Daniele in breve. La conoscenza aumenterà

Daniele in breve. La conoscenza aumenterà

Francesco Zenzale – “Tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro sino al tempo della fine. Molti lo studieranno con cura e la conoscenza aumenterà” (Da 12:4).

L’idea di scrivere un libro per poi metterlo da parte per chissà quanto tempo è inusuale. Un libro, così indispensabile per la salvezza, si scrive per essere pubblicato e non per lasciarlo impolverare per secoli. Perché Daniele è invitato a sigillare il libro? Perché il contenuto profetico–esistenziale riguarda il tempo della fine (cfr. Da 12:4, 9), l’ultima fase della storia dell’umanità, che è iniziata nel 1844 d.C. a conclusione della profezia cronologica delle 2.300 sere e mattine (cfr. Da 8:14). Per questo motivo Daniele non comprende pienamente il significato delle visioni (cfr. v. 8).

Questa chiosa ci permette di evidenziare che non è “il libro o tutte le parole” a essere state “sigillate o nascoste”, ma solo le profezie che concernono il tempo della fine. La profezia che ha avuto inizio in Daniele 11:2, e quella dell’ottavo capitolo, precisamente delle 2.300 sere e mattine (cfr. Da 8:14), perché entrambe si riferiscono a un tempo lontano o della fine (cfr. Da 8:17, 26; 12:4, 9). Infatti, non ha senso sigillare o nascondere i primi sei capitoli, dal genere letterario narrativo. E neanche parte dei capitoli sette e ottavo, perché Daniele svolge la sua missione profetica a cavallo dell’Impero babilonese e di quello medo-persiano.

Oltre a queste fondamentali considerazioni, è saggio evidenziare alcuni importanti insegnamenti:

1. Il fatto che molti studieranno le profezie riguardanti gli ultimi giorni, acquisendo maggiore conoscenza, non significa necessariamente che ne faranno un saggio uso. La conoscenza in sé non è garanzia di saggezza e di sana applicazione profetica. Solo i saggi capiranno il reale significato profetico, facendone un buon uso in vista della parusia (v.10).
2. Esiste un’evidente corrispondenza fra le profezie di Daniele e l’Apocalisse (Da 7; Ap 13:1-3); ciò si evince anche in relazione alla comprensione delle profezie che dovevano rimanere nascoste fino al tempo della fine. Nel decimo capitolo dell’Apocalisse, l’angelo potente che si presenta a Giovanni ha nella mano un “libretto aperto”. Questo libro aperto è da considerarsi come la porzione del libro di Daniele che doveva essere mantenuta segreta e sigillata sino al tempo della fine.
3. Considerando che la sua apertura si colloca a conclusione della profezia delle 2.300 sere e mattine (anni), è importante osservare che sul finire del XVIII secolo e agli inizi del XIX, si manifestò un insolito interesse verso le profezie di Daniele e dell’Apocalisse, in aree geografiche distanti l’una dall’altra. Lo studio delle suddette profezie condusse alla convinzione diffusa che il secondo avvento di Cristo fosse vicino. Numerosi espositori in Inghilterra, Joseph Wolff in Medio Oriente, Manuel Lacunza nel Sudamerica e William Miller negli Stati Uniti, insieme con una schiera di altri studiosi delle profezie, dichiararono, sulla base del loro studio, che l’umanità si avviava verso il ritorno di Cristo.
4. “Il tempo della fine” è periodo che non possiamo calcolare o determinare con esattezza. Pur sapendo che siamo nella fase ultima dell’esperienza umana, non sta a noi parlare di “immediatezza” del ritorno di Cristo, cercando di indicare delle date anche se generiche (cfr. Mt 24:36). Piuttosto, è nostra responsabilità vegliare e pregare per non cadere nella tentazione di credere e annunciare che Gesù tornerà fra un anno, cento o mille anni. Dobbiamo vivere la salvezza “un giorno la volta”, perché il domani non ci appartiene!

In tal senso, il significato esistenziale della profezia non è tanto quello di alimentare l’attesa della beata speranza, promuovendo comportamenti radicali, ansiogeni o inutili preoccupazioni, bensì di vivere Cristo, dando al “presente” un valore santificante ed escatologico. “Infatti, la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunciare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù” (Tt 2:11-13).

Daniele in breve. La conoscenza aumenterà

Daniele in breve. I saggi risplenderanno

Francesco Zenzale – “I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno” (Da 2:3).

Il significato di queste parole è legato alla testimonianza e al vangelo eterno, che deve essere proclamato a ogni tribù, lingua e popolo (Ap 14:6). Ciò significa che i saggi non sono persone attempate, intenti a riflettere sul passato, a emanare giudizi dopo aver vagliato parole e azioni alla luce di quello che altri saggi hanno scritto ispirandosi alla parola di Dio, come ad esempio il Talmud con il suo nucleo della Mishnah, un testo classico dell’ebraismo, secondo solo alla Bibbia.

I saggi non insegnano a praticare la giustizia secondo l’uomo, che è senza speranza, crudele e proiettiva (cfr. Mt 7:1-5), pervasa dalla fragile soggettività, da pregiudizi e da una comprensione errata del vangelo. Non idealizzano la giustizia, sono uomini e donne onesti e irreprensibili (cfr. Ap 14:5), che vivono secondo il desiderio di Dio (cfr. Mi 6:8), caratterizzato da un comportamento comprensivo e misericordioso, e da un’autentica e perenne testimonianza in favore della verità. In altre parole, di una ineguagliabile e meravigliosa persona: Gesù Cristo (cfr. Gv 14:6).

Spesso, i credenti fraintendono il senso primario dell’espressione “giustizia di Dio”, che nella lingua italiana indica imparzialità, onestà, rettitudine ed equità, con azioni epurative e giustizialiste, nei confronti di chi vive nel peccato, secondo personali criteri etici o dottrinali. Questi, emettono condanne che dovrebbero applicare a se medesimi.

Come l’apostolo Pietro, non hanno il senso delle cose di Dio, ma presumono di averlo (cfr. Mt 16:23). Tuonano nei confronti degli odierni Samaritani (cfr. Lu 9:54), pensando di fare un favore a Dio e alla comunità di appartenenza. Ma tralasciano quanto sia divino “fasciare quelli che hanno il cuore spezzato” dal peso del peccato, “consolare tutti quelli che sono afflitti” (cfr. Is 61:1-3) e non spezzare la canna rotta (cfr. Is 42:3).

Come Giona, fraintendono la misericordia di Dio e si rifiutano di andare a Ninive, non cogliendo quanto il Signore ami il mondo e il peccatore (cfr. Gv 3:16; Is 55:7; Ez 33:11). Si irritano per il ricino seccato, che non hanno nemmeno innaffiato, perché sono avulsi dalla misericordia.

I saggi risplenderanno perché vivono la giustizia che fluisce dal cielo. Per questo motivo, da perseguitati e non da persecutori, saranno abbattuti, travolti dalla crudeltà dei visionari.

“Cadranno per essere affinati, purificati e resi candidi” per il giorno in cui Mika’el sorgerà (Da 11:33-35). I saggi “son quelli che vengono dalla gran tribolazione, e hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello” (Ap 7:14).

Il loro carattere risplenderà in eterno perché hanno vinto “per mezzo del sangue dell’Agnello, e con la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte” (Ap 12:11).

“Or andate e imparate che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrificio; poiché io non son venuto a chiamar de’ giusti, ma dei peccatori” (Mt 9:13).

 

Daniele in breve. Il tuo popolo sarà salvato

Daniele in breve. Il tuo popolo sarà salvato

Francesco Zenzale – “In quel tempo sorgerà Michele, il grande capo, il difensore dei figli del tuo popolo; vi sarà un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo; e in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; cioè, tutti quelli che saranno trovati iscritti nel libro” (Da 12:1).

Questo testo della Scrittura ci permette di esporre due interessanti riflessioni. La prima riguarda il rapporto fra il popolo e il profeta, la seconda è sulla salvezza.

1. È straordinario cogliere il forte senso di appartenenza di Daniele al suo popolo. Piange, prega, digiuna, intercede e cerca di capire le intenzioni di Dio per offrire una speranza: Mika’el sorgerà come difensore, consolatore, soccorritore e salvatore (1 Gv 2:1, 2) “dei figli del tuo popolo”.

Questo intimo legame è comune a tutti i profeti e gli apostoli, perché i credenti, secondo Paolo, sono stati “edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare” (Ef 2:20).

I profeti e gli apostoli, nonostante la loro umana esistenza, sono i capisaldi della nostra professione di fede e del nostro percorso di vita cristiana. Essi sono stati investiti da un carisma che nessun credente può ipotizzare di possedere. La loro chiamata è diretta. Dio agisce in prima persona mediante visione, audizione e particolari teofanie.

Dio chiama Abramo invitandolo ad allontanarsi dal suo ambiente affettivo e lavorativo, perché voleva che diventasse una fonte di benedizione per le future generazioni (Ge 12). Poi, si presenta a Mosè, nel pruno ardente, e gli dice che deve ritornare in Egitto per liberare il suo popolo (Es 3). Mediante visioni e sogni, rivolge una santa chiamata a Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, ecc. (Gr 1:1-10; Is 6: 1-8; Ez 1: 1-3; Da 2; Os 1:1-2). Gli apostoli sono stati scelti da Gesù dopo una lunga notte in preghiera, e l’apostolo Paolo mediante una folgorante visione (At 9).

Ciò significa che il nostro percorso di vita fonda le sue radici nella sola Scrittura e che ogni tentativo per screditarla o equipararla con la tradizione ecclesiastica e culturale impoverisce la fede, il personale rapporto con Dio, e incrina la salvezza.

2. Il testo evidenzia che solo tutti “quelli che saranno trovati scritti nel libro” “della vita” (Ap 3:5), saranno salvati. L’idea che tutti saranno salvati è fuorviante e fluisce da un concetto errato dell’amore di Dio e del senso di responsabilità dell’uomo. Alcuni insegnano che, durante il Millennio (Ap 20), gli empi si convertiranno perché Dio concederà loro una seconda occasione di salvezza. Questo insegnamento è errato per i seguenti motivi: solo chi crede in Gesù, durante questo percorso di vita, sarà salvato (Gv 3:16); il Millennio, periodo simbolico, è gestito dai credenti i quali valuteranno i motivi per cui gli empi non sono risuscitati al ritorno di Cristo (Ap 20:4-6; 1 Te 4:12-18); quando Mika’el sorgerà solo “i saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno” (Da 12:3); al ritorno di Cristo i morti risusciteranno, “quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; e quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio” (Gv 5:29).

Anche la nozione che tutto Israele sarà salvato è errata. Quelli che professano tale insegnamento tralasciano che gli eletti sono pochi (Mt 22:14) e che questi ultimi costituiscono “il resto” o “il residuo” della chiesa del Vecchio e del Nuovo Testamento (2 Re 19:31; Ed 9:13; Is 1:9; 10:20-22; 11:11; Gr 31:7; Ez 6:8; So 3:13; Ap 12:17).

In breve, l’illusione della salvezza universale è fatale per gli empi quanto per i credenti. Per i primi, perché presumono di essere salvati come se le opere malvagie, l’incredulità e l’indifferenza non avessero alcun valore agli occhi di Dio e di quelli che hanno sofferto a causa loro. Per i secondi, perché hanno un concetto errato dell’amore e della giustizia di Dio.

Cosa sarebbe l’amore senza la giustizia o la giustizia senza l’amore? L’amore senza giustizia è debolezza e la giustizia senza amore è crudeltà. Diceva Schiller: “La storia del mondo è il giudizio del mondo”. Così è anche la storia di ogni individuo, essa è il giudizio della persona. Noi siamo giudici di noi stessi! “Perché colui che semina per la sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, ma chi semina per lo Spirito dallo Spirito raccoglierà vita eterna” (Ga 6:8). “Chi semina iniquità raccoglierà guai, e la verga della sua collera sarà annientata» (Pr 22:8).

 

Daniele in breve. Big Bang spirituale

Daniele in breve. Big Bang spirituale

Francesco Zenzale – “Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia” (Da 12:2).

La risurrezione è il cuore dell’evangelo. Se questa speranza fosse disattesa o svuotata dal suo significato, accomunandola per esempio al concetto dualista della natura dell’uomo (anima-corpo), non avrebbe alcun valore credere nella risurrezione dei morti (1 Te 4:13-18). La dottrina dell’immortalità dell’anima oltre a svalutare la beata speranza del ritorno di Cristo, crea seri equivoci sul mondo futuro. Il concetto comune di paradiso o “campi elisi” come luogo di beatitudine dove le anime glorificate trascorreranno l’eternità nella contemplazione e nella meditazione, è ispirato più al dualismo platonico che al realismo biblico. L’insegnamento biblico riguardo al mondo futuro non è quello di un “celestiale ritiro spirituale” abitato da anime glorificate, ma questo nostro “pianeta” popolato da santi risuscitati (Cfr. Is 66:22; Ap 21:1).

Comprendo la difficoltà nel credere nella risurrezione dei morti “in carne e ossa”, trasformati e resi incorruttibili (1 Co 15). Anch’io, non mi sottraggo alle domande del tipo: com’è possibile che il “mare restituisca i morti” (Ap 20:13), che le tombe si apriranno, e molti corpi de’ santi che attualmente dormono, risusciteranno? (Mt 27:52). Come credere in un insegnamento che non possiamo provare, vedere o toccare con mano?

Come l’apostolo Tommaso, anche noi, siamo usuali dire: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò” (Gv 20:25).

Ma la Bibbia, che io sappia, è molto concreta, non ha nulla a che fare con il mondo delle ipotesi, delle fantasie o del può darsi. I miracoli che Gesù compiva non si situano nell’ambito della magia o dell’illusione. La risurrezione di Lazzaro è un fatto (Gv 11), come anche quello del figlio della vedova di Nain e di altri (Lc 7:11-17; Cfr. Lu 8:49-56; Mt 27:52; 1 Re 17:17-24). E poi, Gesù non aveva bisogno di morire e risuscitare per se stesso: come uomo non ha peccato (Eb 4:15). Infatti, c’è stato un momento in cui stava per essere trasportato in cielo (Mt 17:1-8), ma per la nostra salvezza quel processo fu interrotto.

Cristo Gesù è morto e risuscitato per noi, per la nostra redenzione (Ro 4:25). “Dio, come ha risuscitato il Signore, così risusciterà anche noi mediante la sua potenza” (1 Co 6:14). “Pertanto, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore, e avrai creduto col cuore che Dio l’ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Ro 10:9).

Io credo che la risurrezione dei morti sia l’unica beata speranza che ci permetta di trascendere dal presente così luttuoso e avvilente. È una prospettiva sicura, certa, perché fluisce da Dio che è vita! (Gv 3:16). “Egli non è l’Iddio dei morti, ma de’ viventi”. (Mt 22:32).

Daniele credeva nella risurrezione dei morti. In visione ebbe la gioia di cogliere questa esplosione di vita associata al giudizio (Da 7: 9-14), e quando Dio gli sussurrò “Tu, va’ pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni” (Da 12:13), si addormentò nella consapevolezza che sarebbe risuscitato.

“Così parla il Signore, Dio: ‘Ecco, io aprirò le vostre tombe, vi tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d’Israele. Voi conoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio! E metterò in voi il mio Spirito, e voi tornerete in vita; vi porrò sul vostro suolo, e conoscerete che io, il Signore, ho parlato e ho messo la cosa in atto’, dice il Signore” (Ez 37:12-14).

 

Daniele in breve. Tempi di angoscia

Daniele in breve. Tempi di angoscia

Francesco Zenzale – “In quel tempo sorgerà Michele, il grande capo, il difensore dei figli del tuo popolo; vi sarà un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo; e in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; cioè, tutti quelli che saranno trovati iscritti nel libro” (Da 12:1).

Mi resta difficile credere che nessuno abbia mai avuto a che fare con l’angoscia. Con quella sensazione di oppressione che affligge il cuore, tale da non avere forza di vivere. Una sofferenza indicibile che promuove un forte senso di smarrimento e di paura.

Nell’Apocalisse, Giovanni descrive questa dolorosa emozione con le seguenti parole: “Il cielo si ritirò come una pergamena che si arrotola; e ogni montagna e ogni isola furono rimosse dal loro luogo. I re della terra, i grandi, i generali, i ricchi, i potenti e ogni schiavo e ogni uomo libero si nascosero nelle spelonche e tra le rocce dei monti. E dicevano ai monti e alle rocce: ‘Cadeteci addosso, nascondeteci dalla presenza di colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della sua ira. Chi può resistere?’” (Ap 6:13-17).

Parole che amplificano quelle pronunciate da Gesù nel vangelo di Luca: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra, angoscia delle nazioni, spaventate dal rimbombo del mare e delle onde” (Lu 21:25; cfr. Mt 24:29; Mr 13:24-26).

Gesù, nel sermone sugli ultimi tempi, fa un esplicito riferimento a Daniele (cfr. Mt 24:15) e interpella gli uomini con un linguaggio che riprende il testo di Daniele: “Perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà” (v. 21).

L’angoscia annunciata dai profeti e da Gesù è inesprimibile perché non si conosce la natura. Infatti, non c’è nessun precedente che ci permette un termine di paragone: “non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo” (Da 12:1) o “quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà» (Mt 24:21).

Uno dei motivi per cui è difficile comprenderla dipende dalla sua dimensione planetaria. Sono coinvolte le nazioni, i re della terra, i grandi, i generali, i ricchi, i potenti e ogni schiavo e ogni uomo libero. E soprattutto i figli di Dio.

L’eco più forte rimbalza nel libro di Geremia in cui la stessa espressione ebraica “tempo d’angoscia” appare tre volte su un totale di sei, in particolare al capitolo 30 dove è descritto come un evento eccezionale: “Ahimè, perché quel giorno è grande; non ce ne fu mai altro di simile; è un tempo di angoscia per In Giacobbe…” (Gr 30:7; cfr. 32:24-30). L’esperienza evocata, rappresenta l’angoscia del popolo di Dio nel tempo della fine.

In tal senso, scrive E. G. White, “Il periodo di angoscia e di sofferenza che si sta profilando all’orizzonte richiede una fede capace di sopportare la stanchezza, l’attesa e la fame; una fede che non venga meno neppure se duramente provata. Un periodo di grazia è accordato a tutti perché possano prepararsi per quel tempo. Giacobbe vinse perché fu perseverante e deciso. Tutti coloro che accetteranno come lui le promesse di Dio e saranno ferventi e perseveranti, riporteranno lo stesso successo. Chi non è disposto a rinunciare a se stesso, a pregare a lungo con fervore fino alla disperazione, per ricevere la sua benedizione, non potrà ottenerla. Lottare con Dio: sono pochi coloro che sanno cosa significhi! Sono pochi coloro che si lasciano attirare da Dio e lo cercano con tutta l’intensità di cui sono capaci! Quando una disperazione, che non si può descrivere a parole, si abbatte su chi prega, pochi sono coloro che si affidano alle promesse di Dio con fede incrollabile!”.

“Vegliate dunque, pregando in ogni tempo, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per accadere, e di comparire dinanzi al Figliuol dell’uomo” (Lu 21:36).

Daniele in breve. Il re del nord è il popolo di Dio

Daniele in breve. Il re del nord è il popolo di Dio

Francesco Zenzale – “I saggi tra il popolo ne istruiranno molti; ma saranno abbattuti, per un certo tempo, dalla spada e dal fuoco, dalla schiavitù e dal saccheggio. Quando saranno travolti, riceveranno qualche piccolo aiuto; ma molti si uniranno a loro senza convinzione. E di quei saggi alcuni cadranno per essere affinati, purificati, resi candidi fino al tempo della fine, perché questa non avverrà che al tempo stabilito” (Da 11: 33-35).

È ammirevole costatare quanto Gesù amasse il mondo. Una delle celeberrime frasi che tutti i credenti ricordano è: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1:29). Egli s’è fatto uomo per dare vita al mondo (Gv 6: 33, 51), tuttavia “il mondo non lo riconobbe” e “venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1:10-11). L’odio del mondo si è riversato su di lui con inaudita violenza, perché Gesù, ancora oggi, è testimone della sue malvagie opere (Gv 7:7).

Questa inaudita aggressività nei confronti di Gesù si è riversata anche sui suoi seguaci. Gesù lo aveva annunciato: “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me” (Gv 15:18). Perché? Per il semplice fatto che il mondo ama ciò che suo e siccome i figli di Dio non sono del mondo, allora sono odiati (Gv 15:19).

Daniele 11 rivela che questo smisurato conflitto tra il cielo e la terra, fra Cristo e il mondo, coinvolge inesorabilmente il popolo di Dio, specificando che tale avversità siesprime nell’azione disumana raffigurata dal re del settentrione (Da 11: 16,28,30,31 e 35). Analizzando il contenuto dell’attività del re del nord  (espresso nei versetti 31 a 37, 40-45; e in 12:1-3) è possibile elaborare un’interessante parallelismo con l’opera del piccolo corno di Daniele 7 e 8 (Dn 7: 9-14, 25-28; 8:9-14).

Da questo accostamento si evince che:  il re del nord è lo stesso potere-istituzione (e filosofia di vita) descritto nelle precedente visioni; il sovvertimento del piano della salvezza, o del vangelo, raffigurato dalla profanazione del santuario, è connesso all’azione contro il popolo di Dio. In tal senso, si pensi alle persecuzioni e ai crimini scaturiti dall’intolleranza che hanno segnato la storia della chiesa dal IV secolo in poi. Lunedì 22 giugno 2015, papa Francesco, nel tempio valdese di corso Vittorio Emanuele II a Torino, ha compiuto un gesto di grande sensibilità sul piano storico ed etico, chiedendo perdono per il modo “non cristiano e sovente disumano” in cui la chiesa di Roma ha trattato i valdesi in otto secoli di storia.

Ma la parola profetica ci invita a orientare il nostro pensiero al tempo della fine, l’ultima fase dell’umanità (Da 11: 40-45), perché questa terribile situazione avrà il suo epilogo nel giorno in cui Mika’el ritornerà (Da 12:1-3; 7: 9-14). In quest’ultimo frangente della storia le azioni che si svilupperanno contro i figli di Dio giungeranno a piena maturazione, sfoceranno nell’ultima battaglia: Armaghedon.

L’Apocalisse illustra questo periodo con le seguenti parole: “Poi dalla bocca del drago e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta vidi uscire tre spiriti immondi, simili a rane: sono infatti spiriti di demoni che operano prodigi e vanno a radunare tutti i re di tutta la terra per la guerra del gran giorno di Dio onnipotente […] E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedon” (Ap 16: 13-14,16).

L’ultimo conflitto tra il bene il male, fra il popolo di Dio e i re della terra capitanati dal potere raffigurato dal re del settentrione. L’ultimo gemito della terra e dei figli di Dio (Rm 8: 18-23), culminerà con la venuta di Mika’el. Pertanto, “Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergogne” (Da 12:1-3; Ap 16: 15).

Daniele in breve. L’alleanza tra il nord e il sud

Daniele in breve. L’alleanza tra il nord e il sud

Francesco Zenzale – “Egli si proporrà di venire con le forze di tutto il suo regno, ma farà un accordo con il re del mezzogiorno: nella speranza di indebolire il suo regno, li darà sua figlia per moglie; ma il piano non riuscirà e il paese non gli apparterrà” (Da 11:17).

È meraviglioso capire come la parola di Dio attraversa la storia e come quest’ultima acquista valore escatologico grazie alla voce profetica. Il testo introduttivo evidenzia che, nei tempi antichi, i conflitti politico-militari venivano risolti attraverso alleanze suggellate da matrimoni.

In un mondo come quello pre-romano, romano e medievale, connotati da una conflittualità endemica, le nozze tra i figli delle casate reali, nazionali e internazionali, non solo segnavano momenti di pace, utili agli interessi politici ed economici dei reali e della nobiltà, ma diventavano un modello di comportamento sociale, emulato nei grandi gruppi di famiglie di mercanti che, nel tardo Medioevo, usavano siglare così potenti accordi commerciali. Ad esempio, Tolomeo II, oramai avanti negli anni, per prevenire un ulteriore colpo di mano del suo avversario sulla Celesiria, contesa dai Seleucidi, pensò bene di accordarsi con Antioco II Theo. La pace fra i due sovrani fu suggellata da un matrimonio di Stato. Berenice, figlia di Tolomeo Filadelfo (il re del mezzogiorno) andò in sposa ad Antioco II Theo (il re del settentrione), dopo che questi ebbe ripudiato la prima moglie (e sorella) Laodice ed escluso dalla successione al trono il primogenito di lei, Seleuco.

Anche nelle cronache bibliche si può cogliere questa consuetudine. Il re Salomone concluse un’alleanza politica con l’Egitto sugellandola con il matrimonio: sposò la figlia del faraone (1 Re 3:1; 9:16). Successivamente, sempre con gli stessi fini, sposò donne maobite, amonite, idumee, sidone e ittite che lo indussero all’idolatria (1 Re 11:1-6). Acab sugellò l’alleanza politica con il re di Sidone sposando la figlia Izebel, la quale causò simili risultati nel regno del nord (1 Re 16:31-33).

Ma le alleanze che il testo biblico menziona (Da 11:6,17,22 e 23), hanno principalmente una valenza simbolico-escatologica e spirituale. Infatti, i re del nord e del sud rappresentano due forze o entità contrapposte: la prima di natura religiosa, l’altra di natura politico-umanista. Queste due realtà, benché distanti a causa della loro indole, hanno la capacità di promuovere accordi e compromessi dai quali fluisce un serio pericolo per la società e, soprattutto, per il popolo di Dio.

Possiamo cogliere questa funesta convivenza politico-religiosa sin dagli albori del cristianesimo. Il complotto che condusse Gesù sulla croce è l’emblema di quanto è successo nel corso della storia. Farisei, sadducei, zeloti, erodiani e romani, poteri politi e religiosi, uniti per porre fine all’esistenza di Gesù.

Chi non ricorda gli accordi o i compromessi stipulati nel corso dei secoli tra il potere ecclesiastico e quello temporale? Da Costantino ai nostri giorni, passando per le alleanze medievali su questioni come la legge, il controllo del territorio, gli esercizi del potere e perfino le idee filosofiche, il funesto connubio Chiesa-Stato è al quanto evidente.

Ma la profezia rileva un aspetto inquietante. Le alleanze tra i vari contraenti non saranno egualitarie. Come nella coalizione contro Gesù, anche in esse si evidenzia l’egemonia del potere ecclesiale, rappresentato dal re del settentrione (Da 11:36-40).

Di fatto, storicamente, la chiesa ha sempre avuto la meglio sui movimenti politici e umanisti, soprattutto nella rincorsa contro il popolo di Dio. In altre parole, la chiesa, simboleggiata dal re del settentrione, si è sempre affermata come un’istituzione credibile e di tutto rispetto grazie alla sua abilità politica che, soprattutto oggi, le vale il riconoscimento da ogni dove. L’apostolo Giovanni precisa che “l’adoreranno tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla creazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato” (Ap 13:8; cfr. 18:3).

Daniele in breve. Il re del nord e il re del sud

Daniele in breve. Il re del nord e il re del sud

Francesco Zenzale – “Al tempo della fine, il re del mezzogiorno si scontrerà con lui; il re del settentrione gli piomberà addosso come la tempesta, con carri e cavalieri e con molte navi; entrerà nei paesi invadendoli e passerà oltre” (Da 11:40; cfr. v. 35).

Il testo biblico evidenzia che i violenti contrasti tra “il re del nord” (settentrione) “e del sud” (mezzogiorno), hanno una valenza escatologica. La loro rivalità veicola nel tempo: “sino al tempo della fine”.

Questo scenario profetico ci permette di comprendere che le espressioni “il re del nord” e “il re del sud” hanno una valenza spaziale, atemporale e innanzitutto spirituale. Ciò non significa privare la profezia di ogni riferimento storico, ma cercare di capire che, oltre i riferimenti storici, esiste una filosofia di vita caratterizzata da uno stato di conflitto socio-etico-spirituale espresso dal re del nord e del sud. In altre parole, la voce profetica ci invita a trascendere la dimensione storico-temporale.

Tale invito fluisce anche dal fatto che non sempre è possibile collocare la profezia in un contesto storico definito: associare gli eventi politici alla profezia. Ad esempio, gli studiosi sono concordi nel riconoscere che nella prima fase del conflitto fra il re del nord e del sud sono coinvolte due dinastie: quella del Lagidi (da dal greco e latino Lagos, padre di Tolomeo primo) in Egitto e quella dei Seleucidi di origine macedone che regnarono sulla Siria e le regioni contigue, al nord della Palestina o del “paese splendido”. Ma, poiché il conflitto tra il re del mezzogiorno e del settentrione si protrae fino all’epilogo della storia dell’umanità, l’interpretazione storico-profetica diventa pluralista e incerta. Ciò significa che i riferimenti storici, riguardo al tempo della fine, sono spesso generali, imprecisati e soggettivi.

La parola di Dio  offre due elementi che ci permettono di cogliere, principalmente, il significato etico-spirituale dell’undicesimo capitolo:
– Nord e sud, o settentrione e mezzogiorno, è un’espressione stilistica che esprime l’idea della totalità dello spazio terrestre. “Così dicano i riscattati del Signore, ch’egli liberò dalla mano dell’avversario e riunì da tutti i paesi, da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno» (Sl 107: 1-3; cfr. Sl 89:11,12; Is 43:6,7; 1 Cr 26:17; Ec 1:6; Cc 4:16, ecc.).

– Nella tradizione biblica, il riferimento al nord e al sud è investito di un significato spirituale preciso. Il re del nord rappresenta la potenza del male, dall’indole distintamente politico-religiosa che usurpa il posto di Dio. Essa trova la sua massima espressione in Babilonia: letterale e simbolica. I profeti scorgono il male e sentono che la minaccia proviene dal nord, dalla potenza di Babilonia (Is 14:31; Ger 1:14-15; 4:6; 10:22; 46:20; 50:1-3; Is 41:24,25; Gioele 2:20; Ez 26: 7). In Daniele, il re del settentrione “agirà a suo piacimento, s’innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio e pronuncerà parole inaudite contro il Dio degli dèi; prospererà finché non sia finita l’ira, poiché ciò che è stato deciso si compirà” (Da 11: 36; cfr Is 14: 13-14; Da 7:25). Nel libro dell’Apocalisse, Babilonia è “la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra” (Ap 17:5), “i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità” (Ap. 18:5; cfr. Ap 14:8; 16:19; 17:5; 18:2,10,21).


Il re del sud, o del mezzogiorno, di cui l’Egitto è la massima espressione (Da 11:43), esprime sia un potere di natura politico-militare (Da 11: 5-6,9-11, 15, 25, 40), sia un modus vivendi caratterizzato dal rifiuto di Dio. In altre parole, rappresenta un umanesimo ateo, non necessariamente esente da forme cultuali, ma escludente Dio. Ciò si evince dall’atteggiamento del faraone all’invito da parte del Signore di liberare il suo popolo. “Chi è il Signore che io debba ubbidire alla sua voce e lasciare andare Israele? Io non conosco il Signore e non lascerò affatto andare Israele” (Es 5:2).

Da questo elemento, i profeti comprendono che ogni tentativo di stabilire un’alleanza con l’Egitto diventa l’espressione della fiducia nel potere umano e, già solo per questo, un modo per rinnegare Dio. “Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso, hanno fiducia nei cavalli, confidano nei carri, perché sono numerosi, e nei cavalieri… ma non guardano al Santo d’Israele e non cercano il Signore!… Gli egiziani sono uomini, e non Dio; i loro cavalli sono carne, e non spirito; quando il Signore stenderà la sua mano, il protettore inciamperà, cadrà il protetto, e periranno tutti assieme” (Is 31:1-3).

Fra queste due luttuose realtà profetiche, si colloca il popolo di Dio, il quale è invitato da Dio sia a “uscire da Babilonia” (Ap 18:4), sia a non avere nulla a che fare con l’umanesimo ateo che si affida alle proprie forze (Ap 3: 17; cfr. Lu 12:16-20). Da questo poderoso invito fluisce, a sua volta, l’importanza dell’invito di Gesù: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15: 4-5).

Per una maggiore compressione di questa lettura profetica coonsiglio il libro I segreti di Daniele di Jacques B. Doukhan (Edizioni Adv –  http://www.edizioniadv.it/).

Daniele in breve. Tempi di angoscia

Daniele in breve. Il re del settentrione e il piccolo corno

Francesco Zenzale – “I saggi tra il popolo ne istruiranno molti; ma saranno abbattuti, per un certo tempo, dalla spada e dal fuoco, dalla schiavitù e dal saccheggio. Quando saranno travolti, riceveranno qualche piccolo aiuto; ma molti si uniranno a loro senza convinzione. E di quei saggi alcuni cadranno per essere affinati, purificati, resi candidi fino al tempo della fine, perché questa non avverrà che al tempo stabilito” (Da 11:33-35).

Nella precedente riflessione ho evidenziato la stretta relazione tra l’ottavo e l’undicesimo capitolo. In questa, con l’aiuto del dott. Jacques B. Doukhan, esamineremo il rapporto esistente fra la potenza del nord e il potere rappresentato dal piccolo corno che si “ingrandisce enormemente in direzione del mezzogiorno, dell’oriente e del paese splendido” (Da 8:9).

Questa significativa collazione, da una parte, ci permette di comprendere come muoversi nello studio delle profezie apocalittiche, come queste avvalorano le precedenti aggiungendo nuovi insegnamenti che indubbiamente infoltiscono il nostro rapporto con Dio. Dall’altra, ci offre la possibilità di dare un valore esistenziale a quel peculiare periodo storico che la parola di Dio delinea come “il tempo della fine” (Da 8:17, 19; 11:27, 40; 12:4).

Tempo escatologico inquietante ma immerso nella speranza, perché alla fine “sorgerà Michele, il grande capo, il difensore dei figli del tuo popolo; vi sarà un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo; e in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; cioè, tutti quelli che saranno trovati iscritti nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno” (Da 12:1-3).

Le analogie saranno sorprendenti, perché le affinità affiorano persino nel linguaggio.

“Il re del nord ha un comportamento aggressivo e usurpatore nei confronti di Dio (11:36, 37); nel capitolo 8 il piccolo corno si erge fino all’esercito del cielo, fino al capo dell’esercito (vv. 10, 11), contro ‘il principe dei principi’ (v. 25).

Il re del nord se la prende con il santuario e con il sacrificio continuo (11:31); nel capitolo 8, il piccolo corno sconvolge il santuario (v. 11) ed elimina il sacrificio perpetuo (v. 12).

Il re del nord conquista il ‘paese splendido’ (tsevi), espressione simbolica che designa la Palestina (vv. 16, 41, 45), e avrà disegni ostili contro il patto santo (vv. 28, 30); lo stesso avviene con il piccolo corno che diventa grande verso il ‘paese splendido’ (v. 9) e attacca il popolo dei santi (v. 24).

Come il re anche il piccolo corno del capitolo 8 è originario del nord (v. 4).

Il re del nord e il piccolo corno subiscono il medesimo destino. Il re del nord ‘giungerà alla sua fine e nessuno gli darà aiuto’ (11:45); il piccolo corno ‘sarà infranto senza intervento umano’ (8:25; cfr. 2:45).

In sintesi, possiamo dire che il re del nord e il piccolo corno presentano gli stessi tratti caratteriali, hanno comportamenti simili, provengono dalla stessa direzione e conoscono lo stesso tragico destino; inoltre, coprono un arco temporale uguale, dalla caduta dell’Impero romano fino al tempo della fine” – J. B. Doukhan, I segreti di Daniele, Ed. Adv, Firenze, 2014, p. 508.

Ciò significa che la potenza del nord e il piccolo corno rappresentano lo stesso potere, vale a dire quello politico-religioso che esprime le sue pretese divine e i suoi compromessi politici. La storia del conflitto nord-sud, riportata nel capitolo 11, è la stessa descritta al capitolo 8 per il piccolo corno. Conseguentemente, è importante capire il significato di questo conflitto.

Daniele in breve. Il re del nord e il re del sud

Daniele in breve. Undicesimo capitolo: breve excursus storico-profetico-esistenziale

Francesco Zenzale – “Ma io ti voglio far conoscere ciò che è scritto nel libro della verità; e non c’è nessuno che mi sostenga contro quelli, tranne Michele vostro capo” (Da 10:21).

Ciò che l’angelo rivela a Daniele, nel capitolo undicesimo, non è riferito con simboli o allegorie, come nelle precedenti visioni (capitoli 2, 7 e 8), ma nel modo di un racconto. In esso si espongono conflitti politici e religiosi che coinvolgono il popolo di Dio. Questi scontri iniziano con l’Impero medo-persiano, proseguono con quello greco-macedone (Da 11:1-22), quindi con l’Impero romano e nella sua metamorfosi religiosa (Imperium Romanum Sacrum), per poi continuare a percorrere la storia, accentuandone la loro drammaticità man mano che si avvicina “il tempo della fine” (Da 11:35-40). In quest’ultimo periodo, l’ostilità si acuisce a tal punto da richiedere l’intervento di Mika’el. La sua azione, oltre a porre fine ai violenti scontri tra due forti avversarsi, denominati simbolicamente “il re del nord” e “il re del sud”, inaugurerà il suo regno (Da 12:1-3).

Il percorso storico-profetico delineato non è di facile interpretazione, soprattutto dal quinto versetto. E le nostre brevi riflessioni non sono elaborate per addentrarci in questa interessante questione. In tal senso, per chi desidera approfondire la problematica, invito a leggere il libro Capire Daniele di A. Caracciolo, Edizioni Adv (Firenze).

Comunque, la visione tende a sviluppare quella dell’ottavo capitolo. Ciò si evince dai seguenti riferimenti:
– Come l’ottavo, anche l’undicesimo capitolo inizia con l’Impero medo-persiano (Da 8: 20; 11:1-2).
–  La divisione dell’Impero greco-macedone è descritta con le medesime parole: “sarà diviso verso i quattro venti del cielo” (Da 8:8; 11: 4).
–  La violazione del santuario, del tamîd e del patto santo è un aspetto rilevante in entrambe le rivelazioni (Da 8:9-14, 23-26; 11:21-40).
– Gli espliciti riferimenti al tempo della fine indicano che l’umanità si avvia verso l’epilogo, che culminerà con l’intervento di Dio (Da 8:17, 19; 11:40; 10:14).
– Il drammatico coinvolgimento del popolo di Dio, dell’Antica e della Nuova Alleanza, è il motivo per cui l’audizione è accordata (Da 10:14; 11:33; 8:24).
– Le prospettive funeste sembrano echeggiare le attività devastanti del “piccolo corno” descritte nei capitoli 7 e 8.

Oltre a queste attinenze, si evidenzia la stretta relazione con la profezia delle settanta settimane. In contrapposizione all’opera del Messia (Mashiach), il quale avrebbe stabilito “un saldo patto con molti” (Da 9:27), nell’undicesimo capitolo si prospetta la violazione di questo patto: “disegni contro il patto santo” (11:28-31).

Nell’insieme, il racconto profetico descrive eventi che evidenziano una filosofia di vita naturale e umana in contrasto con quella auspicabile dai figli di Dio (Ef 5:1-2; Mi 6:8) e indubbiamente in netta opposizione al progetto redentivo. I conflitti in esso enunciati evidenziano la violazione dei diritti umani, dell’autodeterminazione dei popoli e della liberta di coscienza. Ciò si arguisce dall’incensante e funesta lotta fra i re del mezzogiorno e del settentrione, dove uomini e donne, popoli e nazioni sono in balia del potere egemonico di turno. Ma verrà il giorno in cui “i saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno” (Da 12:3).

 

 

Daniele in breve. Il re del nord è il popolo di Dio

Daniele in breve. Chi è simile a Cristo?

Francesco Zenzale – Nella precedente riflessione abbiamo avuto modo di accertare che Mika’el è Cristo, il figlio dell’uomo che si avvicina a Daniele con parole incoraggianti e gradevoli al cuore: “Allora colui che aveva l’aspetto d’uomo mi toccò di nuovo e mi fortificò. Egli disse: ‘Non temere, o uomo molto amato! La pace sia con te. Coraggio! Sii forte!’” (Da 10:19).

Il nome in sé, Mika’el, è latore di una sfida: “Chi è come Dio? Chi è simile a Cristo o al figlio dell’uomo?”. Una provocazione che nessuno nell’universo è in grado di raccogliere, neppure gli angeli. Perché nessuno può essere simile a Cristo se non colui che può affermare: “Io e il padre siamo uno” (Gv 10:30).

Questa sfida prorompe dal cielo e raggiunge l’uomo, per ricordargli che è una creatura, che deve accettare e imparare a vivere nel tempo e nello spazio che gli sono connaturali. Che non deve immaginare di essere Mika’el, accettando l’antica e ingannevole offerta del serpente: “voi sarete come Dio” (Ge 3:4).

Disgraziatamente, quest’umana condizione è stata disattesa dai nostri progenitori (Adamo ed Eva) e continua ad essere elusa. Si percepisce un’innata tendenza a vivere svincolati da Dio e dalla nostra antropica realtà. Vogliamo essere come Dio e godere di osannati riconoscimenti: lode, gloria, onore, ricchezza, applausi, ecc. Abbiamo imparato a manipolare l’altro e noi stessi, disarticolandoci dalla nostra umana esistenza. Abbiamo perfino cercato di modellare Dio, ma lui non si lascia comprare o ammaliare dalle nostre deliranti fantasie.

Scrive l’apostolo Paolo che solo “l’uomo del peccato” o l’avversario s’illude di essere come Dio e presumere di essere oggetto di culto e di adorazione (2 Te 2:4-8). In Apocalisse, alla “bestia che sale dal mare”, la profezia annota la seguente affermazione: “Chi è simile alla bestia?” (Ap 13:4). Chi è simile all’uomo del peccato, che proferisce parole d’orgoglio e bestemmie contro Dio e gli abitanti del cielo e che perseguita santi dell’altissimo? (Ap 13:5; Dn 7:25). La risposta è affermativa: “Tutti”. Perché la bestia, non raffigura solo un potere politico-religioso che si oppone a Cristo, ma anche l’estensione del nostro io e delle nostre fragili illusioni (Ap 13:7-8; cfr. 14:9).

L’uomo che ha scelto di onorare Dio, di rimanergli fedele fino alla morte (Ap 2:10), come Daniele, non pretende di essere simile a Dio. Vive il quotidiano con sofferenza, incomprensioni e a volte con senso di smarrimento. Le sue ginocchia vacillano, cade per terra e sviene (Da 8:27). Ma poi si rialza e riprende a interagire col cielo; perché Mika’el lo “tocca”, trasmettendogli vigore, energia e la gioia di essere alla presenza di colui che nessuno può eguagliare (Da 10:19; Ap 1:17). “I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano” (Is 40: 30-31). Solo Gesù è in grado di dare valore alla nostra vita. Di aprirci alla speranza, di guardare oltre le tenebre che avvolgono la nostra esistenza.

 

Daniele in breve. Tempi di angoscia

Daniele in breve. Mika’el

Francesco Zenzale – “Ma io ti voglio far conoscere ciò che è scritto nel libro della verità; e non c’è nessuno che mi sostenga contro quelli, tranne Michele (Mika’el) vostro capo” (Da 10:21).

È meraviglioso ghermire per fede come si muove il cielo in favore del popolo di Dio e della realizzazione dei propositi divini. Gabriele, nello sforzo di vincere le resistenze degli uomini soggiogati da Satana o dalle proprie convinzioni e paure, afferma che nessuno lo sostiene “contro quelli, tranne Michele”.

Chi è questo singolare personaggio che opera nel retroscena a sostegno dell’angelo Gabriele, nella sua opera di convinzione in favore della costruzione del tempio e di Gerusalemme e, per estensione profetico-soteriologica, in favore dei figli di Dio?

Proviamo a scoprire questa illustre persona estraendo alcune specifiche della sua attività. Gabriele ci informa che svolge un’attività di soccorritore, sostenitore e difensore (Da 10:13, 21; 12:1. Cfr. 1 Gv 2:1). In Giuda 9, Mika’el interagisce “con il diavolo disputando per il corpo di Mosè”. In Apocalisse 12:7, Giovanni ci riferisce che “ci fu una battaglia nel cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone. Il dragone e i suoi angeli combatterono”.

Tutte queste peculiarità rivelano che abbiamo a che fare con una persona che ha caratteristiche di natura superiore agli angeli. Ciò possiamo coglierlo anche dagli attributi che Gabriele annota: “uno dei primi capi”, “vostro capo”, “gran capo” (Da 10:13, 21; 12:1). In Giuda 9, Mika’el è “l’arcangelo”, letteralmente capo degli angeli (cfr. 1 Te 4:16).

Nella parola di Dio, il termine “capo” (ebraico sar, capo o principe) è adoperato per indicare una dignità politica (principe), una carica militare (capo, comandante) o un’autorità locale (governatore). Tuttavia è anche riferito a esseri sovrannaturali, come nel libro di Daniele (cfr. Gs 5:14). In Isaia 9:5, sar shalom (principe della pace) è uno dei titoli riconosciuti al futuro Messia. Daniele 12:1 annuncia il sorgere di “Michele, il gran principe» (versione ND) (mika’el hassar haggâdôl), in difesa del suo popolo. Il contesto ci permette di cogliere il potere di giudicare di Mika’el, come il figlio d’uomo in Daniele 7:13, 14, 26, che esercita la stessa autorità. Infine, in Apocalisse 12:7-9, si riconosce in Mika’el, che combatte e vince il gran dragone, il Cristo risorto vittorioso su Satana.

Tutti questi elementi ci inducono a credere che Mika’el sia Cristo. Ciò si evince anche dal significato del nome. Mi-ka-’el nella lingua ebraica è una proposizione interrogativa: «chi è come Dio?». In essa si coglie una sfida che nessuno nell’universo è in grado di raccogliere. Pertanto, il significato di questa domanda è: nessuno è come Dio se non colui che porta questo nome, precisamente Mika’el. L’unico che è “l’immagine dell’invisibile Dio” (Cl 1:15), “splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza” (Eb 1:3).

Dopo l’ineffabile affermazione circa la sua natura e il suo ruolo nel disegno redentivo del cielo (Gv 14:6), “Filippo gli disse: ‘Signore, mostraci il Padre e ci basta’. Gesù gli rispose: ‘Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: Mostraci il Padre? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse’” (Gv 14:8-11).

Come il fiore si volge al sole perché i suoi luminosi raggi ne perfezionano la bellezza e la simmetria, così noi dobbiamo volgere gli sguardi verso il Sole di giustizia, Mika’el, affinché‚ la luce che viene dall’alto risplenda su noi e il nostro carattere possa svilupparsi in conformità di quello di Cristo.

 

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