Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Francesco Zenzale – “Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Rm 5:10).

Avendo definito il significato della frase “il luogo del suo santuario”, in questa breve riflessione, cerchiamo di comprendere che cosa effettivamente è stato sconvolto nell’ambito della riconciliazione. Gli elementi tipologici presenti nel cortile, dove era collocato il santuario, che esplicitano il concetto di riconciliazione sono diversi e conseguenti.

La porta. Vi era una sola porta di accesso al cortile: luogo della riconciliazione e del santuario. La porta rappresentava Cristo (Gv 10:7-10). Ciò significa che l’unico accesso alla salvezza passa attraverso la sua persona. Infatti, sta scritto che “in nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (At 4:12). Questo insegnamento è stato inquinato da un’infinità di uomini e donne che, dopo la loro morte, sono state beatificati e collocati nel cielo con l’esercizio di coadiuvare Cristo nell’opera di riconciliazione. Questo primo atto del piccolo corno ha allontanato Cristo dalle persone, defraudandolo della sua unicità riconciliante, caratterizzata dal rapporto personale con il peccatore (2 Cor 5:18-19; Col 1:22).

La confessione. Attraversando la porta, una volta entrato nel cortile, il penitente, avendo con sé l’agnello per il sacrificio, esponeva il suo peccato vicino all’altare dei sacrifici (1 Gv 1:8-10). Anche questo insegnamento è stato sconvolto. Infatti, la confessione è stata elevata a “sacramento”, come se avesse in sé qualcosa di magico che infonde grazia per il solo fatto di compierlo (ex opere operato). Inoltre, l’opera di ascolto e di proscioglimento è esercitata dall’uomo/sacerdote. Questi ha l’autorità di valutare la gravità della fragilità umana, di stabilirne la penitenza e di assolvere il peccatore. Questa luttuosa azione, come la precedente, ipotizza sia l’inadeguatezza dell’uomo di arrivare a Dio senza intermediari, sia l’impossibilità di Dio di avvicinarsi all’uomo a causa della sua santità in contrasto con la pochezza della sua creatura. Pertanto la rivelazione della sua misericordia e del suo amore, in Gesù Cristo, risulta insufficiente, conseguentemente necessita di essere mediata dall’uomo/sacerdote. Ma secondo la Parola di Dio, Cristo è l’unico “mediatore tra Dio e gli uomini” (1 Tm 2:5), l’unico che possa assolvere i nostri peccati e salvarci pienamente (Eb 7:22-25). Perciò, “accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia [di Dio], affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi al momento opportuno” (Eb 4:14-16).

L’altare degli olocausti. Il sacrifico per il peccato. Dopo aver confessato i peccati, l’olocausto veniva immolato sull’altare dei sacrifici. Cristo Gesù è l’agnello di Dio che è morto per noi (Gv 1:29; 3:16; 1 Pt 1:18-19). A differenza dei sacrifici che si offrivano ripetutamente, che non potevano mai togliere i peccati, se non nella prospettiva messianico-profetica, il sacrificio di Cristo è unico, perfetto e per sempre (Eb 10: 1-12; 9:12-14, 24-28). Il piccolo corno ha scompigliato anche questo irripetibile atto salvifico, mediante “il sacrificio della messa”, che è sostanzialmente lo stesso sacrificio della croce. Definito teologicamente con il termine “transustanziazione”, esso consiste nella totale conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo, in forza delle parole della consacrazione pronunziate dal sacerdote nella messa. Anche in questo scompiglio “del luogo del suo santuario”, l’uomo/sacerdote funge da mediatore fra l’uomo e Dio, perché solo lui, con le formule di rito, può trasformare i simboli in Dio stesso.

La conca di rame. Una volta offerto il sacrificio, il sacerdote, prima di entrare nel luogo santo, faceva le abluzioni di purificazione con l’acqua contenuta nel bacino di rame (o bronzo). Questo simbolico gesto rappresentava il battesimo quale espressione della nuova nascita e dell’accettazione della persona e dell’opera di Cristo (Gv 3:5; At 2:41; Rm 6: 3-5). Secondo la Parola di Dio questa pubblica testimonianza si espleta mediante l’immersione. Infatti, il termine battezzare, dal greco baptizo, significa immergere, tuffarsi. Anche questa espressione d’amore per Dio è stata manipolata. Infatti, il battesimo viene somministrato mediante aspersione sui bambini piccoli che non sono consapevoli della loro fragilità, e quindi soggetti a ravvedimento, e non in grado di comprendere gli insegnamenti di Cristo e di scegliere di seguirlo (Mt 28:19-20).

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (prima parte)

Francesco Zenzale – “Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario” (Dn 8:11).

Il piccolo corno non si accontenta di violare l’ottavo comandamento (non rubare), defraudando Cristo Gesù quale unico garante della salvezza dell’umanità (Eb 12:2), va oltre: “sconvolse il luogo del suo santuario”.

Sconvolgere o provocare disordine nel luogo del suo santuario, dopo aver prima privato Gesù del suo ruolo nel piano della salvezza, significa rendere irriconoscibile o mascherare ciò che è stato tolto, tale da ingannare se fosse possibile anche gli eletti (Mt 24:24).

Grazie alla Parola di Dio, sappiamo che l’istituzione rappresentata da piccolo corno è sostenuta da Satana che, oltre ad “accusare i figli di Dio”, è “padre della menzogna” (Ap 12:10; Gb 8:44). In tal senso, Paolo, fa presente che “la venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi, con ogni tipo d’inganno e d’iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati” (2 Tess 2:9-10).

Avendo esplicitato questa visione profetica, è importante delimitare il termine “luogo” in rapporto al santuario, ciò che in esso è contenuto e che viene messo sottosopra.

Alcuni sinceri credenti, inconsapevolmente, confondono il santuario con il luogo dove esso era collocato, ovvero il cortile. Il santuario, secondo disposizioni divine, era composto da due ambienti. Nel primo vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta e l’altare dei profumi: esso veniva chiamato “il Santo”. Nel secondo, detto “Santo dei Santi”, si trovava l’arca dell’alleanza con dentro un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne che aveva fiorito, le tavole del patto. E sopra l’arca, sul propiziatorio, vi erano i cherubini della gloria, che facevano ombra al luogo dell’espiazione.

Questa articolata struttura era collocata nel cortile, nel quale vi erano disposti l’altare degli olocausti e il bacino di bronzo. L’insieme degli elementi in esso contenuti costituivano il primo rilevante insegnamento della salvezza, la riconciliazione. Pertanto il “luogo” del santuario cui fa riferimento la profezia ha che fare con il cortile, “luogo” in cui il pio israelita si riconciliava con Dio. Ebbene, il piccolo corno sconvolge la dinamica della riconciliazione messa in atto da Dio nella persona di Gesù in favore dell’umanità.

In breve, ci troviamo di fronte a due attività parallele. La prima è rivolta contro la persona e l’opera di Gesù, il quale viene defraudato del diritto essere il Salvatore. La seconda consiste nel nascondere quest’usurpazione, confondendo il credente sul modo in cui è possibile riconciliarsi con Dio.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Gli tolse il quotidiano (hattamîd)

Francesco Zenzale – “Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario” (Dn 8:11).

L’attività del piccolo corno si esercita nel confronti del “capo di quell’esercito”, ovvero di Cristo, privandolo del tamîd. Il testo ebraico dice: Umimmennû hûraym hattamîd. Letteralmente: “e a lui fu tolta la perpetuità!”, vale a dire ciò che è continuo, quotidiano, che non può essere interrotto.

Nel santuario si compivano molteplici atti liturgici che si richiamano al tamîd. Ad esempio, il mantenimento del fuoco sacro sull’altare dei sacrifici (Lv 6:5-6), delle luci del candelabro (Lv 24:2; Es 27:20-21), la sostituzione settimanale dei pani di presentazione nel tabernacolo (Lv 24:5-8), il servizio dei sacerdoti davanti all’arca dell’alleanza (1Cr 16:37). Tutte queste azioni richiedevano continuità, cioè tamîd.

Ma il tamîd era sostanzialmente messo in relazione con l’olocausto quotidiano, Olad tamîd. Gli aspetti che contraddistinguono questo importante sacrificio sono: il concetto di riconciliazione e di espiazione (Lv 1:1-8; 1 Cr 21:22 30), quello di comunione e di consacrazione (2 Sam 6:17-18; 1 Re 8:64). A differenza degli altri sacrifici, la vittima sacrificale era bruciata per intero, il fumo s’alzava a Dio come “odor soave” (Lv 1:9, 13,17; Nm 28:1-8). In greco, la parola olocausto (holòkaustos) significa “bruciato interamente”; la parola è composta da holos (tutto, intero) e kàiō (bruciare).

Un altro aspetto da non sottovalutare, in stretta relazione con l’ottavo capitolo di Daniele, è che l’Olad tamîd veniva offerto al Signore ogni giorno, al mattino e alla sera. La sua importanza è ulteriormente evidenziata dal fatto che nel giorno del sabato, tempo di consacrazione e comunione con il Signore per eccellenza, questo sacrificio doveva essere raddoppiato (Nm 28:9,10). In quel giorno non doveva essere offerto nessun altro sacrificio (cfr. Enciclopedia Giudaica, voce «Sacrificio»,col 600, cfr. anche coli 609,610; cfr. S.D.A. Bible Commentary, vol. IV, pp 812, 851; vol. 1, p 656).

Gli aspetti evidenziati mobilitano la nostra attenzione su Gesù Cristo. Il Nuovo Testamento e in particolare la Lettera agli Ebrei affermano che il complesso sistema cultuale ebraico, soprattutto l’Olad tamîd, prefigurava l’opera e la persona di Gesù, in qualità di vittima e sommo sacerdote (Eb 2:14-18; 4:14-15; 5:1-11; 7:26). In altre parole Gesù è per noi giustizia, santificazione e redenzione (1 Cor 1:30-31).

Come vittima, egli è esplosione di vita per l’umanità, perché “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Gv 3:16). Gesù Cristo si offrì in olocausto per la redenzione degli uomini. Il suo sacrificio è un tamîd, vale a dire per sempre e non rinnovabile (Eb 10: 1-4). Come Sommo sacerdote, Gesù, alla destra di Dio, ci accompagna nel lungo e faticoso percorso della vita, nell’attesa della beata speranza e rende possibile, anche se virtualmente, la gioia di essere al cospetto di Dio (Ef 2:4-6). Come il suo sacrificio, il suo sacerdozio è unico e irripetibile, perché egli è Sommo sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec (Eb 6:20; 7:21).

Avendo definito il significato del “sacrificio quotidiano”, è possibile cogliere in che cosa consiste l’attività del piccolo corno. Togliere a Cristo ciò che gli appartiene, precisamente il suo essere olocausto e Sommo sacerdote. In altre parole, il potere ostile a Dio attua un sistema teologico-redentivo e un rituale in totale contrasto con l’opera redentrice di Cristo.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Il santuario israelita

Francesco Zenzale – “La legge, infatti, possiede solo un’ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose. Perciò con quei sacrifici, che sono offerti continuamente, anno dopo anno, essa non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio. Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, se coloro che rendono il culto, una volta purificati, avessero sentito la loro coscienza sgravata dai peccati? Invece in quei sacrifici viene rinnovato ogni anno il ricordo dei peccati; perché è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati. Ecco perché Cristo, entrando nel mondo, disse: ‘Tu non hai voluto né sacrificio né offerta ma mi hai preparato un corpo; non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la tua volontà’” (Eb 10:1-7).

Non conosco la vostra comprensione del santuario israelita o se avete mai avuto occasione di studiarlo in tutti i suoi particolari, avendo lo sguardo rivolto al Vangelo. Vi assicuro che per me è stata un’arricchente esperienza spirituale. Perciò, permettetemi di riassumere l’insegnamento acquisito in tre precise istanze: riconciliazione, santificazione e giudizio.

La riconciliazione indicava l’opera di Dio in favore dell’umanità. Gli elementi simbolici che caratterizzano la riconciliazione sono: la porta (il cortile era munito da una sola porta di accesso al santuario) che indicava Cristo (Gv 10:7-10); l’altare degli olocausti, sul quale si immolavano i sacrifici, che rappresentava il sacrificio di Cristo, vero Agnello (Gv 1:29; 1 Pt 1: 18-19); la conca di rame, simbolo del battesimo (Rm 6:3-5). Così come il sacerdote non poteva entrare nel luogo santo senza aver fatto prima le abluzioni, nello stesso modo, colui che riceve e accetta il Vangelo della salvezza in Gesù Cristo, non può entrare a far parte della chiesa, senza prima essere battezzato o nascere di nuovo (Gv 3:5; At 2:41).

La santificazione segnala il percorso di vita del credente nell’ambito della riconciliazione acquisita grazie alla misericordia di Dio e il sostegno dello Spirito Santo. Gli elementi simbolici che tratteggiano la santificazione sono: il candelabro a sette braccia tutto d’oro, che rappresentava il carattere perfetto di Cristo il quale, mediante lo Spirito Santo, rappresentato dall’olio, è trasfuso nel credente. L’apostolo Paolo evidenzia, nella sua Lettera agli Efesini, che l’opera dello Spirito Santo consiste nel crescere “in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (Ef 4: 14-15). I pani della presentazione che rappresentavano Gesù Cristo pane della vita (Gv 6:35) e la Parola di Dio. L’altare dei profumi che rappresentava l’adorazione e la preghiera rivolta a Dio Padre nel nome di Gesù Cristo (Gv 16:24).

Il giudizio annunciava l’atto finale mediante il quale il peccato, in tutte le sue conseguenze, sarà debellato per sempre, prima dell’inaugurazione di un nuovo percorso di vita: nuovi cieli e nuova terra. Gli elementi simbolici che delineano il giudizio e la fase ultima della storia dell’uomo sono: l’arca del patto con i 10 comandamenti, che costituiscono un’unità di misura morale in base al quale l’umanità sarà giudicata (Gc 2:12-13); e il cerimoniale relativo alla purificazione del santuario che si svolgeva una volta l’anno. Il rituale annuale si svolgeva principalmente nel luogo santissimo ed era celebrato dal sommo sacerdote nel giorno dell’espiazione, o Grande giorno del perdono (Kippur). Questa solennità, che ricorreva al principio dell’autunno, era da ogni pio israelita trascorsa nel digiuno e nell’umiliazione, perché in quel giorno il Signore giudicava il suo popolo. Il messaggio del Kippur non riguardava solo il popolo eletto, ma l’umanità. Non dobbiamo dimenticare che Israele era stato scelto da Dio per essere luce delle nazioni (Sal 67:4; Is 43:18; 49:6; 52:10; ecc.).

In breve, il santuario è l’espressione del progetto salvifico di Dio in favore dell’umanità.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. La desolazione del santuario

Francesco Zenzale – “Da uno di essi uscì un piccolo corno, che si ingrandì enormemente in direzione del mezzogiorno, dell’oriente e del paese splendido. Crebbe fino a raggiungere l’esercito del cielo; fece cadere a terra una parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò. Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario. Un esercito fu abbandonato, così pure il sacrificio quotidiano, a causa dell’iniquità; la verità venne gettata a terra; ma esso prosperò nelle sue imprese” (Dn 8:9-12).

Da una semplice lettura si evince che l’attività del piccolo corno è quella di sovrapporsi all’opera di Cristo in favore della salvezza dell’umanità. Ciò lo si coglie dall’espressione “capo di quell’esercito” (v.9) e dal persistente richiamo al contenuto teologico e soteriologico del santuario israelita. “Gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario. Un esercito fu abbandonato, così pure il sacrificio quotidiano” (vv. 11,12). “‘Fino a quando durerà la visione del sacrificio quotidiano, dell’iniquità devastatrice, del luogo santo e dell’esercito abbandonati per essere calpestati?’. Egli mi rispose: ‘Fino a duemilatrecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato’” (vv. 13-14 e 26).

Diversi studiosi ritengono che la profanazione del santuario sia stata conseguita da Antioco IV Epifane, re Seleucida (176 – 164 a.C.). Ma il testo biblico non ci permette di condividere quest’interpretazione perché la visione “concerne il tempo della fine”, frase che “è sempre impiegata in senso escatologico e si riferisce in maniera chiara alla venuta del regno di Dio. Inoltre, questo temerario sacrilegio non riguarda il santuario come struttura, che era somigliante ai santuari cananei, né i sacrifici che in esso si offrivano, ma ciò che essi esprimevano. L’autore della lettera agli ebrei esplicita che questi erano “un’ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose” (Eb 10:1-14).

La differenza teologica tra i sacrifici che i cananei offrivano alle loro divinità e quella del popolo d’Israele consisteva nel fatto che i sacrifici cananei, anche umani, erano caratterizzati da un contenuto mitologico e dal tentativo di addomesticare le divinità in loro favore (“Io ti do, tu mi dai”) o indurli ad agire forzando la loro volontà (1 Re 18:25-29). Contrariamente, quelli offerti dal pio israelita al Dio unico e sovrano, avevano un significato teologico attinente alla grazia e al valore messianico-escatologico pertinente all’evento del messia e del suo ritorno. In tal senso, gli studiosi sono d’accordo nel definire il santuario “Vangelo in miniatura”.

In breve, se vogliamo afferrare la luttuosa azione del corno blasfemo, è importante riflettere sul significato del santuario e in particolare delle seguenti espressioni: “gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario… la verità venne gettata a terra”. Quindi la profezia delle 2.300 sere e mattine e la purificazione del santuario.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Si ingrandì, crebbe, si innalzò, prosperò

Francesco Zenzale – “Da uno di essi uscì un piccolo corno, che si ingrandì enormemente in direzione del mezzogiorno, dell’oriente e del paese splendido. Crebbe fino a raggiungere l’esercito del cielo; fece cadere a terra una parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò. Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario. Un esercito fu abbandonato, così pure il sacrificio quotidiano, a causa dell’iniquità; la verità venne gettata a terra; ma esso prosperò nelle sue imprese” (Dn 8: 9-12).

Il testo biblico ci informa che il potere che si cela dietro il piccolo corno prima “si ingrandì enormemente”, poi “crebbe fino a raggiungere l’esercito del cielo…”, successivamente  “si innalzò fino al capo di quell’esercito…”, in fine “prosperò nelle sue imprese”.

Il senso di questi verbi, associati a una poliedrica ed efficace attività, ci offre la possibilità di cogliere i seguenti aspetti: la sua escalation politico-militare-territoriale; la sua estensione globale; il suo atteggiamento irriguardoso nei confronti della persona e dell’opera di Cristo Gesù e dei suoi discepoli; la sua rigogliosità, “prosperò nelle sue imprese”. Quest’ultimo aspetto dà l’idea che solo un evento ultra terreno possa interrompere la sua egemonia. Infatti, il testo precisa che “sarà infranto senza opera di mano” (8:25). Come la statua di Daniele 2 viene frantumata da un masso che si stacca dal monte senza intervento umano, così il piccolo corno sarà sbriciolato, senza opera di mano, da un evento che darà inizio al regno di Dio. “L’empio che il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà all’apparire della sua venuta” (2 Tess 2:8).

L’istituzione o il regno rappresentato è così potente, imprevedibile, religiosamente e storicamente affidabile tanto da rendere inconcepibile credere che possa distrugge “il popolo dei santi”, “gettare a terra la verità” ed essere insolente nei confronti di Cristo. Il testo asserisce che “a motivo della sua astuzia, la frode prospererà nelle sue mani; il suo cuore si inorgoglirà; distruggerà molte persone che si credevano al sicuro… Egli sarà causa di rovine inaudite” (Dn 8:24-25). Indubbiamente, la profezia ci pone di fronte a qualcosa che la mente non è in grado di comprendere e tanto meno di lottare pensando di vanificarlo. Non lo si può arginare né sconfiggere. Cresce a dismisura inspiegabilmente, ed è impensabilmente ingannevole.

Da dove proviene tutta questa disumanità, tale da causare “rovine inaudite”? Come è possibile concepire tutta questa malvagità? Gabriele cerca di far capire all’affranto profeta che il potere del piccolo corno “si rafforzerà, ma non per la sua propria forza” (8:24). Paolo, chiarisce il significato di questa frase, precisando che la venuta dell’empio avverrà “per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi, con ogni tipo d’inganno e d’iniquità” (2 Tess 2:9-10).

Se è vero che negli ultimi tempi “sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti” (Mt 24:24), allora non ci resta che essere sobri e vegliare perché il nostro “avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare” (1Pt 5:8).

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Daniele in breve. Nel cuore del cristianesimo

Francesco Zenzale – “Attenetevi alla legge e alla testimonianza! Se un popolo non parla in questo modo, è perché in esso non c’è luce” (Is 8:20 ND). “Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema” (Gal 1:8).

Ci sono pratiche cultuali cristiane che sgorgano dal paganesimo. Per individuarle è importante svincolarsi da quel mondo culturale-religioso che accomuna le confessioni e la nostra religiosità. So che è difficile e doloroso! Facciamo fatica ad accettare di aver vissuto dentro una “conchiglia” formativo-religiosa, dove abbiamo pianto, pregato, sorriso, inneggiato e sospirato, per poi scoprire che quella corteccia ha un’eredità ancestrale non pienamente conforme alla volontà di Dio. L’essere umano ha sempre avuto bisogno di qualcosa che lo collegasse al cielo e la religione, indubbiamente, è stata un ottimo contenitore capace di raccogliere queste istanze trascendentali. Ma il rischio è alto quando, dimentichi della Parola di Dio, affidiamo la nostra spiritualità ad una religiosa “conchiglia” implicante elementi cultuali e dottrinali pagani.

L’impero romano, da un punto di vista religioso, ha avuto un forte ascendente sul cristianesimo a partire dal III secolo, al punto che per certi aspetti si possa dire che sia stato il cristianesimo a convertirsi al paganesimo. Dopo le persecuzioni, che indussero i credenti a vivere nell’ombra per amore di Cristo, gradualmente gli imperatori assunsero un atteggiamento conciliante. In seguito, con la complicità dei vescovi e la conversione in massa dei pagani, molte credenze e pratiche cultuali divennero parte integrante del cristianesimo.

A causa di questa fusione, il pantheon si amplificò a tal punto da riempire il cielo anche di eroi cristiani, di figure femminili e maschili fungenti da intercessori e protettori. Un’inconcepibile sincretismo, nella forma e nel contenuto, tale da caldeggiare un’offerta salvifica all’insegna do ut des o do ut facias, in cui la grazia è a fronte di più mediatori, di un sacrificio, di un’opera, dell’obbedienza o di un “prezzo” pagato dall’uomo, che può tradursi anche in termini votivi, scelte cultuali e liturgiche non conformi al Vangelo.

Da questo amalgama di culture religiose erompe un cristianesimo adulterato, nel quale l’imperatore Costantino ha avuto un ruolo determinante. In primo luogo, con l’editto emanato nel 313 a Milano (e firmato anche da Licinio) diede al cristianesimo riconoscimento ufficiale. Poi con la sua conversione (per quanto ricevesse il battesimo solo sul letto di morte) e l’esortazione ai pagani di abbracciare il cristianesimo nell’editto agli Orientali del 324.

Successivamente con la convocazione del concilio di Arles nel 314, allo lo scopo di risolvere la questione donatista (Donatismo: vasto movimento scismatico che turbò la chiesa d’Africa a cominciare dal IV secolo). Di seguito con quello di Nicea nel 325, perché preoccupato per la diffusione dell’arianesimo. E infine con il decreto del 7 marzo del 321 in cui ordina l’osservanza del giorno del sole (dies solis) al posto del sabato biblico, settimo giorno (Es 20:8-11; Gn 2:1-3).

In breve, lentamente – come mostra la storia – l’impero romano d’occidente fece posto al cristianesimo romano così bene da far dire che il primo non è completamente scomparso, ma ha subito una metamorfosi.

Il cristianesimo che nel I secolo d.C., grazie alla predicazione degli apostoli e di uomini e donne fedeli a Cristo, ci ha fatto uscire da una religiosità mitologica, come era quella pagana, per abbracciare un rapporto personale con Dio quale creatore e redentore, successivamente, per effetto di poca avvedutezza e per amore del palcoscenico internazionale, ci ha reintrodotti in un cristianesimo magico-mitologico e, per un lungo periodo storico, dispotico come lo è stato l’impero romano.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Che fine ha fatto l’impero romano?

Francesco Zenzale – Se compariamo i capitoli 7 e 8-9 di Daniele, ci rendiamo conto che il settimo è più lineare dell’ottavo. I regni sono rappresentati da quattro bestie (Babilonia, Medo-Persia, Grecia, Roma), successivamente si delinea lo smembramento del quarto regno e, infine, l’undicesimo corno che avrebbe cavalcato la storia fino al giorno del giudizio.

Il capitolo 8 inizia con il secondo impero, tralasciando Babilonia che già volgeva al termine, quindi introduce l’impero greco, con il suo grande condottiero (Alessandro Magno) e la divisione del suo regno, rappresentato dalle quattro corna che in Daniele 7 sono raffigurate dalle quattro teste del leopardo. Presagisce, poi, il sorgere di un corno, “un re dall’aspetto feroce, ed esperto in intrighi” (Dn 8:23), che s’ingrandisce smisuratamente e le cui caratteristiche riflettono il piccolo corno del capitolo 7. Poi la spiegazione s’interrompe (8:27); quando Gabriele si ripresenta per completarla, non offre alcuna informazione circa il quarto regno (9:20-27). Che fine ha fatto l’impero romano che, con gli altri regni, nel bene e nel male, è stato legato al popolo di Dio? Sotto quale figura allegorica si nasconde?

Esiste un’importante differenza tra i capitoli 7 e 8. La prospettiva profetica del capitolo 7 è politico-giuridica con contenuti religiosi, quella del capitolo 8 è spirituale-religiosa.

Nel settimo capitolo, la natura intrinseca delle quattro bestie, la loro deformità, tale che per la quarta bestia non si trova alcun riscontro nel regno animale, evidenzia la loro dispotica natura politica. È così anche per l’undicesimo corno il quale eredita la crudele violenza della quarta bestia, abbattendo tre corna o re, che in qualche modo ostacolavano il suo sorgere. C’è poi l’aspetto giuridico, espresso nell’attentato contro la legge di Dio e i giorni festivi. E infine il giudizio. In quest’ultimo elemento si evidenzia la particolare attenzione accordata alla quarta bestia e all’undicesimo corno per la loro disumana assonanza.

Nei capitoli 8 e 9, la prospettiva profetica è spirituale-religiosa. Questo aspetto lo si evince dal fatto che le rappresentazioni simboliche mobilitano il santuario israelita e i connessi servizi religiosi. Infatti, il montone e il capro sono animali che rievocano i sacrifici offerti nel santuario (Es 9:15-18; Lv 5:15-25; 19:22; 4:23-26; 9:3 e seg.; 16). Il piccolo corno di Daniele 8 “si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario” (Dn 9:11). La profezia delle 2.300 sere e mattine è annessa alla purificazione del santuario (Lv 16). Infine, le 70 settimane sono intrise di elementi di alto contenuto spirituale, come il concetto di sacrificio e di offerta (Dn 9:24-27).

Quanto esposto ci induce a considerare il piccolo corno, che “s’ingrandisce enormemente” (8:9), dal punto di vista religioso, implicante sia l’impero romano sia il potere simile al corno blasfemo di Daniele 7. I libri di storia raccontano le grandi conquiste politiche e territoriali di Roma, le sue risolute leggi verso i vinti, le persecuzioni contro i cristiani, gli intrighi di palazzo, il suo divenire e il suo declino, ma si soffermano poco sulla sua natura religiosa.

Una delle peculiarità della religione dei romani è l’essere inseparabilmente legata alla sfera civile, familiare e socio-politica. Il culto verso gli dei era un dovere morale perché solamente la pietas, ovvero il rispetto per il sacro e l’adempimento dei riti, poteva assicurare la pax deorum per il bene della città, della famiglia e dell’individuo (per la pax deorum: http://traditioromana.blogspot.it/p/pax-deorum.html).

Un’altra caratteristica importante della religione romana è il politeismo nella tolleranza verso altre realtà religiose di cui il pantheon ne è l‘emblema. Contestualmente all’espansione dell’impero il pantheon romano si arricchì grazie all’importazione di divinità venerate dai popoli con i quali Roma entrava in contatto. Questo ci permette di concludere che nella religione romana confluivano diversi sistemi religiosi e variegate pratiche religiose le quali, nel corso dei secoli, sono confluite nel cristianesimo.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele 8-9. Quadro d’insieme (seconda parte)

Francesco Zenzale – Daniele sviene e dopo diversi giorni riprende a lavorare interessandosi agli affari del re (Dn 8:27), e la spiegazione dell’ultima parte della profezia rimane sospesa tra il cielo e la terra, nell’incomprensione dell’uomo di Dio. Ma il Signore non lascia nulla d’incompiuto. Passano circa dodici anni. “Nel primo anno di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi” (9:1), e mentre Daniele è in preghiera, l’angelo Gabriele si ripresenta (9:21) con le seguenti parole: “Daniele, io sono venuto perché tu possa comprendere. Quando hai cominciato a pregare, c’è stata una risposta e io sono venuto a comunicartela, perché tu sei molto amato. Fa’ dunque attenzione al messaggio e comprendi la visione” (9:22-23).

Le parole dell’angelo ci stimolano a prendere in considerazione tre elementi. Il primo è quello relativo al tempo trascorso fra la visione dell’ottavo capitolo e il nono. Il secondo riguarda il messaggio cui Daniele è invitato a fare attenzione. Il terzo riguarda la comprensione della visione.

Perché il Signore completa dodici anni dopo la spiegazione della visione di Daniele 8? Probabilmente il motivo va cercato nel fatto che la visione delle sere e mattine non riguardava il periodo storico del profeta, ma il tempo della fine (8:17, 26), pertanto non si coglie l’importanza dell’immediatezza della spiegazione. Un’altra ragione è da cercare nel fatto che Daniele era interessato a conoscere in che anno sarebbero finiti i settanta anni di schiavitù predetti da Geremia (Ger 25:11-12). Quando l’angelo gli disse che la visione riguardava un tempo lontano, egli probabilmente non riusciva a conciliare le due profezie. Forse pensava che Dio avesse cambiato opinione? No! Il problema è che quando siamo coinvolti emotivamente da ciò che ci sta più a cuore, abbiamo serie difficoltà a comprendere l’agire di Dio. Nel suo cuore Daniele aveva per anni accarezzato l’idea di tornare a casa, nella sua amata città santa (Gerusalemme) e forse di riabbracciare i suoi cari (fratelli e sorelle), qualora fossero ancora in vita.

Questo suo nostalgico desiderio viene esaudito, ma non secondo le sue aspirazioni. “Fa’ dunque attenzione al messaggio”. Indubbiamente, il messaggio riguarda le “settanta settimane”, accordate da Dio al popolo eletto, in vista di un evento che avrebbe contrassegnato il suo futuro (Dn 9:24-27). I predetti settanta anni di schiavitù stavano per finire, presto il popolo eletto avrebbe avuto la gioia di “tornare a casa”. Come avrebbe dovuto vivere questa nuova esperienza e con quale prospettiva? La risposta è contenuta nelle seguenti parole: “Settanta settimane sono state fissate riguardo al tuo popolo e alla tua santa città, per far cessare la perversità, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo … fino all’apparire di un unto, di un capo” (9:24,25).

Gabriele invita Daniele a “comprendere la visione”. Quale visione? Quella relativa alle 2.300 sere e mattine e alla purificazione del santuario (8:14), che Gabriele non aveva avuto modo di completare. Ciò è evidenziato anche dai termini utilizzati. Quando l’angelo introduce la visione in senso generale adopera la parola hazon (Dn 8:1-2), quando parla della decontaminazione del santuario, quindi della visione delle 2.300 sere e mattine, impiega il termine mareh (Dn 8: 26.27). Lo stesso avviene nel capitolo 9. “Mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo, Gabriele, che avevo visto prima nella visione (hazon), mandato con rapido volo, si avvicinò a me all’ora dell’offerta della sera. Egli mi rivolse la parola e disse: ‘Daniele, io sono venuto perché tu possa comprendere. Quando hai cominciato a pregare, c’è stata una risposta e io sono venuto a comunicartela, perché tu sei molto amato. Fa’ dunque attenzione al messaggio e comprendi la visione (mareh)’” (9:21-23).

In breve, Daniele 8 si conclude con la visione (mareh) dei 2.300 giorni, che non viene illustrata. Gabriele, lo stesso angelo che aveva interpretato la visione del capitolo 8, riappare al capitolo 9 e dice a Daniele di comprendere la visione (mareh), ovvero quella delle sere e mattine.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele 8-9. Quadro d’insieme (prima parte)

Francesco Zenzale – La visione del settimo capitolo conclude evidenziando la sofferenza di Daniele. Il testo riferisce che fu molto spaventato da impallidire (Dn 7:15, 28). Nell’ottavo capitolo, il profeta, sopraffatto dalla spiegazione, sviene e si ammala a tal punto che l’angelo Gabriele si trova nell’impossibilita di proseguire la spiegazione: “Io, Daniele, rimasi sfinito e mi sentii male per vari giorni; poi mi alzai e sbrigai gli affari del re; ma ero stupefatto della visione perché non la potevo comprendere» (Dn 8:27 CEI).

Questo suo malessere psico-fisico, in primo luogo rivela quanto il dramma umano, delineato dalla profezia, coinvolge Daniele, benché riguardasse “il tempo della fine” (Dn 8:17; cfr. Dn 12:4); in secondo luogo, impedisce a Gabriele di esporre il contenuto dell’ultima parte della visione.

L’inviato del cielo, espone la prima parte della visione evidenziando che l’impero medo-persiano è rappresentato dal montone e quello greco dal capro. Chiarisce che “il gran corno, che era in mezzo ai suoi occhi, è il primo re” (Dn 8:20,21 CEI), cioè Alessandro Magno. Precisa che dopo la sua morte l’impero sarebbe stato diviso in quattro regni (cfr. 8:22). Infatti, Alessandro non ha avuto una dinastia regale come i precedenti regni (babilonese e medo-persiano). I suoi generali, o “diadochi”, (Seleuco, Tolomeo, Cassandro, Lisimaco), dopo aver messo a morte la sua stirpe, si divisero l’impero (Macedonia, Tracia, Egitto e Siria).

L’angelo illustra con dovizia di particolari il piccolo corno che ricorda l’undicesimo corno del settimo capitolo, ma tralascia di dire quale regno o potere rappresenta, come se volesse nascondere qualcosa la cui rivelazione poteva risultare un danno per gli stessi credenti. Si ha l’impressione che il regno posteriore a quello greco si fondi con il corno che s’ingrandisce al punto da innalzarsi “fino al capo di quell’esercito”, togliendogli il “sacrificio quotidiano” e sconvolgendo il “luogo del suo santuario” (8:11). Questo è un aspetto che esamineremo nelle prossime riflessioni.

Quando Gabriele cerca di spiegare la “visione delle sere e mattine”, tratteggiando specifiche indicazioni relative, ad esempio, al punto di partenza e al suo contenuto soteriologico, perché il santuario contaminato è intrinsecamente legato al progetto salvifico (cfr. 8:26), Daniele sviene. Pertanto la profezia delle 2.300 sere e mattine, relativa alla purificazione del santuario (cfr. 8:14), rimane inspiegabile. Ma, “poiché il Signore, Dio, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti” (Am 3:7), non ci resta che lasciarci sorprendere.

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Riassumendo Daniele 7

Francesco Zenzale – Il capitolo 7 del libro di Daniele ci offre la possibilità di capire il modo in cui si muove l’umanità attraverso i secoli e soprattutto Satana, quale principe di questo mondo (Gv 12:31) e regista di tutti quei poteri o regni e istituzioni che operano per suo conto. Questa sua attività tende a consolidare chi ha scelto di onorarlo e a cercare di ingannare i figli di Dio. In tal senso, Gesù, nel suo discorso profetico, fa presente che “sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti” (Mt 24:24). Queste parole evidenziano quanto sia importante vegliare e pregare in ogni istante, studiare la Parola di Dio, mettendo in pratica le cose che vi sono scritte (Lc 21:36; Ap 1:3).

Oltre a segnalare questo esagitato dramma di nazioni, organizzazioni e popoli che si muovono all’ombra di Satana (cfr. Ap 18), il capitolo 7 ci invita a riflettere sull’attività di Dio. Molti sinceri credenti, osservando gli eventi dolorosi che dominano il pianeta terra (guerre, catastrofi naturali, disumanità, violenza in aumento, ecc.), come il profeta Abacuc, pongono al Signore la seguente domanda: “Fino a quando griderò, o Signore, senza che tu mi dia ascolto? Io grido a te: ‘Violenza!’. E tu non salvi. Perché mi fai vedere l’iniquità e tolleri lo spettacolo della perversità?” (Ab 1:2-3).

La risposta a questa straziante sofferenza la troviamo nella visione del giudizio (Dn 7:9-14). Essa ci offre la gioia di cogliere quanto Dio ci tiene a questo mondo. Il trono, su cui “l’antico dei giorni” è assiso, è composto di sostanza eterea: “fiamme di fuoco” e le ruote di “fuoco ardente” (cfr. Ez 1:16,26) evocano l’idea di movimento rapido e continuo, quindi di onnipresenza e onniveggenza (in Ez 1:18 le “ruote” del trono di Dio sono “piene di occhi”). Dio si muove nel tempo e nello spazio con scioltezza e senza limiti. Un altro aspetto che ci aiuta a capire l’operosità di Dio è dato dai libri che sono aperti alla sua presenza (Dn 7:10). Essi sono un’illustrazione della sua onniscienza (Sal 139). Tutto ciò significa che Dio non ha abbandonato questo mondo. Egli raccoglie le nostre lacrime nel suo otre (Sal 56:8) e ci aiuta a vivere con serenità e fiducia, aspettando “in silenzio la salvezza del Signore” (Lam 3:26).

Il confronto-scontro tra questi due movimenti è asimmetrico. Da una parte abbiamo il ritratto di creature ostili, senza speranza, perché in balia di se stessi e di Satana. Dall’altra ci sono i figli di Dio che sono protetti da colui che è il loro creatore, sostenitore e redentore (Is 31:5). Ciò significa che il bene, la giustizia e l’amore avranno il sopravvento sul regno del male, del peccato e della morte. Nel giorno del giudizio, al figlio dell’uomo “gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Dn 7:14).

La storia dell’uomo avrà il suo epilogo nei nuovi cieli e nella nuova terra, dove “non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Ap. 21:4). “Non ci sarà nulla di maledetto” e i credenti avranno la gioia di vedere la “sua faccia” e di portare “il suo nome scritto sulla fronte” (Ap. 22:3,4). “Degno, degno è l’Agnello che fu immolato e ora vive per raccogliere il trionfo delle sue conquiste”. Amen!

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Daniele in breve. Sconvolse il luogo del suo santuario (seconda parte)

Daniele in breve. Un tempo, dei tempi e la metà di un tempo (Dn 7:25)


Francesco Zenzale –
Questa interessante e simbolica unità di tempo, corrispondente a 1.260 anni, è segnalata anche in Daniele 12:7, ma soprattutto da Giovanni nell’Apocalisse, nella variante di “42 mesi” (12:6), di “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo” (12:13) e infine nella forma di «1.260 giorni» (Ap 13: 5).

Oltre a questa correlazione profetica, è possibile coglierne altre. Ad esempio, i santi perseguitati in Daniele coincidono con la “donna” e i “santi” perseguitati in Apocalisse  (Dn 7:25; Ap 12:6,13; 13:5-7). Inoltre, è rilevante notare come la “bestia” di Apocalisse 13, corrisponda al corno blasfemo di Daniele 7. Essa sale dal mare come le quattro bestie di Daniele, riproducendo nella sua attività tutta la loro malvagità (Dn 7:2-7, 25; Ap 13:1-2). Ciò significa che Giovanni riprende la visione del corno blasfemo e la amplia con rilevanti particolari profetici.

In primo luogo, si evidenzia che questo potere, raffigurato dal corno e dalla bestia, agisce come delegato di Satana, il dragone o serpente antico (Ap 12). Esso è lo strumento attraverso il quale Satana è oggetto di culto (Ap 13:4). L’identificazione con il dragone è tale che essa stessa diventa oggetto di adorazione (Ap 13:8).

In secondo luogo, le parole arroganti dell’empio corno di Daniele, in Apocalisse, acquistano una valenza impressionante: “Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo” (Ap 13:6).

In terzo luogo, la sua perfida azione non è rivolta solo ai figli di Dio. Il testo riferisci “che le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione” (Ap 13:7).

In quarto luogo, il periodo di tempo in cui il nostro arrogante corno agisce con spudoratezza nei confronti di Dio e dei suoi figli, costituisce solo una prima fase. Infatti, Giovanni precisa che dopo la ferita mortale, si presenta all’umanità come se fosse risuscitata. L’impatto sarà tale “che la terra intera presa d’ammirazione, andò dietro alla bestia” (Ap 13:3). Ciò significa che una volta guarita estenderà la sua supremazia a livello globale, al punto che “l’adoreranno tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla creazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato” (v. 8).

Infine, in considerazione che l’undicesimo corno sorge dopo la divisione dell’Impero romano, a causa delle invasioni barbariche (Dn 7: 8, 24), è dunque logico ritenere che questo periodo profetico (1.260 anni) copra lo spazio temporale del Medio Evo e si concluda nel XVIII secolo, per poi proseguire sino la fine dei tempi.

Concludendo, osserviamo che il movimento di tutti coloro che subiscono il suo fascino passa dall’ammirazione all’adorazione. In tal senso, a proposito dell’uomo del peccato, l’apostolo Paolo scriveva: “Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio” (2 Tess 2: 3-4).

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