Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Francesco Zenzale – Dal lontano VI secolo a.C., periodo in cui è stata divulgata questa promessa, sono trascorsi secoli di storia, dove uomini e donne si sono addormentati senza avere la gioia di presenziare il regno di Dio (Eb 11:32-40). E noi che forse stiamo vivendo l’ultimo periodo di questa drammatica storia umana, ci chiediamo: quanto tempo dobbiamo ancora aspettare? Non lo so! Sicuramente molti di noi si addormenteranno con questo dolce sussurro divino “Scrivi: Beati d’ora in poi, i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14:13).

Ci riposeremo dalle opere della nostra fede, dalle fatiche del nostro amore e dalla costanza della nostra speranza nel Signore Gesù Cristo (1 Tess. 1:3). Poi le tombe s’apriranno e i santi risusciteranno (Mt 27:52; Gv 5:28). Nel frattempo, cerchiamo di attualizzare nel quotidiano questa preziosa e beata speranza del regno di Dio. Infatti, il regno dei cieli è vicino (Mt 3:2; 4:17), “in mezzo a noi, dentro di noi” (Lc. 17:17). Accettando Gesù Cristo, come nostro redentore, abbiamo la gioia di viverlo limitatamente nell’attesa del suo adempimento e raccontando agli altri quanto sia determinante nella nostra vita, nonostante la fragilità e le variegate vicissitudini (Lc 9:2; At 8:12; 19:8).

Il fatto che il regno dei cieli vive in noi non dovrebbe indurci a credere che sia il prolungamento della vita presente. Questo potrebbe anche essere l’inferno o il purgatorio. Il regno di Dio è vita di diversa natura, è vita divina e non umana, è perfetta e non terrena (1 Cor 15:50-58; Ap 21:1-6; Is 65:17-19). Saremo trasformati a immagine di Dio e lo vedremo com’egli è (1 Gv 3:2; 2 Cor 4:17; Col. 3:4; Fl 3:20, 21).

Nel giorno in cui abiteremo nel suo regno, avremo spazi infiniti di conoscenza, dove le più nobili aspirazioni saranno soddisfatte, le più sublimi ambizioni realizzate e ci saranno nuove verità da approfondire. Finalmente, il tempo dell’ingiustizia, della malvagità, del dolore e della morte sarà finito (Ap 21:8)!

L’aurora del regno di Dio è dentro di noi e in mezzo a noi, perché è simile a un tesoro nascosto nel cuore di ciascun essere umano. Simile al lievito capace di fermentare i nostri cuori, rendendoli conformi a Gesù Cristo. Il regno dei cieli nel suo compimento ci attende, infatti Gesù è andato a prepararci un luogo di pace, serenità e indicibile bellezza (Gv 14:1-3).

Sono un credente che cerca di vivere un giorno alla volta, perché il domani non mi appartiene. Sono come il fumo che si dissolve nell’aria. C’è però una cosa che desidero approfondire: la strada del regno dei cieli, affinché quel regno diventi esperienza di vita, nell’attesa di esserci pienamente.

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Regni contrapposti

Francesco Zenzale – “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Dn 7:13-14).

La profezia di Daniele 7 è come un serial killer, dove il male sembra che trionfi sul bene, l’iniquità sulla giustizia e le tenebre sulla luce. La prima parte della visione presenta 4 regni con tratti animaleschi, che evidenziano la loro natura orientata al male, in un crescendo continuo. La quarta bestia, per la sua mostruosa configurazione, dà l’idea che la malvagità sia indescrivibile. Ma ecco che quando questa natura, così violenta e immorale, sta per essere frantumata dalle dieci corna (dieci re), sorge un corno perverso che incarna tutta la sua brutalità, assumendo peculiarità divine. Un corno, con degli occhi e una bocca, la cui egemonia si protrae fino alla venuta del figlio dell’uomo. La sua incredibile violenza determina nel profeta un forte senso di disorientamento. “Quanto a me, Daniele, fui molto spaventato dai miei pensieri e il mio volto cambiò colore” (Dn 7:28).

Un potere diverso dai precedenti regni e con un predominio extra territoriale che potrebbe indurci a credere che il regno di Dio sia una realtà presente. Infatti, appare sul palcoscenico storico come un’organizzazione religiosa che avrebbe attraversato la storia senza limiti di tempo. Gli altri regni, (Babilonia, Medo Persia, Grecia, Roma) con le medesime aspirazioni, oramai erano stati assegnati agli annali della storia. Agisce nel nome di Dio, modificando la legge ed eliminando i presunti nemici di Dio. A motivo delle sue persuasive parole e del suo percorso storico, è oggetto di culto da quasi tutti gli abitanti della terra (Dn 7:25; 2 Tess 2:3-4; Ap 13: 3-4).

Ma il suo è un “regno” politico-religioso che nasce dal basso, sostenuto dall’azione efficace di Satana (2 Tess 2: 6-10). E per quanto possa fregiarsi del nome di Cristo, non ha nulla a che fare con il Vangelo eterno (Ap 14:6) che procede dall’alto. Pertanto il suo dominio avrà fine: «poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre» (Dn 7:26).

In antitesi a questo secolare “regno”, dove l’uomo alla sua morte dispone, all’istante, di nuove incorporee dimensioni, Gesù Cristo, alla presenza di Dio e degli angeli, inaugurerà il suo regno eterno. “Egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto. … Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Dn 7: 13-14, 27).

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Il figlio dell’uomo

Francesco Zenzale – “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui” (Dn 7:13).

L’espressione semitica “figlio dell’uomo” (in ebraico ben ādām, ‘enōsh ādām; in greco Uiòs toû anthrόpou) equivalente a “essere umano, uomo”, include tre elementi teologici pertinenti la persona di Gesù. Il primo evidenzia la sua umanità, il suo percorso di vita fra gli uomini. Essa è molto comune negli annunci della passione e della risurrezione (cfr. Mt 8:20; Mc 8:31; 9:31; 10:33; Mt 12:40; 17:9; 20:18, 28, ecc.).

L’autore della Lettera agli Ebrei evidenza che avevamo bisogno di un “uomo” che fosse “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1:15) e che, mediante il dono della sua vita, ponesse fine al dramma del peccato (cfr. Eb 2:14-18; 4:15-16; 2:9; 9:15).

Il secondo insegnamento, rivela l’aspetto escatologico di Gesù (cfr. Dn 7:13-18). Il figlio dell’uomo verrà in gloria (cfr. Mt 10:23; 13:41; 16:27; Gv 5:27; Mt 24:30-39), sederà sul trono (cfr. Mt 19:28), alla destra di Dio (cfr. Mt 26: 64; Eb 8:1), e verrà nella gloria del Padre e nel suo regno (cfr. Mt 16:27-28).

Il terzo elemento riguarda la sua natura divina (cfr. Mt 12.8; Gv 3:13). “Il Figlio dell’uomo ha sulla terra autorità di perdonare i peccati” (Mt 9:6).

In breve, l’espressione “figlio dell’uomo” riassume in sé caratteristiche messianico-escatologiche quali: giudice escatologico, poteri divini e missione di salvezza (cfr. Mc 10:45; Mt 12:32). In altre parole Gesù, quale figlio dell’uomo, non è venuto su questa terra come delegato del cielo a preparare l’intervento soteriologico di Dio, ma come artefice e realizzatore. “Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1:30-31).

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Daniele in breve. Chiarezza storica ed evangelica nel giorno del giudizio

Bibbia scorcioFrancesco Zenzale – “Io continuai a guardare e vidi collocare dei troni, e un vegliardo sedersi. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano simili a lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono, che aveva ruote di fuoco ardente. Un fiume di fuoco scaturiva e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, diecimila miriadi gli stavano davanti. Si tenne il giudizio e i libri furono aperti. Io guardavo ancora, a motivo delle parole arroganti che il corno pronunciava; guardai fino a quando la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso” (Dn 7:9-11).

Daniele ci offre la certezza che l’arrogante piccolo corno che fluisce dalla quarta bestia incarnandone tutta la sua mostruosità, che avrebbe contraddistinto la storia con la sua attività geo-politica-religiosa, tale da manomettere la legge di Dio e perseguitare i santi, sarà giudicato, “distrutto e gettato nel fuoco per essere arso” (7:11, 25-26).

Questa è una rassicurante notizia. Il piccolo corno che per secoli ha rivestito la sua inimicizia nei confronti di Dio con un’attraente religiosità, fuorviando milioni di uomini e donne, finalmente è smascherato. Tutti avranno modo di capire quanto l’apparenza inganni. Anche gli angeli! Il trionfo della verità storica ed evangelica è assicurato.

Ci sono delle verità storiche ed evangeliche che solo la profezia biblica è in grado di evidenziare e prevedere. I pochi in grado di afferrarle devono riconoscere che la piena comprensione appartiene a Dio. I molti, a causa di un contesto religioso contaminato dal peccato e dall’umana fragilità caratterizzata dalle interazioni socio-educative-religiose che hanno contraddistinto l’esistenza, non riescono a distinguere l’inganno che si annida nella devozione propinata dal piccolo corno.

La religione è sempre stata un ottimo contenitore per camuffare l’errore, l’ipocrisia e il peccato. In tal senso l’inosservanza evangelica continua a essere percepita come verità. Questo vangelo che viene dal basso, travestito con solenni e ripetitivi riti cultuali, non lo si può confutare, perché riposa sulla convinzione che il falso sia vero.

Al contrario, la buona notizia della salvezza, che viene dal cielo (Ap 14:6), è semplice e non ha bisogno di liturgie e di celebrazioni, ma di essere vissuta nel quotidiano. Agli esseri umani, però, dispiace che la verità sia semplice, perché contraddice la loro natura. Il peccato invece no, e questo per una ragione semplicissima: la verità, Gesù Cristo (Gv 14:6), esige che riconosciamo la nostra pochezza. Il peccato illude, facendoci credere di avere illimitate capacità (Gn 3:1-7); al contrario, la verità ridimensiona le nostre pretese.

Verrà il giorno in cui la luce del Vangelo risplenderà negli uomini di buona volontà e dal cuore puro che all’apparenza sembra contaminato da un cristianesimo a misura d’uomo. “Il popolo che stava nelle tenebre ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell’ombra della morte una luce si è levata” (Mt 4:16).

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. I libri furono aperti

bible-bibbiaFrancesco Zenzale – “Poiché non c’è nulla di nascosto che non debba manifestarsi, né di segreto che non debba essere conosciuto e venire alla luce” (Lc 8:17).

Ci sono aspetti della nostra vita che conosciamo noi e Dio, e che gli altri non conoscono. Ci sono altresì delle cose che noi ignoriamo e che Dio e gli altri conoscono. Ci sono poi aspetti di reciproca conoscenza. Ci sono anche emozioni che abbiamo rimosso dalla nostra coscienza (colpe, rabbia, frustrazioni, ecc.), ma che Dio conosce. Infine, ci sono cose della nostra vita disattese da noi e dagli altri, che conosce solo Dio. Per esempio le interazioni familiari della nostra infanzia.

“Si tenne il giudizio e i libri furono aperti” (Dn 7: 9,10). Indubbiamente, l’espressione non va presa in senso letterale, ma figurato. Il significato sta nel loro contenuto. D’altra parte Dio non è uno smemorato che ha bisogno di scrivere su carta ogni azione della nostra vita. È onnisciente, oltre a essere onnipresente e onnipotente.

La “memoria” di Dio è divina e infinita. In essa è impressa il nostro vissuto, sia quello esteriore, caratterizzato dai fatti, sia quello interiore, dove si annidano le nostre ombre, come anche i nostri pensieri più reconditi, quelli inconfessati che in qualche modo contraddicono il fare e il dire (Sl 19:12).

Ecco perché dovremmo valutare con serietà il giudizio e considerare con sagacia l’offerta della salvezza in Gesù Cristo. Non si tratta di un gioco in cui si può vincere o perdere. Noi siamo già perduti per l’eternità a causa del peccato (Rm 5:12), ma di cogliere il dono della vita eterna (Rm 6:23), prima di tornare ad essere polvere (Gn 3:19).

In Apocalisse troviamo una sorprendente beatitudine. La morte non è vissuta come fine ultimo dell’esistenza, ma come una liberazione dalla sofferenza, dalle angosce e dalla stessa paura di morire, nella prospettiva della risurrezione, rappresentata dalla mietitura (Ap 14: 14-20). «Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essi si riposano dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono» (Ap 14:13).

Nel giorno in cui ci addormenteremo come saranno le nostre opere? Il nostro stile di vita sarà stato tale da indurre il Signore a pronunciare le seguenti parole:  «Tu, va’ pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni» (Dn 12:13). Nel giorno in cui Gesù ritornerà,  il nostro nome sarà scritto nel libro della vita e delle memorie (Ap 3:5; Mal 3: 16)?

 

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Mille migliaia lo servivano

bibbia-e-luceFrancesco Zenzale – “Un fiume di fuoco scaturiva e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, diecimila miriadi gli stavano davanti” (Dn 7:10).

Alzare lo sguardo al cielo e immaginare gli angeli che si muovono alla presenza di Dio, è come respirare un po’ d’eternità. Quanto vorrei onorare Dio come gli angeli! Ma non ci riesco se non irregolarmente. Sono fragile! Nondimeno non c’è giorno in cui nella mia “cameretta” lungo il lago di Pusiano, al canto degli uccelli, il mio cuore s’eleva al Signore con canti di lode e preghiere. Parlo, dialogo, chiedo e ringrazio, ma quando respiro un po’ di cielo, come se fossi rapito alla sua presenza, sto in silenzio e ascolto il suo dolce bisbigliare. Musica celestiale per il mio cuore, che a volte si smarrisce a causa del male che pervade questo mondo e della mia debilitante salute.

Servire il Signore! Come? Daniele nel corso degli anni aveva imparato servirlo e a onorarlo anche nei momenti più difficili della sua vita. Non s’è lasciato contaminare da lusinghe, false dottrine o decreti di morte, ma spiritualmente vergine, seguendo “l’Agnello dovunque va” (Ap 14:4).

Un uomo nel quale Dio si compiacque a tal punto che l’angelo Gabriele si rivolge con questa espressione d’amore: “tu sei molto amato” (9:23; 10:11, 19). La stessa che Dio rivolse a Gesù nel giorno del suo battesimo: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3:17).

Forse, noi che siamo alla soglia dell’eternità siamo smarriti e confusi. Abbiamo smesso di vegliare, di leggere e ascoltare le parole profetiche e di mettere in pratica le cose che vi sono scritte (Ap 1:3). Tuttavia non disperiamo. Gesù bussa alla porta del nostro cuore, con il desiderio di cenare con noi (Ap 3:20).

Concludendo questa breve riflessione, il testo evidenzia che gli angeli sono davanti al Signore. Anche noi un giorno lo saremo. Paolo fa presente che ora vediamo il Signore e cogliamo la sua volontà come in “uno specchio in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto” (1 Cor 13:12; cfr. 3:18).

La realizzazione di questa promessa dipende solo dal modo in cui serviamo e onoriamo il Signore oggi e per il tempo che ci sta d’avanti. “Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita” (Ap 2:10).

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. E il vegliardo si assise

Bibbia2

Francesco Zenzale – “Io continuai a guardare e vidi collocare dei troni, e un vegliardo sedersi. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano simili a lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono, che aveva ruote di fuoco ardente. Un fiume di fuoco scaturiva e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, diecimila miriadi gli stavano davanti. Si tenne il giudizio e i libri furono aperti” (Dn 7-9-10).

Eccoci di fronte a un’immagine antropomorfica di Dio, che descrive la sua l’attitudine nei confronti dell’azione crudele della quarta bestia, in particolare dell’undicesimo corno e in generale verso il peccato in tutte le sue variegate forme, sia quelle concernenti Dio, il suo carattere e la sua volontà, sia quelle che hanno a che fare con i figli di Dio, che regolarmente sono braccati e vilipesi.

Dio odia il peccato e il male, è dunque naturale che siano annientati per sempre. Infatti, la bestia e il piccolo corno, che rappresentano l‘incarnazione del male, sono bruciati (v.11). Ovvero spazzati vita per l’eternità. Ma è ugualmente vero che Dio ama il peccatore. Pertanto, quest’ annuncio profetico del giudizio è rivolto all’umanità.

In primo luogo, riscontriamo un forte richiamo ai credenti a distanziarsi dal peccato con indignazione, senza però disinteressarsi del peccatore. Nel cuore del credente deve albergare il pensiero che Dio non si compiace della morte dell’empio (Ez 33:11) e pertanto è invitato ad amarlo (Mt 5:44). Lo scopo ultimo di quest’attitudine è la conversione di colui che perseguita.

In secondo luogo, si coglie un accorato appello al mondo, precisamente all’empio, affinché meditando sul suo esito finale, possa rinsavirei.

Infatti, in giudizio, secondo la Parola di Dio, è preceduto dalla proclamazione del Vangelo eterno, il quale implica un’importante insegnamento: “temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio” (Ap 14:6-7; cfr. Atti 17:30-31).

In breve, il Signore, nella sua lungimirante saggezza e onnipresenza, ci invita a non essere ostili a lui come lo è il potere rappresentato dal corno arrogante e presuntuoso. A non lasciarsi ingannare dalle sue suadenti parole tali da farci credere che sia ispirato da Dio o da lui inviato. La sua ostinatezza nei confronti del cielo è ben mascherata da un’attività polito-religiosa e liturgica senza precedenti. Infatti, sta scritto che l’uomo del peccato, o l’undicesimo corno, sorgerà dalla quarta bestia per la potenza di Satana, «con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi» (2 Tess 2:8-10).

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Il carattere delle quattro bestie e del piccolo corno

Bibbia in un annoFrancesco Zenzale – La Bibbia somiglia a una piccola biblioteca e contiene infiniti generi letterari, tra loro spesso mescolati anche all’interno di uno stesso libro. Quello profetico apocalittico, i cui insegnamenti soventi sono presentati mediante rappresentazioni figurate o simboli, è il genere che maggiormente inquieta il credente. Ciò è dovuto a quattro fondamentali motivi:

1. Il contrasto angosciante del dualismo, bene/male, Dio/satana, buoni/cattivi, fedeli/infedeli.
2. Il linguaggio volutamente oscuro, dove prevale il simbolo che può avere un significato specifico e a volte può indicare cose diverse, che il contesto comunque ci aiuta a comprendere.
3. I diversi simboli che possono anche indicare la stessa realtà.
4. Il contenuto escatologico della rivelazione divina, che non è sempre facile da comprendere.

Studiando la profezia di Daniele, ci chiediamo: “Perché il Signore ha voluto descrivere con rappresentazioni allegoriche le quattro fasi della storia dell’umanità, contraddistinte da quattro regni e da un periodo storico interminabile che fluisce nel giudizio? Avrebbe potuto raccontare gli eventi storici senza nasconderli dietro ‘travestimenti’ che hanno creato non poche e a volte bizzarre interpretazioni?”.

Kenneth A. Strandriassume, nel suo libro Interpreting the Book of Revelation (Naples, Florida, 1979, pp. 25, 26), elenca tre motivi:
a) Protezione. Lo scrittore voleva proteggere la comunità cui si rivolgeva. Presentando le verità in forma criptica, compresa solo dai membri della comunità, evitava che i persecutori potessero usare il suo scritto per trarre informazioni da utilizzare contro i membri della comunità stessa.
b) Illustrazione più efficace. Come dice il proverbio: “Un’immagine è più eloquente di mille parole”. Un grafico riesce a spiegare semplicemente dati complessi. Lo stesso vale per i simboli apocalittici, che spesso rappresentano verità molto complesse in modo molto semplice.
c) Uso tradizionale. Alcuni simboli erano usati semplicemente perché diventati parte del bagaglio culturale tradizionale della gente, veri e propri «usi idiomatici».

Un altro motivo che ritengo importante riguarda il carattere evidenziati dalle raffigurazioni di ogni regno o potere rappresentato. Ad esempio, in Daniele 7, il leone con le ali, equivalente alla testa d’oro della statua del capitolo 2 (vv. 37-38), evidenzia la maestosità e la nobiltà del regno di Nabucodonosor, che fluisce nella sua conversione, prima che il suo regno sia spazzato via.

L’orso con le tre costole in bocca, che corrisponde all’argento della nostra statua (2:39; cfr. 5: 29-31; Is 13: 17) rileva la voracità del regno medo-persiano.

Il leopardo dalle quattro ali e altrettante teste, che coincidono con il bronzo del grande colosso (2:39), indicano l’agilità e la rapidità delle conquiste dell’impero greco, grazie al suo condottiero Alessandro il Grande.

La quarta bestia, di cui non c’è riscontro nel regno animale, così mostruosamente configurata, che collima alle gambe di ferro della grande statua (2:40), evidenzia la ferocia dell’impero romano. Fu talmente inverosimile la spietatezza sui vinti da non esistere attributo che possa descriverla. La quarta bestia, più che un animale, è una macchina da guerra.

L’undicesimo o piccolo corno, dietro il quale si nasconde un potere dall’aspetto religioso, nel quale si concentra tutta la forza disumana della bestia o della quarta monarchia, che durerà fino al giorno del giudizio, esprime il carattere ostile a Dio, alla sua volontà e ai santi dell’altissimo.

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Un evento imprescindibile

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Francesco Zenzale – “Si tenne il giudizio e i libri furono aperti” (Dn 7:10).
La visione del capitolo 7 di Daniele, indipendentemente dall’interpretazione che il lettore coglie dai simboli profetici, è caratterizzata da un inevitabile evento: il giudizio (Rm 14:10; 2 Cor 5:10). Questo avvenimento da una parte determina la fine di ogni potere o essere umano ostile alla volontà di Dio, dall’altra evidenzia il trionfo della giustizia e quindi del regno di Dio e di tutti quelli che hanno onorato il Signore nella loro vita, nonostante le vessazioni subite.

Tutto il libro di Daniele è caratterizzato da questa doppia prospettiva e quindi dal trionfo del bene. Nel primo capitolo, che segna la vittoria di Nabucodonosor, in realtà ci troviamo di fronte a un apparente trionfo. Infatti, il testo ci informa che “su tutti i punti che richiedevano saggezza e intelletto, sui quali il re li interrogasse, li trovava dieci volte superiori a tutti i magi e astrologi che erano in tutto il suo regno. Daniele continuò così fino al primo anno del re Ciro” (Dn 1:20-21). È solo un assaggio del trionfo della verità, della giustizia e quindi del regno di Dio che percorre questo meraviglioso libro.

Nel secondo capitolo, Daniele e suoi compagni acquisiscono notevole autorevolezza nei confronti di magi, incantatori, caldei, ecc. Nel terzo, riscontriamo il successo dei compagni di Daniele e la perdita di prestigio di Nabucodonosor. Nel quarto, è evidente il trionfo del regno di Dio nella vita di un re orgoglioso. Nel quinto, la sfida lanciata da un re impenitente nei confronti di Dio termina con la fine di un impero, preceduta da una dichiarazione conclusiva da parte di Dio: “Mené, Dio ha fatto il conto del tuo regno e gli ha posto fine; Téchel, tu sei stato pesato con la bilancia e sei stato trovato mancante. Perès, il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (Dn 5:26-28).

Il sesto capitolo evidenzia la disfatta dei nemici di Daniele, il quale “prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro, il Persiano”. Nel settimo, si evince la descrizione del giudizio e all’ottavo un’interessante dato cronologico (Dn 8:14) relativo al momento in cui è iniziata l’ultima fase dell’umanità. Il giudizio di Dio si pone in contrapposizione all’azione persecutoria del corno che si eleva fino al cielo gettando a terra la verità. Il nono è connesso all’ottavo perché, oltre a offrirci il trionfo di Cristo sul peccato, ci dà la possibilità di capire quando inizia l’ultimo periodo della storia (Dn 9:24-27). Il decimo ci invita riflettere sul gran conflitto che si svolge “dietro le quinte” tra il bene e il male e quindi quanto Dio è presente nella storia.

L’undicesimo ripercorre la storia rappresentata nei capitoli profetici, portandola fino alla fine dei tempi, al giorno in cui Gesù Cristo ritornerà per inaugurare il suo regno di giustizia e di giudizio. “Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno” (Dn 12:1-3).

In breve, il libro di Daniele ci dice che il percorso dell’umanità e di ciascuno di noi, nel bene o nel male, fluisce verso il giudizio, dove ognuno raccoglierà ciò che avrà seminato durante la propria di vita (Dn 12:13).

“Perché chi semina per la sua carne, mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna” (Gal 6:8). “Chi semina iniquità miete sciagura, e la verga della sua collera è infranta” (Prv 22:8).

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Segni descrittivi della visione del capitolo 7

bibbia-daniele Francesco Zenzale – Il capitolo 7 di Daniele è suddiviso in quattro parti. Nell’introduzione abbiamo un dato cronologico relativo all’anno in cui la visione fu accordata (v. 1). Il primo anno di co-reggenza di Baldassarre corrisponde al 549 a.C.

La prima parte (vv. 2-8) descrive la visione caratterizzata da quattro bestie. Dalla quarta bestia con le dieci corna, che risulta diversa dalle precedenti (v. 7), spunta “un altro piccolo corno, davanti al quale tre delle prime corna furono divelte. Quel corno aveva occhi simili a quelli di un uomo e una bocca che pronunciava parole arroganti” (v. 8).

Nella seconda parte osserviamo la descrizione del giudizio. In essa l’attenzione è posta sull’arroganza dell’undicesimo corno e sulla sua fine connessa alla quarta bestia (v. 11), come se il potere rappresentato dal corno riproducesse lo spirito prepotente e violento della quarta bestia. Inoltre, il brano descrive la venuta del figlio dell’uomo congiunta alla venuta del regno di Dio che, rispetto agli altri regni, è eterno (vv 13-14).

Nella terza parte troviamo la spiegazione della visione (vv. 15-25). È importante osservare quanto Daniele sia consapevole di ciò che Dio gli rivela. Pur essendo turbato, spaventato, si “avvicina a uno dei presenti e gli chiede il vero senso di ciò che avevo(a) visto” (v. 15). Inoltre, chiede spiegazioni sulla quarta bestia, le dieci corna e quello strano e terribile corno, dall’aspetto religioso più che politico, che cavalca la storia fino al giorno del giudizio (vv. 19-22).

Nella quarta parte, la visione torna sul giudizio finale, giorno in cui “il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (v. 27).

Arriviamo alla conclusione dove Daniele descrive, ancora una volta, il suo stato d’animo. Nonostante il lieto fine, il profeta è fortemente intimorito a causa dell’attività persecutoria del potere rappresentato dall’undicesimo corno (vv 26-27).

Concludendo questa breve riflessione, osserviamo quanto il Signore sia interessato a offrire a Daniele una spiegazione lineare della visione, rispondendo al profeta che lo interpella più volte per ulteriori dettagli. Di nuovo Dio sorprende l’uomo, interagisce con lui, anche quando il suo dire non sempre è alla portata della sua comprensione. Come Daniele, possiamo solo rimanere impressionati e conservare il tutto in cuor nostro, “poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito” (1 Cor 13:9-10).

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Visione d’insieme (capitolo 7)

bibbia e luceFrancesco Zenzale – “Nel primo anno di Baldassar, re di Babilonia, Daniele fece un sogno, mentre era a letto, ed ebbe delle visioni nella sua mente. Poi scrisse il sogno e ne fece il racconto” (Dn 7:1).

Con il capitolo 7 inizia la seconda parte del libro di Daniele. I primi sei capitoli sono narrativi, gli ultimi sei sono profetici, precisamente apocalittici.

Le visioni, o sogni, sono accordate alla fine dell’impero babilonese, sotto la reggenza di Baldassarre, e nel corso dell’impero medo-persiano, sotto i re: Dario, figlio di Serse; Ciro; e Dario il medo.

Queste hanno come base strutturale la visione del secondo capitolo: la grande statua formata di diversi metalli, che aveva fortemente angosciato il re Nabucodonosor. Infatti, è possibile cogliere un’espressiva simmetria. In Daniele 2, i quattro metalli sono esposti in modo decrescente in relazione al loro valore: oro, argento, rame e ferro. Così avviene anche in Daniele 7. Le quattro bestie, leone, orso, leopardo e un osceno mostro, evidenziano un’acutizzazione etico-spirituale. Il fluire di ciò che rappresentano queste quattro bestie, e il particolare del piccolo corno, è caratterizzato da un distacco da ciò che è raffigurato sulla terra, per poi descrivere una realtà inafferrabile e terrificante dal punto di vista umano, come il drago di Apocalisse 12.

Nell’ottavo capitolo, la profezia inizia con l’impero medo-persiano, perché quello babilonese è ormai passato. In essa si evidenziano un montone e un capro. Da quest’ultima bestia spuntano in primo luogo quattro corna e poi un quinto dall’aspetto feroce, che riproduce l’azione violenta dell’undicesimo corno di Daniele 7. Anche in questa visione, dai connotati religiosi, è possibile riscontrare l’inasprimento di un’attività umana violenta, che vie più s’allontana dalla terra per arrivare fino al cielo (Dn 8:9-12).

La visione dell’undicesimo capitolo aggiunge indicativi particolari alle precedenti visioni. Essa è stata accordata sotto il regno medo-persiano. I personaggi che caratterizzano i regni summenzionati non sono rappresentati da bestie feroci o da animali domestici, ma narrati per le loro azioni, senza che siano nominati. Ciò significa che, in alcuni testi biblici, si riscontra maggiore difficoltà interpretativa, comunque si può cogliere la loro attività persecutoria nei confronti dei figli di Dio e il loro defluire verso il giudizio.

È interessante notare che, nel capitolo 2, i regni e gli imperi sono rappresentati da metalli che fluiscono nell’inconsistenza: argilla e ferro. La statua nel suo insieme è praticamente polverizzata. Lo stesso vale per le quattro bestie e per l’undicesimo corno (o piccolo corno) del capitolo 7 (Dn 7:11-12, 26).

Osserviamo che nell’ottavo capitolo i regni sono raffigurati da animali domestici, il montone e il capro, che richiamano la nostra attenzione sui sacrifici offerti nel santuario. L’evoluzione del capro ci offre la possibilità da capire come l’aspetto religioso a esso associato si evolve: prima quattro corna, poi un corno che s’ingrandisce sempre più e che riverbera, nella sua azione, il corno blasfemo della quarta bestia del precedente capitolo.

Il motivo per cui i regni sono rappresentati con differenti modalità preconizza una significativa contrapposizione. Da una parte riscontriamo la prospettiva terrena. La moralità e la grandezza di un regno o di una persona sono stimate in base alla ricchezza, la quale è avvertita come benedizione di Dio o delle divinità. Dall’altra, nei capitoli 7 e 8, notiamo la prospettiva celeste, in altre parole come Dio qualifica la natura umana e i regni prefigurati che vie più si allontanano da lui.

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Daniele in breve. Venne il tempo che i santi ebbero il regno (Dn 7:22)

Daniele in breve. Modalità interpretative

Bibbia2Francesco Zenzale – Per Daniele, come per noi, man mano che gli anni passano, diventa evidente che un tempo considerevole è trascorso prima che Dio inauguri il suo regno. Per Daniele, benché sapesse che alla fine dei settanta anni Israele sarebbe rimpatriato, quegli anni erano infiniti. Per noi, un’eternità. Infatti, sono oramai passati circa 2.000 anni dal giorno in cui Gesù annunciò che sarebbe ritornato (Gv 14:1-3). Molti credenti si sono addormentati, altri si addormenteranno e i viventi continuano a considerare con attenzione il significato delle profezie inerenti a questa beata speranza.

In considerazione di questa paziente attesa, il credente cerca di comprendere il significato storico-profetico-esistenziale degli eventi che caratterizzano questo interminabile periodo profetico.

In tal senso, un ecclesiastico del XII secolo, Gioacchino da Fiore, credeva che i vari simboli profetici corrispondessero alla storia reale di persone e di eventi. Pertanto, interpretando le rappresentazioni simboliche, è possibile tracciare il corso della storia attraverso le varie fasi. Cogliendo, anche se in senso generico, il periodo storico in cui è fluita l’esistenza di uomini e donne che hanno testimoniato della loro fede in chi avrebbe posto fine ai tumultuosi eventi raffigurati nelle visioni.

In conformità a questo concetto, il tempo trascorso da quando Gesù visse sulla terra cessa di essere motivo di imbarazzo per la chiesa. La profezia mostra come Dio operi ancora nel mondo. Egli agisce normalmente nell’ambito delle vicende umane e porta il piano della salvezza verso il suo compimento.

Tutti coloro che considerano la profezia come un preannuncio di eventi storici hanno un debito verso le idee di Gioacchino, anche se le loro personali interpretazioni differiscono dalle sue. In tal senso, egli fu il pioniere delle tre principali scuole d’interpretazione profetica: preterista, storicista e futurista.

Il preterismo considera gli eventi profetici come fatti già avvenuti. Un tal modo di considerare la visione profetica non è in armonia con il pensiero di Gesù (Matteo 24) e del significato storico-escatologico della profezia. Perché gli eventi profetizzati fluiscono e si deflagrano nella “Pietra” simbolo del regno di Dio (Dn 2:34-35, 44-45).

Per i futuristi, gli eventi riguardano il futuro. Questi non considerano quanto la parola profetica s’incarna, rilevando concitate umane vicissitudini e aiutando il credente a vivere sospeso tra il cielo e la terra, nell’attesa che la fede fluisca in ciò che Dio aveva promesso (Eb 11: 36-40).

L’interpretazione storica, o storico-futurista, applica le profezie a fasi successive della storia, include il presente e le prolunga fino alla fine dei tempi, ovvero al giorno in cui Dio inaugurerà il suo regno.

In altre parole, molti cristiani credono che la profezia biblica descriva la relazione tra la storia umana e l’opera della salvezza. Interpretando i simboli profetici accuratamente possiamo percepire il significato spirituale dei diversi sviluppi storici e possiamo comprendere il nostro ruolo nell’ambito del quadro generale degli eventi. In tal modo il nostro essere credenti è fondato sulla fiducia in relazione al passato e a una serena e speranzosa anticipazione del futuro. Grazie a ciò che Dio ha già fatto, essi aspettano quello che deve fare ancora.

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