Se mai esiste una nota di grazia nella storia, è questa!

David Neal – “Nella storia del mondo è stato compiuto un solo atto di amore puro, non macchiato da secondi fini: il dono di sé di Dio in Cristo sulla croce per i peccatori immeritevoli. Ecco perché, se cerchiamo una definizione di amore, non dobbiamo guardare in un dizionario, ma al Calvario".[1]

"Gesù!" esclamarono E in quel momento egli scomparve dalla loro vista. Dopo aver consumato a metà il loro pasto, i discepoli si ritrovarono di nuovo in stato di shock, alle prese con questo sorprendente capovolgimento degli eventi, sopraffatti, in uno stato di gioia quasi estatica.

In quella stanza buia e scura, li immagino alzarsi dalla tavola, guardarsi l’un l’altro sconcertati, controllarsi a vicenda per confermare i loro pensieri. “Avete visto quello che ho visto io? Lo sconosciuto? Era Gesù! Lo sapevo, lo sapevo!” esclamò Cleopa.
“Ed essi dissero l’uno all’altro: ‘Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?’” (Luca 24:32).

Cosa succede quando una persona è in cammino e diventa sempre più consapevole che Gesù non è solo una figura interessante nella storia? Cosa succede quando la storia di questa Persona pienamente Dio e pienamente uomo – la sua vita, i suoi insegnamenti e la sua capacità di vincere la morte, l’evento che la maggior parte di noi teme di più – ha un impatto sulla nostra esistenza a livello intellettuale ed emotivo? Cosa succede quando la luce si accende? Cos’è quel fuoco?

"Sentii il cuore stranamente riscaldarsi"  
Il 24 maggio 1738, John Wesley raccontò la storia del suo cammino. “La sera mi recai molto mal volentieri presso un’associazione in Aldersgate Street (Londra), dove si leggeva la prefazione di Lutero alla Lettera ai Romani. Verso le nove meno un quarto, mentre si descriveva il cambiamento che Dio opera nella persona mediante la fede in Cristo, sentii il mio cuore stranamente riscaldarsi. Sentii di confidare in Cristo, solo in lui, per la mia salvezza; e mi fu data la certezza che Cristo mi aveva tolto i peccati, i miei, e mi aveva salvato dalla legge del peccato e della morte”.[2] 
John Wesley, il fondatore del movimento metodista, visse l’esperienza del "cuore caldo” in quella che oggi è denominata la "Cappella di Wesley", ad Aldersgate, a Londra. 

Lasciamo Wesley ora, perché Luca continua a narrare la sua storia. Per essere sicuro di non perdere l’attenzione del lettore nemmeno per un secondo, racconta il senso di urgenza dei discepoli: “E, alzatisi in quello stesso momento, tornarono a Gerusalemme” (Luca 24:33 pp.). 
Entusiasti per una notizia straordinariamente bella, la migliore in assoluto, passarono alla modalità “dobbiamo tornare a Gerusalemme e dirlo agli altri”. Non potevano aspettare fino al mattino per fare il viaggio di ritorno di sette miglia. E anche se avessero pernottato a Emmaus, avrebbero potuto dormire sapendo ciò che sapevano? Partirono.subito “e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro” (v. 33 up.).

È risorto, ma cosa significa? 
Se pensate che il vangelo abbia già raggiunto la sua luce massima in questo racconto, dovrei rispondere con un “sì, ma”, perché le parole “È risorto” sono la risposta a ogni domanda; ma ciò che Luca non ha ancora condiviso è il significato di questa affermazione.

Leggendo i commenti su Luca e su come scrive, alcuni autori affermano che ha un obiettivo teologico. E se fosse così? È il più bello della storia dell’universo! Il punto di vista più spassionato è quello di Donald Guthrie, che nella sua Introduzione al Nuovo Testamento sottolinea: "Nessuno negherebbe che lo scopo di Luca sia teologico", ma "è più vero dire che Luca fa emergere il significato teologico della storia".[3]

A differenza della Lettera di Paolo ai Romani, Luca non redige un trattato di teologia. Racconta una storia, e nella riga successiva di questa vicenda troviamo un’altra svolta inaspettata che dimostra il significato della risurrezione, e la teologia del vangelo che risplende come non mai. “Il Signore è veramente risorto” (Lu 24:34 pp), è una frase di per sé grandiosa, ma ancora incompleta. Per quanto queste parole siano emozionanti, rimane ancora l’elemento “e allora?”. Qual è il problema? Che differenza fa?

La nota di grazia nella storia 
“Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone” (Lu 24:34).
Avete letto quello che ho appena letto anche io? “…ed è apparso a Simone”? Simone il fifone? Ma davvero? Il tizio volgare che rinnegò Gesù? Perché Luca osa menzionare il pescatore della Galilea, sicuro di sé e schietto, che non ebbe il coraggio delle sue convinzioni? “Tutta bocca e niente azione”, direbbe qualcuno: una scusa sufficiente, se ce ne fosse bisogno, per cancellarlo dalla storia. Lasciamo che si perda nel racconto come discepolo fallito!

“Ma andate a dire… a Pietro” 
Tra i discepoli riuniti in quella camera a Gerusalemme, qualcuno avrebbe avuto motivo di chiedersi se Simone sarebbe stato il prossimo Giuda? Mentre il Vangelo di Marco riporta la storia della risurrezione (Mc 16:1-8), Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e Salome incontrano il “giovane” seduto nel sepolcro. Egli dice loro: “Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato; non è qui” (v. 6). E sorprendentemente anche in questo caso, Pietro viene menzionato in modo speciale: “Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea” (v. 7). Se mai vi è stata una nota di grazia nella storia, è questa!

E qual è il significato del vangelo? 
Luca e Marco avevano tutte le buone ragioni per cancellare Pietro dalla storia. Che imbarazzo! Ma non potevano, perché “il forestiero” che camminava sulla strada di Emmaus, che spiegava la storia della crocifissione dalla “legge e dalla testimonianza”, andò sulla croce per Pietro! E il senso del vangelo è: “Fate in modo che Pietro lo sappia!”,

Questa è la storia. Non ci sono più colpi di scena nel racconto di Luca. Nella complessità, nella confusione e disperazione del momento, Luca offre la speranza che cerchiamo. Certo, la speranza si trova nella Parola di Dio ma, lungi dall’essere parole aride e antiche, anche se sempre vere, è una storia di redenzione.

A chi di noi non è capitato di avere dei momenti da “Simone il fifone”? Chi di noi, nei periodi di crisi profonda e inaspettata, non ha faticato a prendere a cuore le frequenti parole “non temere” della Scrittura?[4] Vi è qualcuno che è confuso e dubbioso mentre cerca di affrontare e risolvere i complessi problemi della vita? Eppure, è proprio grazie alla risurrezione e al suo significato, e alla scelta di Pietro, che abbiamo la possibilità di trasformare questioni difficili, complesse e inquietanti in una calma profonda.

Per me sono riassunte al meglio in quattro parole del verso di un inno conosciuto: “Riscattati, guariti, risanati, perdonati”.[5]

Tre urrà per Dio, il fuoco dentro di noi brucia ancora!

(David Neal è direttore del Dipartimento Comunicazioni presso la Regione transeuropea della Chiesa avventista)

Note 
[1] John Stott, The Cross of Christ (La croce di Cristo), p. 212.  
[2] The Journal of the Reverend John Wesley (Il diario del reverendo John Wesley), vol. 1, p. 102. 
[3]. Donald Guthrie, “Luke’s Gospel”, New Testament Introduction, p. 94. 
[4] https://www.soulshepherding.org/fear-not-365-days-a-year/ 
[5] Terzo verso dell’inno di Henry F. Lyte (1793-1847), "Praise, My Soul, the King of Heaven".

[Fonte: tedNews. Traduzione: L. Ferrara]

 

 

 

 

 

 

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