Comprendere l’attualità della parabola del buon Samaritano dimostra che l’altruismo non conosce confini e pregiudizi. Farsi prossimo, in modo disinteressato, è la via dell’amore di Cristo.

Marius Mitrache – “Gesù rispose: ‘Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno’” (Luca 10:30-35).

Quando il Ku Klux Klan (Kkk) organizzò nel 1996 una manifestazione ad Ann Arbor, nel Michigan (Usa), sua città di origine, la ragazza di colore Keshia Thomas era soltanto un’adolescente di 18 anni. Questo non le impedì di andare a protestare contro la dimostrazione del Kkk insieme ad altre centinaia di persone.

In quell’atmosfera molto tesa, a tal punto che la polizia schierò degli agenti per proteggere il gruppo del Kkk, la presenza di una persona che aveva un tatuaggio delle SS e indossava una maglietta con la bandiera confederata (o croce di Sant’Andrea, simbolo dell’eredità sudista, della schiavitù e della segregazione) attirò l’attenzione dei manifestanti contrari al Kkk. La furia della gente si scatenò quando una donna urlò al megafono: “C’è un membro del Ku Klux Klan tra la folla!”. Questi iniziò a correre, ma il gruppo di manifestanti lo raggiunse. Tra loro c’era Keshia che correva “solo per inseguirlo”. Quando vide l’uomo a terra, colpito dai pugni e dai cartelli, si gettò su di lui, impedendo ai manifestanti di colpirlo ancora. “Quando l’hanno fatto cadere a terra, ho sentito come se due angeli mi avessero sollevato e mi avessero fatto sdraiare”, racconto Keisha qualche anno dopo alla Bbc.

Mark Brunner, un fotografo che all’epoca era uno studente, immortalò l’intera scena. “Si è messa in pericolo per proteggere qualcuno che, a mio parere, non avrebbe fatto lo stesso per lei”, disse Brunner, “Chi fa una cosa del genere nel nostro mondo?”.

La giovane non ricevette alcun cenno dall’uomo che aveva salvato, ma dice di aver incontrato una persona della sua famiglia. Si trovava in un caffè, ricorda, quando un giovane le avvicinò per dirle soltanto “grazie”. Quando lei gli chiese il motivo, lui le rispose che l’uomo che aveva salvato era suo padre. Keshia capì, allora, che le conseguenze del suo gesto potevano essere ancora più grandi rispetto a quanto apparissero inizialmente. “Nella maggior parte dei casi, le persone che fanno del male… provengono dal male. È un ciclo. Supponiamo che l’avessero ucciso o ferito gravemente. Come si sarebbe sentito il figlio? Avrebbe perpetrato la violenza?”.

Il biglietto per la vita eterna
Quando un maestro della legge pose a Gesù la domanda: “che devo fare per ereditare la vita eterna?” (Luca 10:25). Gesù gli rispose con un altro interrogativo: “Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?” (v. 26). La risposta del maestro della legge è sorprendente, considerando che era abituato alla moltitudine di norme e regolamenti della legge ebraica: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso” (v. 27). Gesù gli disse: “Hai risposto correttamente. Fai questo e vivrai” (v. 28).
Sembra che il maestro della legge si aspettasse una risposta così. Tuttavia, egli era più interessato alla risposta alla domanda che sarebbe arrivata in seguito:

E chi è il mio prossimo? 
La domanda “Chi è il mio prossimo?” era appropriata perché i farisei avevano escluso da questa categoria coloro che non appartenevano alla loro casta e quanti non erano rispettosi o attenti alle leggi sulla purificazione. Gli esseni (appartenenti a una comunità religiosa della zona del Mar Morto) si consideravano figli della luce rispetto agli altri che erano figli delle tenebre, e meritevoli di essere disprezzati. Alla fine, i Giudei esclusero tutti, soprattutto i Samaritani. A Gesù non è stata richiesta una definizione del termine “prossimo”,[1] ma un’indicazione su come tracciare i contorni dell’impegno di amare in seno alla comunità. Fino a dove si estende la mia responsabilità? Questo era il vero significato della domanda.[2]

È difficile immaginare la sorpresa e lo shock del maestro della legge quando apprese che l’eroe della parabola raccontata da Gesù era un disgraziato samaritano. Perché Gesù aveva scelto proprio lui nel ruolo di chi aveva rischiato la vita per curare le ferite del viaggiatore ebreo?

Quanto è vicino il mio “prossimo”? 
L’impatto di questo evento può essere erroneamente sminuito da una sottovalutazione dell’ostilità che correva tra Giudei e Samaritani. Nutrivano un profondo disprezzo reciproco. Gli avversari di Gesù lo calunniavano dicendo: “Non diciamo noi con ragione che sei un samaritano e che hai un demonio?” (Giovanni 8:48). I Giudei evitavano la Samaria, accettando la scomodità della deviazione che li costringeva ad attraversare il Giordano per due volte: prima per passare in Galilea e poi per tornare in Giudea.

I Giudei maledicevano pubblicamente i Samaritani nelle sinagoghe e pregavano perché non avessero la vita eterna. Non avrebbero accettato, inoltre, alcun servizio da un samaritano, né avrebbero dato loro credito come testimoni in tribunale.

Gesù sconvolse il suo pubblico attribuendo al samaritano il ruolo di eroe. Oggi, la forza della parabola rischia di essere facilmente persa perché il lettore moderno associa già per consuetudine l’immagine del samaritano a una persona gentile, misericordiosa ed empatica, che si prende cura degli altri. L’autore cristiano A. C. Forrest ha scritto che un pastore americano in Medio Oriente gli ha confidato di temere di predicare questa parabola proprio lì. “Era troppo attuale. Potrebbe essere troppo attuale anche in Sudafrica, in Irlanda del Nord e in molte altre parti del nostro mondo moderno”.[3]

La sorpresa di Gesù e il cambiamento di prospettiva 
La schiacciante ostilità tra Giudei e Samaritani collega inevitabilmente la domanda “Chi è il mio prossimo?” a un’altra più acuta: “Perché l’eroe della parabola è un samaritano?”. Facendo di lui un protagonista eroico, Gesù scuote tutti i parametri che definivano il “prossimo” nella cultura ebraica. Inserendo un samaritano nella parabola, Gesù non solo afferma che nessuno deve essere escluso dalla categoria del “prossimo”, nemmeno i nemici, ma sposta anche l’accento da colui che ha bisogno di aiuto a colui che lo offre. L’attenzione di tutto l’uditorio si sposta dalla vittima al samaritano. In questo modo, Gesù dimostra che, nell’impegno ad adempiere il comandamento di amare il prossimo, il “prossimo” non è colui che riceve aiuto, ma chi lo dona.

Quando Gesù chiese “Quale di questi tre pensi che sia il prossimo dell’uomo che è caduto nelle mani dei briganti?”, desiderava far capire al maestro della legge che non deve perdere tempo a stabilire le caratteristiche che qualificano oppure no chi va amato. La domanda fondamentale non è “Chi devo amare?” o “Chi è il mio prossimo?”, bensì “Cosa significa per me amare? Cosa vuol dire per me essere il prossimo di qualcuno?”. Il “prossimo”, secondo la concezione di Dio, non pone confini alla sua definizione. Cercare di delimitare il significato del concetto di “prossimo”, avvicinandosi a esso come a un oggetto, porta a indebolire il significato dell’amore. La domanda del maestro della legge dimostra che egli non ha compreso il comandamento né il senso dell’amore; quindi, non ha capito il significato di “prossimo”.

Il “Samaritano” stupisce anche oggi 
Nel gennaio 2011, un musulmano estremista si è fatto esplodere in una chiesa cristiana copta di Alessandria d’Egitto. L’esplosione ha ucciso 23 cristiani che si trovavano lì semplicemente per il culto. Un mese dopo, nel caos delle proteste di piazza Tahrir a il Cairo, i cristiani hanno offerto una toccante dimostrazione di solidarietà. In piedi, con le spalle rivolte a un gruppo di credenti islamici inginocchiati in preghiera, i cristiani hanno unito le mani formando un cerchio di protezione intorno agli islamici. Secondo la stampa, si trattava di cristiani protestanti. Un fatto rilevante, tanto che il loro gesto è stato ripetuto anche dai musulmani che si sono riuniti a guardia di altre chiese cristiane, mentre i fedeli pregavano all’interno.

In un mondo in cui l’odio è la forza dominante – in cui si erigono barriere ovunque, in cui il significato di prossimo è stato ristretto a chi condivide la mia razza, i miei amici, il nostro gruppo etnico – l’immagine dei cristiani che difendono i musulmani rafforza il messaggio che Gesù ha cercato di consegnarci con la parabola del buon Samaritano.

È proprio in questo momento critico che la parabola è attuale, e quanti ne comprendono il vero messaggio sentono di avere il dovere morale di mostrare al mondo che l’amore non conosce confini o limiti. Con le loro azioni disinteressate, queste persone provano non solo che la strada per il cielo è vicina, ma anche che il cielo è, a ogni passo, sempre più prossimo.

Note 
[1] Joachim Jeremias, Le parabole di Gesù, (Bucarest: Anastasia, 2000, p. 242.
[2] Ivi, p. 243.
[3] A. C. Forrest, Le parabole di Gesù (Belfast, Dublin, Ottawa: Christian Journals Ltd., 1079), p. 111.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio] 

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