha affermato la Loma Linda University Health, istituzione della denominazione nel sud della California.

In totale, sono stati identificati 1.079 casi di cancro alla prostata. Circa l’8 per cento della popolazione studiata seguiva una dieta vegana. Le diete vegane hanno mostrato un’associazione statisticamente significativa nella protezione del rischio di cancro alla prostata. La relazione precisa tra cancro della prostata e dieta non è chiaro. “Poiché le persone non consumano singoli alimenti ma li combinano insieme, la valutazione dei modelli alimentari possono offrire informazioni preziose per determinare le associazioni tra dieta e rischio di cancro alla prostata”, hanno precisato dalla Loma Linda University Health.

Altri recenti studi hanno trovato un legame tra carne e cancro, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha occupato i titoli dei media internazionali, lo scorso autunno, quando ha praticamente dichiarato cancerogene le carni rosse e lavorate.

Alla domanda se le persone dovrebbero cambiare la propria alimentazione davanti alle sempre più numerose ricerche che collegano carne e cancro, Fraser ha risposto: “Un vegetariano può essere contento di rimanere tale, e per un non-vegetariano sarebbe saggio considerare di fare un cambiamento”.

Ma per i prodotti derivati dal latte sembra esserci un messaggio misto per quanto riguarda il cancro. “C’è un’evidenza abbastanza forte che il consumo di latticini e formaggi possa essere associato a un minor rischio di cancro del colon-retto”, ha aggiunto Fraser, “Questi sono i risultati di altri studi”.

Il dott. Peter N. Landless, direttore del dipartimento Ministeri della Salute della Chiesa cristiana avventista mondiale, ha posto la domanda logica che molti si potrebbero aspettare: “Perché non raccomandiamo una dieta vegetariana totale per tutti?”.

“Gli esseri umani dipendono da fonti alimentari di vitamina B12”, ha spiegato Landless, “in molte parti del mondo, latte e derivati sono l’unica fonte di questa vitamina essenziale per i vegetariani. Dove la vitamina B12 è disponibile e conveniente, dove la si assume da prodotti equivalenti al latte, la dieta vegetariana totale è molto sana. Esorto con forza tutte le categorie vegetariane ad assumere un supplemento di vitamina B12, ancora di più quando l’età avanza, dato che i processi di assorbimento della B12 rallentano. L’attuale studio è stato fatto in Nord America; anche se i risultati possono essere estesi alla popolazione mondiale, le circostanze socio-economiche non lo consentono”.

Il dott. Landless ha riassunto così la sua risposta al nuovo studio della Loma Linda University: “Per dare una raccomandazione generale, riteniamo sicuro e sano consumare una dieta vegana equilibrata (e integrata); esortiamo coloro che consumono prodotti lattiero-caseari a farlo con parsimonia, preferendo quelli a basso contenuto di grassi. Vogliamo sottolineare che una dieta equilibrata a base vegetale è ottimale. Incoraggiamo fortemente una supplemento di vitamina B12 come detto prima. Queste raccomandazioni valgono per gli uomini e le donne. Intanto aspettiamo più risposte, man mano che la ricerca va avanti”.

L’Adventist Health Study-2, che esamina gli avventisti negli Stati Uniti e in Canada, è uno studio speciale sulla salute vegana. È il più ampio studio sui vegani nel mondo, con circa 8.000 partecipanti. È anche speciale in quanto investiga sul consumo dei prodotti caseari. Nessun altro studio ha una così vasta gamma di consumatori: da zero (i vegani), al basso apporto (i vegetariani latto-ovo-), al consumo “normale” (gli avventisti non-vegetariani).
(Foto: Pixabay)

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