Regola i rapporti tra lo Stato e la chiesa avventista.

Lina Ferrara – Oggi ricordiamo un anniversario importante per la chiesa avventista in Italia. Compie 35 anni la legge 22 novembre 1988, n. 516 che, con i suoi 38 articoli, regola i rapporti tra lo Stato italiano e la denominazione. Ne parliamo con Davide Romano, responsabile del Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa dell’Unione italiana (Uicca) e direttore dell’Istituto avventista “Villa Aurora” di Firenze.

Lina Ferrara: Puoi dirci brevemente come è nata la legge 22 novembre 1988 n. 516? 
Davide Romano: La legge di intesa è nata dopo una lunga e travagliata gestazione. Se è nota a molti la battaglia per la piena attuazione dei principi proclamati nella Carta costituzionale, non molti sanno che proprio l’attuazione dell’art. 8 co. 3 della Costituzione fu tra quelli che maggiormente ebbero bisogno di una lunga metabolizzazione politica. Si giunse così intorno alla metà degli anni ‘80 alle prime intese con i valdesi, gli avventisti e le Assemblee di Dio, nel quadro di una contemporanea revisione del concordato con la Santa sede e al culmine di un intenso lavoro di sensibilizzazione politica che le minoranze evangeliche, con un indubbio protagonismo della nostra chiesa e della chiesa valdese, seppero promuovere.

L. F.: Cosa pensi in generale di questa legge? 
D. R.: Beh, ogni legge è migliorabile, se il quadro politico lo consente. Oggi, alla luce dell’esperienza accumulata in sede applicativa e giurisprudenziale alcuni emendamenti agli artt. 14 e 17 li suggerirei. Negli anni alcune piccole modifiche sono già state introdotte. Oggi siamo alle prese con nuove istanze che richiedono, appunto, ulteriori integrazioni.

L. F.: Cosa ha significato per la chiesa avventista? 
D. R.: Direi che non solo per la chiesa avventista ma per tutte le minoranze religiose presenti nel nostro Paese, la legge di intesa ha rappresentato un prezioso strumento di attuazione formale della Costituzione e ha permesso loro di uscire da un cono d’ombra cui erano state relegate a causa della soverchiante centralità della chiesa cattolica romana.
Se penso nello specifico a noi avventisti non posso non constatare come la fruizione del riposo sabatico nelle scuole e nell’ambito lavorativo, pur con persistenti criticità, e il pieno e automatico riconoscimento dei ministri di culto hanno permesso alla nostra chiesa di svolgere la propria missione di annuncio del vangelo con pienezza di prerogative.

L. F.: Nel 2009 è intervenuta una modifica che riguarda l’Istituto avventista, di cui sei attualmente il direttore. Ce ne puoi parlare? 
D. R.: La modifica ha riguardato il riconoscimento giuridico dei titoli di laurea rilasciati dall’Istituto avventista di Firenze per il tramite della sua Facoltà di teologia. Si è trattato di un passaggio importante che ha finalmente reso giustizia alla caratura accademica degli studi condotti presso la Facoltà “Villa Aurora”.
Oggi siamo alle prese con ulteriori integrazioni di quel riconoscimento relativamente ai titoli di dottorato, che speriamo possano giungere a compimento.

L. F.: Da oltre tre decenni, noi avventisti godiamo di questa legge. Cosa ne è delle altre confessioni? Possiamo fare qualcosa? 
D. R.: La chiesa avventista ha, come dire, nel suo Dna, la vocazione a difendere la libertà religiosa e di culto di tutte le fedi. Chi rivendica diritti solo per sé, nuoce alla causa dei diritti umani. Siamo dunque già impegnati a far sì che altre chiese e altre religioni ottengano ciò che la nostra Costituzione garantisce loro agli artt. 3, 8, 19 e 20.

Nel frattempo, occorre riconoscere che il quadro religioso, sociale e politico è oggi profondamente mutato. Il meccanismo delle intese, che rappresentava nel 1946 (quando si discuteva della Costituzione) una declinazione miniaturizzata del modello pattizio tra Stato e chiesa cattolica ribadito all’art. 7, mal si concilia con l’estrema pluralità del fenomeno religioso nel nostro Paese, per un verso, e con la crisi dei grandi partiti politici ideologicamente radicati, per un altro verso.

Urge, ormai da molti anni, una legge quadro che salvi le intese e ne specifichi meglio l’iter, ma che garantisca, nel contempo, un livello accettabile di certezza giuridica a tutte le confessioni religiose (o non religiose) anche senza intesa. Questo traguardo è parso vicino negli anni ’90 e soprattutto nel primo decennio del nuovo secolo, ed è sempre sfumato per un soffio. Oggi sembra, per molti motivi, allontanarsi. Ma non possiamo permetterci riluttanze e cedimenti senza che la fede e le coscienze di milioni di persone vengano violate. Occorrerà dunque nuova passione e nuovo slancio per essere presenti nello spazio pubblico e nell’agone politico con una propria proposta di libertà e un profilo riconoscibile.

Condividi

Articoli recenti