Michele Abiusi – L’evangelista Luca dedica diversi brani alla riflessione sull’importanza e sul significato della preghiera, prima della breve parabola oggetto delle nostre riflessioni.

“Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: ‘O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo’. Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me, peccatore!’ Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato” (Luca 18:8-14).

Nei versetti precedenti (1-8) dello stesso capitolo, viene affermata l’importanza della preghiera continua. Nel testo successivo, riportato sopra, si affronta il tema di come pregare. In questo racconto vi è una precisa idea di Dio, perché il modo di pregare rivela qualcosa della persona e del suo rapporto con Dio.

Destinatari ben definiti 
La parabola che Gesù presenta è rivolta a destinatari ben definiti: “Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri” (v 9). Essi spingono il Maestro ad elaborare riflessioni specifiche, su misura. Mi piace l’idea che Dio si occupi anche dei dettagli, che racconti una parabola per farci capire qualcosa che non vuole entrarci in testa! Ci sono alcuni che si sentono giusti di fronte a Dio e disprezzano gli altri. L’etimologia del termine disprezzare è de-prezzare, sminuire il valore.  Costoro si sentono, poi, giudici spietati degli altri. A loro è destinata la parabola.

Uguali davanti a Dio 
Gesù non inizia mettendo in risalto la differenza tra un fariseo e un pubblicano. Li considera uomini che salgono al tempio… Nessuna differenza! Sono solo uomini che desiderano incontrare Dio, che desiderano pregare. Di fronte a Dio non vi sono selezioni da dover superare. Il fariseo è un presuntuoso, il pubblicano è già un pubblico peccatore. Per Dio sono solo due uomini che vogliono incontrarlo. I farisei erano i puri, i separati, e volevano praticare la legge in ogni singolo dettaglio. Non erano come gli altri. Si impegnavano quotidianamente a vivere le innumerevoli prescrizioni. Erano quasi tutti di origine aristocratica, ricchi, conservatori. Il loro zelo e la loro fama costrinse il Sinedrio ad accogliere alcuni di loro come membri.

Il fariseo 
“O Dio, ti ringrazio” (v. 11). L’inizio della preghiera è buono, ma poi si perde per strada perché non è il ringraziamento l’origine dei sentimenti del fariseo. Non ringrazia Dio; è Dio che deve ringraziare lui! Non gli domanda assolutamente nulla, elenca le sue virtù perché sa di essere giusto. Si confronta con tutti e dice: “Non sono come gli altri”. Ed è vero, è un super-devoto!

Eppure, Gesù chiederà di superare la giustizia personale per entrare nel suo regno: “Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli” (Matteo 5:20).

Il problema del fariseo potrebbe essere anche il nostro: si finisce per diventare i professionisti del sacro. Il fariseo della parabola si confronta con il pubblicano rimasto a distanza; forse lo vede con la coda dell’occhio, sa che è un peccatore e allora elenca le sue pratiche devozionali: 
– digiuna tutti i lunedì e giovedì (in ricordo della salita e della discesa di Mosè al Sinai); 
– paga la decima (non restituisce).

In fondo il fariseo non ha bisogno di Dio, è bastante a se stesso.

Il pubblicano 
“Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me, peccatore!’" (v. 13). 
Il contrasto arriva come un pugno nello stomaco. Si passa dal “migliore” al “peggiore”! Un ebreo che riscuoteva le tasse dai suoi “fratelli” per conto dei Romani. Tre volte odiato e tre volte peccatore. E lo sa bene, il pubblicano! La sua preghiera è in quella frase appena sussurrata: Oh Dio, sii placato verso me peccatore. Chiede solo pietà.

Giustizia divina 
Entrambi i protagonisti della parabola dicono il vero di sé. Lo sbaglio del fariseo risiede nella fiducia che pone sulla propria giustizia. Gesù sentenzia su chi torna a casa giustificato. Spiazza tutti coloro che lo ascoltano, crea scompiglio fra tutti coloro che credevano i farisei i primi della classe.

L’imperdonabile, lui, il pubblicano, torna a casa perdonato. Gesù non loda la sua vita da pubblicano, così come non disprezza le opere del fariseo, ma vede l’umiltà del peccatore, la sua dolorosa consapevolezza del limite, che è l’unico modo di porci davanti al Signore. Il pubblicano torna a casa con il cuore colmo di Dio, ma torna anche al suo lavoro. Dio è paziente e aspetta il cambiamento di comportamento. Il fariseo torna a casa con il cuore colmo di sé. Entrambi sono chiusi all’Altissimo, solo che il pubblicano ne è consapevole, e questo basta.

E noi… 
Anche noi spesso pensiamo di essere, se non proprio i migliori, nemmeno peggiori di tante persone che vivono intorno a noi. Abbiamo dei limiti che teniamo nascosti agli altri per paura. Siamo consapevoli di avere delle virtù.

Questa parabola ci invita all’umiltà e alla consapevolezza dei propri limiti. Il peccato ci aiuta ad essere centrati sul nostro Signore, per lasciare che la sua grazia riempia il nostro cuore. Siamo chiamati ad avvicinarci a Dio, consapevoli del nostro limite e del nostro peccato, non dei nostri meriti.

 

 

 

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