Gesù esplosione di vita. La grazia e l’uomo deturpato dal peccato

Gesù esplosione di vita. La grazia e l’uomo deturpato dal peccato

Il 18 luglio, il past. Francesco Zenzale si è addormentato nel Signore a 68 anni. In pensione dal 2008 per motivi di salute, ha collaborato per diversi anni con il Dipartimento Comunicazioni dell’Unione italiana (Uicca), occupandosi del Bazar biblico, del sito maran-ata.it, di studio della Bibbia via email e rispondendo alle domande su temi spirituali su Facebook e dal sito avventista. Ha anche contribuito alla realizzazione del sito “Gli avventisti rispondono”. Per oltre un decennio ha tenuto la rubrica biblica sul Notizie Avventiste. In sua memoria, la redazione continuerà la pubblicazione delle riflessioni inviate dal past. Zenzale prima che il suo stato di salute si aggravasse.

 

Francesco Zenzale – Nel capitolo 53 del suo libro, il profeta Isaia descrive Gesù come uomo sfigurato dal dolore, quasi irriconoscibile a causa del supplizio inflitto dai suoi acerrimi nemici. Il testo ci informa che “egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo; non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna” (Isaia 53:2-3).

Nel Nuovo Testamento Gesù è descritto come un essere umano: semplice, normale, venduto come se fosse uno schiavo, flagellato, percosso (cfr. Marco 15:15; Luca 22:64) e perseguitato per amore della verità che lui stesso incarnava. A causa della sofferenza vissuta negli ultimi giorni della sua vita, era talmente sfigurato nell’aspetto che le persone si beffeggiavano di lui (cfr. Luca 23:35), aggiungendo alla sofferenza fisica quella morale ed esistenziale.

Anche gli apostoli non riuscirono ad accettare il volto deformato di Gesù. Non s’indentificavano più in quell’uomo che per circa tre anni avevano osannato. Fuggirono! Lo lasciarono solo! Avevano sognato l’uomo-re, potente, capace di inaugurare un regno terreno che dominasse tutti gli altri. Ma poi lo scoprirono bisognoso, sofferente, perseguitato e immolato.

Quanta limitatezza profetica, paura, incredulità e ingiustizia! Chissà come avremmo reagito noi? Forse lo avremmo lasciato solo e rinnegato, oppure avremmo assistito al dramma della sua morte da spettatori. Spesso, come credenti, ci rammarichiamo di non essere nati in quel periodo storico in cui avremmo visto Gesù, lo avremmo toccato, gli avremmo parlato e forse saremmo stati dei miracolati, oppure uno dei dodici… Ho l’impressione che sogniamo un po’ troppo! Una forma di alienazione che ci permette di sfuggire alle responsabilità attuali, eludendo di non vederlo in chi Gesù s’identifica: i senzatetto, gli affamati, gli assetati, ecc. (cfr. Matteo 25:31 e segg.). Uomini e donne dal volto sfigurato dalla sofferenza, dalla solitudine, dalla fame, dalla guerra, violentati e umiliati. Irriconoscibili come Gesù!

Nondimeno, dietro a quel volto irriconoscibile si celava la salvezza: “O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” (Luca 24:25-26).

La grazia, non è così sgargiante e accecante come vorremmo che fosse. Non ha nulla a che fare con il palcoscenico, gli applausi, i compromessi, la bellezza esteriore, la sensualità, la violenza, ecc. È sul Golgota, in quell’uomo immobilizzato sulla croce, che non reagisce agli insulti e agli scherni beffardi. “‘Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi giù dalla croce!’. Così pure, i capi dei sacerdoti con gli scribi e gli anziani, beffandosi, dicevano: ‘Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Se lui è il re d’Israele, scenda ora giù dalla croce, e noi crederemo in lui. Si è confidato in Dio: lo liberi ora, se lo gradisce, poiché ha detto: Sono Figlio di Dio’. E nello stesso modo lo insultavano anche i ladroni crocifissi con lui” (Matteo 27:40-44).

La grazia non impreca e non scende dalla croce per farsi giustizia, ma si manifesta in chi, nonostante il volto deturpato, riesce a percepirla e appropriarsene. “‘Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!’ Ed egli gli disse: ‘Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso’” (Luca 23:42-43).

La grazia non è dispotica e astiosa, ma misericordiosa e generosa. “Mentre i soldati compivano la loro orribile opera, Gesù pregava per i suoi nemici: ‘Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno’” (Luca 23:34). Scrive Ellen G. White: “Gesù non espresse nessuna parola di condanna per i soldati che lo trattavano con tanta durezza; non invocò nessuna vendetta sui sacerdoti e sui capi che erano contenti per l’attuazione del loro piano. Gesù ebbe compassione della loro ignoranza e della loro colpa, e pronunciò soltanto una preghiera di intercessione: chiedeva per loro il perdono, perché non sapevano quello che facevano” – E. G. White, La speranza dell’uomo, Ed. Adv, Firenze, 1998, p. 573.

La grazia, benché deturpata dal peso del dolore, non si sofferma sul presente, ma è capace di guardare oltre l’angoscia e l’abbandono. Isaia ci informa che “dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l’opera del Signore prospererà nelle sue mani. Dopo il tormento dell’anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità” (Isaia 53:10-11).

Possiamo afferrare la grazia solo nel Cristo crocifisso, nella pazzia della croce (1 Corinzi 1:23), sul Golgota, dove non vorremmo mai essere. Ricordo le parole che Gesù rivolse a Pietro dopo la risurrezione: “In verità, in verità ti dico che quand’eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti” (Giovanni 21:18).

Parole semplici, dolorose e inaccettabili per chi ama recitare più che vivere la vita nella prospettiva del regno di Dio. La strada che porta al Golgota è sdrucciolevole e la croce è greve. Se poi ti trovi nella condizione fisica ed emotiva tale da identificarti in chi è stato crocifisso vicino a Gesù, allora devi scegliere in quale dei due ladroni desideri riconoscerti.

Se sei vicino a colui che è stato sprezzante, non riuscirai a vedere nello sfigurato alcuna prospettiva eterna. Vorresti scendere dalla croce e continuare a vivere come prima: da brigante o nel disprezzo della vita tua e degli altri. Quindi anche se ci fosse qualcuno disposto a morire per te o ad aiutarti a scendere dalla croce non crederesti.

Se scegli di riconoscerti in chi umilmente ammette e confessa la propria fragilità, continuerai a stare sulla croce, che inesorabilmente conduce alla morte, ma con il volto illuminato dalla grazia e dalla promessa che un giorno tu sarai con Gesù in paradiso.

Gesù esplosione di vita. L’umanità di Gesù: equivoci

Gesù esplosione di vita. L’umanità di Gesù: equivoci

Francesco Zenzale – “Conosciamo il Signore, sforziamoci di conoscerlo! La sua venuta è certa, come quella dell’aurora; egli verrà a noi come la pioggia, come la pioggia di primavera che annaffia la terra” (Osea 6:3). “L’errore sta alla virtù come il sonno sta alla veglia. Ho notato che uscendo dall’errore si torna come ritemprati alla verità” – Johann Wolfgang Goethe.

Sin dalle origini, la storia dell’uomo, e più di ogni altra cosa del cristianesimo, è contraddistinta da considerevoli equivoci riguardo se stessi, il prossimo, Dio e in particolare l’umanità di Gesù.

Gesù stesso più volte ha dovuto correggere le aspettative messianiche degli apostoli, di sua madre e dei suoi fratelli. I discepoli sulla via di Emmaus, dopo la morte di Cristo, manifestarono la loro delusione nelle seguenti parole: “noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose” (Luca 24: 21). Eppure, Gesù era risorto e loro lo sapevano perché erano stati avvisati da alcune donne (Luca 24.22). Solo dopo diverse apparizioni i discepoli compresero di essersi sbagliati e, finalmente rinfrancati dalla delusione, gioirono della presenza del risorto.

Purtroppo, nel corso dei secoli, il rapporto uomo-Dio è stato contraddistinto da seri malintesi teologici con conseguenze anche luttuose. Sull’umanità di Gesù sono state scritte tante pagine, alcune falsando la realtà e il carattere di Dio, e la sua giustizia.

Alcuni credono che Dio avesse bisogno di sperimentare la sofferenza sulla sua “pelle”, per poi, intenerito dal dramma della nostra esistenza, decidere di pianificare la redenzione per cercare di salvare il salvabile. Un tale ragionamento è deviante, snatura il suo amore, la sua divina onniscienza, offrendoci un’immagine inappropriata del suo carattere e della sua natura. No! Dio non aveva bisogno di farsi uomo per acquisire una maggiore comprensione della natura umana deragliata dal peccato.

Altri sostengono che Dio aveva bisogno di giustificarsi nei confronti degli altri mondi e degli angeli per la condizione umana. Dio non è responsabile del dramma della sofferenza e della morte. La vera causa del dramma umano è che Dio è stato rifiutato da Adamo ed Eva nel giardino d’Eden. Poi è stato rifiutato dal suo popolo, al punto che l’autore del libro delle Lamentazioni scriveva: “è una grazia del Signore che non siamo stati completamente distrutti; le sue compassioni infatti non sono esaurite; si rinnovano ogni mattina. Grande è la tua fedeltà!” (3: 22-23). Gesù è stato rifiutato quando è nato ed è stato costretto a fuggire in Egitto. È stato rifiutato anche dai suoi compaesani a Nazaret, dai capi sacerdoti e dal popolo che lo fecero condannare e mettere in croce. Infine continua a essere rigettato dall’indifferenza che alberga nel cuore dell’umanità.

Diversi sostengono che Dio si è fatto uomo per indurre Satana e i demoni alla conversione, o per smascherarne i diabolici piani e giustificarne la distruzione.1 Semmai questo potrebbe essere considerato come effetto collaterale. È bene ricordare quanto è scritto e cioè che Dio non prova piacere per la morte dell’empio (o per le sue creature). Egli desidera che si converta (cfr. Ezechiele 33:11); e questo, indubbiamente, vale anche per Satana e per quella parte degli angeli che noi chiamiamo demoni.

 

Nota
1 Non è Dio che pone fine all’esistenza, ma il peccato (cfr. Genesi 2:17). Anche Satana e i demoni sono delle creature, benché di natura diversa rispetto alla nostra.

 

Gesù esplosione di vita. Il secondo Adamo (seconda parte)

Gesù esplosione di vita. Il secondo Adamo (seconda parte)

Francesco Zenzale – La Bibbia dice che Gesù è nato, è cresciuto ed è morto come uomo secondo l’Adamo dopo il peccato, soggetto alla natura deturpata dal peccato. Questo pensiero potrebbe indurci a ipotizzare che Gesù fosse destinato, dal giorno della sua nascita, a morire comunque per vecchiaia o per morte violenta o in un altro modo.

L’ipotesi che Gesù potesse morire di vecchiaia è deviante, pari a quella riguardante il futuro di Adamo – e dell’umanità – qualora non avesse peccato. Non abbiamo alcun riscontro e pertanto è un’ipotesi priva d’importanza. Inoltre, essa non tiene conto del fatto che Gesù – come lasciano intendere i vangeli – fosse ben consapevole del percorso molto breve della sua vita, sia in funzione della sua missione, sia perché il mondo odia ciò che non gli appartiene (cfr. Giovanni 7:7; 15:18; Marco 14.41; Giovanni 13:1), sia perché lo scopo fondamentale di Satana era quello di indurlo a peccare, perché solo in quel modo il suo regno di sofferenza e di morte avrebbe trionfato. Satana sapeva molto bene che la morte di Gesù da innocente avrebbe posto fine alla sua esistenza e al suo regno (cfr. Matteo 4:1 e segg).

Inoltre, le Scritture ci inducono a credere che Gesù sia stato ucciso perché la sua purezza morale e spirituale,1 la sua trasparenza e armoniosa relazione con il cielo (cfr. Matteo 26:42; Giovanni 4:34; 6:38; 10:30) costituivano un’aperta denuncia all’ipocrisia degli uomini del suo tempo, della loro religiosità come anche della nostra. E così, “Caiafa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: ‘Voi non capite nulla, e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo e non perisca tutta la nazione’” (Giovanni 11:49-50).

Queste sue peculiarità caratteriali, innegabilmente, pongono Gesù su un piano superiore rispetto a noi. Egli è “separato da noi peccatori”, non perché nato con la natura umana dell’Adamo prima del peccato, ma perché “santo, innocente, immacolato” (Ebrei 7:26).

Tuttavia, esiste una reale difficoltà nel comprendere la natura umana di Gesù; soprattutto in considerazione del suo concepimento per opera dello Spirito Santo. Se da una parte la Parola si fa carne, dall’altra essa è circondata dal mistero. Gli autori del Nuovo Testamento non svelano questo enigma. E se la sua nascita soprannaturale abbia determinato una sostanziale differenza fra la nostra e la natura umana di Gesù, non si esprimono. Certamente ci sono numerosi testi che avvicinano Gesù all’Adamo dopo il peccato, tuttavia è saggio non dissolvere, con presunte certezze, il beneficio del dubbio.

Senz’altro, come scrive l’autrice Ellen G. White, “con la sua umanità, Cristo si è unito agli uomini, mentre con la sua divinità siede sul trono di Dio. Come Figlio dell’uomo ci ha dato un esempio di ubbidienza; come Figlio di Dio ci rende capaci di ubbidire”. E ancora: “L’umanità del Cristo si unisce alla nostra umanità, e la nostra umanità si unisce alla sua divinità. In questo modo, attraverso l’opera dello Spirito Santo, l’uomo diventa partecipe della natura divina ed è accolto tramite il Figlio di Dio”.2

Note
1 Rivolgendosi a coloro che volevano lapidare la donna adultera, Gesù afferma che nessuno è senza peccato. Riferendosi invece alla sua persona afferma: “Chi di voi mi convince di peccato?” (Giovanni 8:46). Il suo traditore, in presenza dei suoi aguzzini dichiarò: “Ho peccato, consegnandovi sangue innocente”. Ma essi dissero: “Che c’importa? Pensaci tu” (Matteo 27:4). Così anche Pilato: “Avete fatto comparire davanti a me quest’uomo come sovversivo; ed ecco, dopo averlo esaminato in presenza vostra, non ho trovato in lui nessuna delle colpe di cui l’accusate” (Luca 23:14). “Pilato uscì di nuovo, e disse loro: ‘Ecco, ve lo conduco fuori, affinché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa’” (Giovanni 19:4).

2 E. G. White, La Speranza dell’uomo, Ed. Adv, Firenze, 1998, pp. 12, 519.

Gesù esplosione di vita. Il secondo Adamo (prima parte)

Gesù esplosione di vita. Il secondo Adamo (prima parte)

Francesco Zenzale – Nella Lettera ai Romani, Paolo fa presente che “se per la trasgressione di uno solo, molti sono morti, a maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo, sono stati riversati abbondantemente su molti” (5: 15).1

Questo confronto fra Adamo e Gesù pone tre specifiche domande. Il secondo Adamo, Gesù, aveva la natura umana di Adamo prima o dopo il peccato? Fino a che punto il figlio di Dio era veramente uomo in relazione all’umanità soggetta al peccato? Qualora non fosse stato soppresso, sarebbe invecchiato e quindi morto come uno di noi, oppure essendo trovato innocente sarebbe stato trasportato in cielo?

Nel corso dei secoli, i teologi hanno espresso conclusioni contrapposte in riferimento a Gesù come secondo Adamo. Alcuni credevano che avesse la natura di Adamo prima del peccato, altri quella dopo la caduta. Se pensiamo che Gesù abbia incarnato l’Adamo prima del peccato, ci troveremmo di fronte a una serie di problematiche di difficile comprensione ai fini della salvezza e della stessa natura umana di Gesù.

Adamo, prima di rivendicare la sua autonomia nei confronti di Dio, è stato creato adulto, dalla polvere della terra (cfr. Genesi 2:7) e sin dall’inizio ha avuto la gioia di vivere nella prospettiva eterna.2 L’albero della vita rappresentava il simbolo della sua eterna “giovinezza”, che Dio avrebbe garantito qualora con fiducia avesse scelto di vivere nel tempo e nello spazio a lui destinati. Gesù, al contrario, non è nato emancipato, direttamente dalle mani di Dio e dalla polvere della terra. Non gli è stato soffiato nessun alito di vita per muoversi nel tempo e nello spazio edenico e con l’albero della vita a sua disposizione, benché fosse lui stesso la vita (cfr. Giovanni 14:6). Gesù è nato ed è cresciuto come Abele, Caino, tu e io, sotto l’egemonia del peccato e di tutte le sue conseguenze degenerative che ineluttabilmente evidenziano la caducità dell’umana esistenza.

Per Adamo la morte è subentrata a causa del peccato e quindi se Gesù fosse nato secondo l’Adamo prima della trasgressione, per morire avrebbe dovuto peccare. Il profeta Isaia ci informa che Gesù è innocente (cfr. Isaia 53:9). Non ha sofferto o è morto per le proprie colpe. Inoltre, il testo evidenzia che è stato “trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità” (v. 5). Quindi le sue sofferenze e la sua morte sono a beneficio di altri… “di noi”. L’autore della Lettera agli Ebrei ci informa che Gesù “è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato” (4:15).

In vista della salvezza noi avevamo bisogno di un sommo sacerdote che simpatizzasse con noi nelle nostre debolezze, senza che cedesse alla tentazione, affinché potessimo accostarci “con fiducia al trono della sua grazia per ottenere misericordia e trovare grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4:16). Pertanto Gesù è nato con tutto ciò che implicava il peccato di Adamo. Ciò significa che il suo ipotizzabile “vicariato” deve essere compresso nell’ottica umana e non divina. Nel senso che Gesù si è fatto uomo – “uno come noi” – per porre fine all’uomo fragile e alienato da Dio.

L’apostolo Paolo ci informa che il Signore ha sconfitto la morte “mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne” (Romani 8:3). E siccome “siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua” (Romani 6:5).

 

Note

1 Per una maggiore comprensione leggere del capitolo 5 i versetti da 12 a 20.
2 Non ci è dato di conoscere il modo in cui la vita, o l’umanità, si sarebbe evoluta se Adamo non avesse peccato. Rimane un mistero.

Gesù esplosione di vita. Vero uomo

Gesù esplosione di vita. Vero uomo

Francesco Zenzale – Indipendentemente dal suo concepimento miracoloso, e non poteva essere diversamente in considerazione del fatto che è “l’io sono” (Gv 8:58), Gesù era del tutto umano, soggetto a solitudine, sofferenza, malattia e alle variegate vicissitudini della vita. “Tutti i Vangeli dipingono Gesù con tratti caratteristicamente umani. Aveva una forma fisica e dei bisogni umani che ci sono familiari. In certe occasioni si sentì stanco (Gv 4:6), affamato (Mt 21:18), e assonnato (Mc 4:38). Manifestava anche delle emozioni umane. In un’occasione memorabile pianse di compassione per i suoi amici (Gv 11:35). Apprezzava la compagnia umana e soffriva quando le persone lo respingevano (cf. Gv 6: 66,67). In breve, sebbene egli fosse una personalità straordinaria, non c’è niente, nella descrizione che ce ne danno i Vangeli, che potrebbe spingerci a descriverlo come ‘anormale’ o ‘non umano’.

Indubbiamente l’aspetto più significativo dell’umanità di Gesù era la sua esperienza morale. Egli poteva essere tentato e sottoposto a diverse lotte spirituali. I Vangeli descrivono queste esperienze in termini molto vividi (Mt 4:1-12; 26:36-44; Mc 14:32-39; Lc 4:1-13; 22:39-42). La Lettera agli Ebrei sviluppa il significato teologico dell’umanità di Gesù in modo ampio. É proprio la sua umanità che gli consente di accompagnarci nel quotidiano come Sommo Sacerdote. Per rappresentarci davanti a Dio, doveva essere uno di noi, ed egli lo è (2:18; 4:15). Si sottomise a tutte le condizioni essenziali. Di conseguenza il suo ministero sacerdotale apre ‘la via recente e vivente’ che ci dà accesso alla presenza di Dio (Eb 10:20)” – Richard Rice, The reign of God, Andrews University Press, p. 116.

Il celebre passo di Filippesi specifica cosa l’incarnazione abbia comportato per la divinità di Gesù (2:5-8). Secondo l’apostolo Paolo, Cristo Gesù era in origine di natura divina e godeva dell’uguaglianza con la prima persona della divinità. Ma egli annichilì se stesso, si umiliò e divenne ubbidiente fino al punto di percorrere la strada della sofferenza e della morte.

L’enfasi della lettera ai Filippesi è posta sull’immensa condiscendenza presupposta dall’incarnazione. Ciò attira l’attenzione più sullo straordinario cambiamento di condizione che Cristo accettò diventando uomo, che sulle qualità divine che lasciò. Egli discese da una posizione di suprema sovranità a una di completa sottomissione. Da Signore che era si fece servitore di tutti. Invece di dare ordini li ricevette. Sottomise la sua volontà alla guida del Padre fino al punto da accettare la morte più umiliante di tutte.

Gesù esplosione di vita. Vero Dio

Gesù esplosione di vita. Vero Dio

Francesco Zenzale – Per lo studio di oggi, riporto un estratto del libro Ascolta la Parola.

Facendo eco alle rivendicazioni implicite di Gesù alla divinità (Giovanni 8:58; 17:5; Marco 2:1-12), i primi cristiani parlano di lui come Dio (Tito 2:13; Ebrei 1:8; Romani 9:5) e lo chiamano spesso Signore (Atti 11:16; 19:17; 22:10; Romani 1:4,7; 10:9; Filippesi 4:5), non esitando, all’occasione, a usare superlativi quali “Il Signore di tutti” (Atti 10:36), “il Signore della gloria” (1 Corinzi 2:8), “Gesù nostro Signore” (1 Corinzi 9:1), “il Signore dei signori” (Ap 17:14; 19:16).

Scritto all’incirca sessantacinque anni dopo la risurrezione di Gesù, il Vangelo di Giovanni inizia con la seguente affermazione: “La Parola era con Dio, e la Parola era Dio” (1:1). Anche qui, il Figlio è chiaramente distinto dal Padre. Tuttavia esiste tra di loro una stretta comunione, infatti, la preposizione greca pros (con) non esprime solo una prossimità fisica, ma ancor più un’intimità di rapporto tra il Padre e il Figlio.

Questo stesso punto di vista risalta in Filippesi 2:5-11, dove Paolo descrive Gesù prima della sua incarnazione come esistente “in forma di Dio” (v. 6).

In questo brano, l’apostolo utilizza un termine greco che indica la somma delle caratteristiche che fanno di una cosa ciò che è – cioè la “sostanza” – e non semplicemente la forma o l’apparenza esteriore.

Il Cristo è celebrato come eterno (Matteo 28:20; 1 Giovanni 1:2), non creato, nato da nessuno (Giovanni 1:1; Apocaisse 22:13), santo (Ebrei 7:26; 1 Pietro 1:19; Apocalisse 3:17), immutabile (Ebrei 1:12; 13:8), onnipresente (Matteo 28:20; 18:20).

Dobbiamo stupircene? Come il Padre, egli è impegnato nelle opere divine della creazione (Giovanni 3:35; Colossesi 1:16), della provvidenza (Giovanni:35; Colossesi 1:17; Ebrei 1:3), del perdono dei peccati (Matteo 9:1-8; Colossesi 3:13), della risurrezione e del giudizio (Matteo 25:31-46; Giovanni 5:19-29; 2 Timoteo 4:1,8), della dissoluzione finale e del rinnovamento di ogni cosa (Filippesi 3:21; 2 Pietro 3:8-13; Apocalisse 21:5)

Aggiungiamo che se il Padre è degno di adorazione, altrettanto lo è Gesù Cristo. “Degno è l’Agnello, che è stato immolato, di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode”, cantano gli esseri celesti (Apocalisse 5:12). Ed è proprio volontà del Padre “che tutti onorino il Figlio come onorano il Padre” (Giovanni 5:23). Gli angeli stessi, su richiesta del Padre, sono chiamati ad adorare Gesù (Ebrei 1:6).

Nei brani menzionati – e in altri ancora – Gesù non è visto come un semidio, una parte di Dio o come uno simile a Dio ma, nel senso pieno del termine, come vero Dio. Molto spesso gli autori biblici sottolineano l’unità essenziale e l’uguaglianza che esistono tra il Padre e il Figlio. Tuttavia, non ci autorizzano a concludere che Dio è a volte Padre e a volte Figlio. Sono entrambi al tempo stesso uguali e chiaramente distinti.

Tratto da  G. Marrazzo, Ascolta la Parola, Ed. Adv, Firenze, 2004, pp. 20-22.

Gesù esplosione di vita. La grazia e l’uomo deturpato dal peccato

Gesù esplosione di vita. L’Emmanuele

Francesco Zenzale – Considerando che Gesù è l’Emmanuele, “che tradotto vuol dire: ‘Dio con noi’” (Matteo 1:23), la grazia umanizzata, è saggio esaminare la sua natura, soprattutto quella umana. Era stato annunciato dai profeti che il Signore avrebbe agito personalmente in favore dell’umanità (cfr. Ebrei 1:1-2), ma nessuno del suo tempo si aspettava che avrebbe operato come uomo o, secondo quanto affermato dal profeta Isaia, come servo. Farisei, sadducei e tutto il popolo si aspettavano un Messia politico, un guerriero, “una divinità” capace di porre fine al dominio romano e inaugurare, con la violenza, un nuovo ordine mondiale. Gli apostoli, al quanto ambiziosi, gareggiavano per essere fra quelli che avrebbero invaso la “stanza dei bottoni” (cfr. Matteo 20:21; Marco 9:33-37). Ma si sbagliavano!

Le loro aspettative furono disattese, la delusione li indusse da allontanarsi da Gesù e ad aver paura di morire come il loro Maestro. Le parole dei due discepoli sulla via di Emmaus esprimono con chiarezza il loro stato d’animo: “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose” (Luca 24:21).

Finanche di fronte alla tomba vuota faticavano a credere nel risorto e nella risurrezione dei morti. Tutto diventava strano, nebuloso, incerto. “È vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire; andate la mattina di buon’ora al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne; ma lui non lo hanno visto” (Luca 24:22-24).

Il dolce e determinato rimprovero di Gesù era appropriato: “‘O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno dette! Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?’. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Luca 24:25-27).

Forse anche noi, come gli apostoli, siamo ottenebrati dalle nostre convinzioni religiose, ancestrali e culturali. Queste ci impediscono di avere una corretta visione di Gesù, del valore esistenziale delle profezie, dell’altro e della stessa nostra esperienza di vita.

Comunque, noi crediamo in Gesù, siamo convinti che è veramente l’Emmanuele (cfr. Isaia 7:14), Dio con noi. Una straordinaria affermazione dietro la quale si cela il mistero della natura di Gesù: vero Dio, vero uomo. Questa è una delle tante dichiarazioni teologiche che possiamo cogliere implicitamente e con modalità diverse nella Bibbia, concernente la natura di Gesù. Indubbiamente sarà oggetto di attenta riflessione nei secoli avvenire, perché fa parte di quel mistero che avremo la gioia di comprendere solo dopo la beata speranza del suo ritorno.

Nell’attesa, innegabilmente, da una parte le Scritture presentano Gesù parte della natura divina tutte le volte che cercano di farci entrare nel mistero della sua persona; dall’altra, ci offrono la possibilità di cogliere la sua umanità quale unico e vincolante atto che Gesù poteva percorrere per porre fine al peccato ed essere per l’umanità ormeggio di salvezza, in qualità di vittima e sommo sacerdote.

Gesù esplosione di vita. Grazia e legge contrapposte

Gesù esplosione di vita. Grazia e legge contrapposte

Francesco Zenzale – Molti studiosi di fede evangelica favoriscono un singolare siparietto tra i due testamenti, affermando che la salvezza si conseguiva mediante l’osservanza della legge nell’Antico Testamento e per grazia, in virtù del sacrificio sostitutivo di Cristo, nel Nuovo Testamento. Questa ingiustificata contrapposizione è consequenziale a un’inesperta conoscenza biblica. Infatti, è sufficiente leggere il Vangelo di Matteo,1 come anche tutti gli altri libri e in particolare l’Apocalisse,2 per comprendere quanto il vecchio sia presente nel nuovo. Gesù stesso, sulla via di Emmaus, parla di sé e della sua opera a partire da Mosè: “Queste sono le cose che io vi dicevo quando ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi” (Luca 24:44; cfr. Luca 18:31; Giovanni 12:16). Così anche l’apostolo Paolo (cfr. Atti 13:29 e segg.; 24:14).

Ciò significa che l’Antico Testamento ha valore propedeutico a Cristo (cfr. Giovanni 5:39) o, se vogliamo, al Nuovo Testamento. Pertanto, il Dio della grazia che anticamente aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, “in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebrei 1:1-2) che è la rivelazione per eccellenza della sua grazia.

È dunque inesatto pensare che la legge sia contrapposta alla grazia. A meno che non si creda che la legge abbia qualche virtù salvifica. In tal senso è sufficiente leggere quanto scrive l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati per eliminare ogni dubbio. Egli afferma che non c’è stata data “una legge capace di produrre la vita”, se ciò fosse vero, allora sì, la salvezza sarebbe venuta dalla legge. Ma “la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto peccato, affinché i beni promessi sulla base della fede in Gesù Cristo fossero dati ai credenti” (Galati 3:21-22). Pertanto, la legge è “come un precettore per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede” (v. 24).

Scrive Richard Rice: “Come modello immutabile di giustizia, la legge definisce e condanna il peccato. Senza la legge non avremmo conosciuto cos’è il peccato (cfr. Romani 7:7,13; 1 Gv 3:4). É la legge a far sì che il peccato sia peccato. Ma, rivelando il carattere del peccato, la legge condanna pure il peccatore mostrando che merita di morire. Ironicamente, dunque, ciò che è originalmente e fondamentalmente fonte di vita diventa strumento di morte nelle mani del peccato. Come Paolo dice, ‘il comandamento ch’era inteso a darmi vita, risultò che mi dava morte’ (Romani 7:10). Poiché il peccato distrugge la capacità di osservare la legge, la legge non costituisce per il peccatore un mezzo per diventare giusto. Essa rivela che c’è un problema molto serio, ma non offre alcuna soluzione (cfr. Romani 3:20). Ci lascia semplicemente con una condanna a morte pendente sul nostro capo. Questo spiega perché Paolo fosse così preoccupato quando dei credenti si volgevano alla legge nel loro tentativo di guadagnare la salvezza (cfr. Galati 3:1-3). Essi cercavano di essere salvati da qualcosa che avrebbe potuto soltanto condannarli (cfr. 1 Corinzi 15:56). La salvezza deve giungere da una fonte diversa dalla legge. E cosi è. In Gesù Cristo, la giustizia di Dio si manifesta ‘indipendentemente dalla legge’ (Romani 3:21)” – R. Rice, The Reign of God, p. 183).

In breve, l’opera della grazia è proprio quella di stabilire saldamente la legge nel cuore dell’uomo, di scolpirgliela nel cuore, come dice la Bibbia con espressione efficace (cfr. Ebrei 10:10-11). Il credente adempie non “per essere salvato”, ma “perché è salvato”. L’adempimento della legge non è “un mezzo” di salvezza, ma “una conseguenza” di questa salvezza che è grazia ricevuta mediante la fede. Così, passando dal regime della condanna della legge a quello della grazia, il cristiano non è sotto la legge senza la grazia, né sotto la grazia senza la legge, ma “sotto la grazia con la legge”.

Note
1 Possiamo cogliere circa 70 citazioni.
2 Ci sono più di 500 citazioni dell’Antico Testamento e numerosissime allusioni ai vangeli e alle lettere dell’apostolo Paolo (Corinzi, Efesini, Colossesi, Tessalonicesi). Conseguentemente, è un’illusione voler comprendere l’Apocalisse, senza una buona conoscenza degli altri libri della Bibbia, da cui sono state estratte le citazioni, in particolar modo Daniele e Ezechiele.

 

Gesù esplosione di vita. L’esodo dei salvati

Gesù esplosione di vita. L’esodo dei salvati

Francesco Zenzale – In occasione dell’ultima piaga, motivata dall’ostinazione del faraone d’Egitto, che avrebbe colpito i primogeniti (cfr. Esodo 11:4-8), prima del giorno della liberazione, gli Israeliti sono invitati a compiere due atti di fede:
– sgozzare un agnello e spruzzare il sangue sugli stipiti e sull’architrave della porta come segno dell’accettazione per fede del dono della vita in favore dei primogeniti;
– arrostire l’agnello con la testa, le gambe e le interiora, e mangiarlo con pane azzimo ed erbe amare, senza lasciare alcun avanzo fino la mattina. Mangiarlo in fretta, con fianchi cinti, i calzari ai piedi e il bastone in mano pronti per partire (cfr. Esodo 12: 5-11).

Questi due gesti di fiducia sono intimamente legati al concetto di redenzione-liberazione in opposizione alla morte, quella dei primogeniti, e alla schiavitù etica, sociale e spirituale del popolo d’Israele. La Pasqua (Pesah, deriva dal verbo pâsah, che significa “passare oltre”), racconta il modo in cui Dio intendeva affogare la morte e la schiavitù del peccato, offrendo all’umanità la gioia della salvezza.

L’apostolo Paolo evidenzia che “la nostra pasqua è Cristo” (1 Corinzi 5:7). Ciò significa che Cristo ha pienamente realizzato quello che la Pasqua rappresentava. In Cristo, la morte è stata sommersa nella vittoria (cfr. 1 Corinzi 15:54-58) e in lui siamo anche stati liberati dalla schiavitù del peccato (cfr. Galati 5:1; Apocalisse 1:5). È iniziato un nuovo esodo, un convoglio di uomini e donne, con animali domestici e ogni altra cosa, disposti ad attraversare il mare e intraprendere un percorso di vita che conduce alla terra promessa: al regno di Dio.

In questo nuovo itinerario, Gesù ha voluto lasciare un segno della sua esperienza umana: l’eucarestia, ovvero un rendimento di grazie (cfr. Luca 22:14-19). Come la Pasqua, anche questo segno della sua presenza è caratterizzato da tre elementi: il pane, il vino e l’acqua (cfr. Giovanni 13). Il pane simbolo del suo corpo, il sangue simbolo della sua vita che è stata spezzata per noi e l’acqua simbolo della purificazione (cfr. Giovanni 6; Romani 6:1-5).

Mangiare, bere e lavare esprimono l’idea di completezza nel contesto domestico, ma anche spirituale. Nutrirsi spiritualmente di Gesù, significa appropriarsi della sua vita, lasciarsi addomesticare dalla sua grazia. Bere liberamente da Gesù, vuol dire lasciarsi dissetare dalla speranza dei nuovi cieli e della nuova terra, del regno che verrà, ma che comunque possiamo pregustare sin d’ora (cfr. Luca 17:21). Lavarsi idealmente in Gesù, significa vivere nella sua misericordia e in armonia con il prossimo (cfr Tito 3:1-5).

Nota
La Pasqua è la prima e la principale festa ebraica. Si celebra il 14 del primo mese (Abib o Nisan), tra marzo e aprile. Essa ricorda il passaggio degli Israeliti dallo stato di schiavitù a quello di libertà e la formazione del popolo ebraico come nazione unita e indipendente, con usi, costumi e leggi proprie. La Pasqua commemora l’uscita degli ebrei dall’Egitto dopo 430 anni di dura schiavitù sotto il giogo faraonico. Il ricordo di questa miracolosa “uscita” è divenuto il punto centrale della legge e della vita degli ebrei, tanto che questo pensiero si trova un gran numero di volte espresso in molti passi della Bibbia e nei libri di preghiere. Il nome della festa, Pesah, deriva dal verbo pâsah, che significa “passare oltre” (cfr. Esodo 12:12,13-23), perché il distruttore “oltrepassò” le case abitate dagli ebrei, lasciandone in vita i primogeniti. La festa viene anche chiamata “festa degli azzimi” (matstsah) perché per tutta la durata della festa è vietato cibarsi di sostanze lievitate e si mangia pane azzimo, in ricordo del pane che gli ebrei in fuga non ebbero il tempo di far lievitare (cfr. Levitico 23:6).

Gesù esplosione di vita. La grazia stroncata

Gesù esplosione di vita. La grazia stroncata

Francesco Zenzale – È “stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità” (Isaia 53:5). E, “dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni” (v. 10). Egli “renderà giusti molti, perché si caricherà della loro iniquità… egli ha portato il peccato di molti e ha interceduto per i trasgressori” (vv. 11, 12).

Volendo schematizzare questo illuminante brano profetico del servo sofferente e trionfante, possiamo evidenziare alcuni insegnamenti:
1. L’illustrazione dell’opera del servo del Signore è in perfetta armonia con il rituale del sacrificio per il peccato. Infatti, il sofferente è paragonato all’agnello “condotto al mattatoio” (v. 7). Ancora una volta ci troviamo di fronte al problema del peccato e il profeta, a partire dal rituale ebraico, cerca di illustrare il modo in cui Dio lo risolve.

2. Il testo rileva che il problema peccato non poteva essere risolto nel cielo, ma sulla terra. Giovanni ci informa che Satana è stato scaraventato con i suoi angeli sulla terra (cfr. Apocalisse 12:7-9). Ciò significa che il peccato, in tutte le sue conseguenze, doveva essere affrontato sul piano umano.

3. Il peccato non poteva essere eliminato dall’uomo, perché lui stesso ne è parte attiva, ma da un intervento esterno proveniente dal cielo. Ciò significa che la nostra limitata esistenza, come anche il nostro esito finale, è conseguente a un atto di grazia da parte di Dio.

4. La trasgressione, per essere estirpata, doveva essere avversata sulla terra e da un innocente. avendo come testimoni Dio stesso e l’intero universo.

5. La vittima, nella sua innocenza, si fa carico del peccato per annientarlo definitivamente nella sua stessa carne, per poi risuscitare e continuare a vivere. Infatti, il testo ci informa che il servo sofferente, dopo la morte “vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l’opera del Signore prospererà nelle sue mani. Dopo il tormento dell’anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto” (Isaia 53:10-11). Ciò significa che la vittima risorgerà perché ha vita in se stessa (cfr. Giovanni 5:26), oltre ad essere stato immolata irreprensibilmente. Infatti, in due specifiche occasioni Gesù chiarisce che egli “è la vita” e che poteva deporre questa sua “vita” per poi riprenderla (cfr. Giovanni 1:4; 14:6; 10:17).

6. Il brano evidenzia che Dio partecipa attivamente all’atto cruento del servo sofferente, mediante il quale pone fine al peccato in tutte le sue conseguenze. L’espressione “Piacque all’Eterno” è in perfetta armonia con Giovanni 3:16 e con altri testi del Nuovo Testamento (cfr. Romani 5:8; Efesini 2:4; 1 Giovanni 4:9, 10), nei quali si evidenzia che il sacrificio di Gesù è un atto d’amore della divinità in favore dell’umanità.1

7. Nell’umanità del servo sofferente e trionfante emergono due elementi determinati e integrativi per la sconfitta del peccato: “L’innocenza e la vita in se stesso”. Aspetti che non troviamo nell’uomo.

In breve, in contrasto all’uomo schiavo del peccato che torna a essere polvere, il servo di Dio oltre ad essere innocente ha vita in sé e può disporla come vuole. Se l’uomo vuole salvare la sua vita dovrà perderla, perché la vita, benché sia un atto di grazia da parte di Dio, è limitata nel tempo e nello spazio. In contrasto, il servo di Dio ha vita in esuberanza (cfr. Gv 10), non solo per annientare il peccato, ma anche per inondare d’eternità chiunque crede in lui (cfr. Gv 3:16). Dunque, un servo sofferente e vincente, come lo saranno tutti coloro che apriranno il cuore alla sua grazia (cfr. Ap 12:11).

Nota
1 “Piacque all’Eterno”. Questa espressione potrebbe essere equivocata, nel senso che Dio in qualche modo ha provato piacere nel vedere suo figlio morire. In realtà, nel contesto, il termine “piacque” indica semplicemente piena condivisione da parte della divinità nel portare avanti il piano della salvezza.

 

Gesù esplosione di vita. La grazia: l’uomo e il servo

Gesù esplosione di vita. La grazia: l’uomo e il servo

Francesco Zenzale – Una delle pagine più esaltanti della profezia riguardante Gesù e la sua opera si trova nel libro di Isaia. Celeberrimo è il brano in cui il Messia viene annunciato come un servo: “Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni. Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; manifesterà la giustizia secondo verità. Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge” (Is 42:1-4).

È sorprendente il modo in cui Dio si manifesta all’uomo: come un servo!1 Ancora una volta ci troviamo di fronte alla grandezza di Dio, che indubbiamente sbaraglia ogni tentativo di paragone con le divinità pagane. Niente violenza, forza bruta, sete di vendetta, particolari richieste (come quella di farsi delle incisioni sul corpo) per indurlo a far scendere fuoco dal cielo per bruciare l’olocausto, o convincerlo a scomodarsi rispondendo ai bisogni dei supplicanti, dopo incessanti ed estenuati preghiere (cfr. 1 Re 18:25-29). Niente di tutto ciò! Egli si presenta all’uomo come servo capace di promuovere un progetto rappresentativo della salvezza, che lui stesso avrebbe realizzato nella persona di Gesù Cristo in qualità di servo.

Fa costruire altari (alti luoghi) in ricordo delle sue epifanie o della manifestazione della sua grazia; invita gli Israeliti a costruire un santuario, adattandosi all’architettura del tempo, dandole un significato teologico da una parte demitizzante e dall’altra messianico, anticipando figuratamente il suo desiderio di “abitare” con il suo popolo (cfr. Esodo 25:8; Giovanni 1:14). E dopo aver molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, giunta la pienezza dei tempi, a compimento della profezia delle 70 settimane, si presenta all’umanità come servo.

La parola, che era con Dio ed era Dio, si fa carne condividendo la pienezza dell’umanità, tranne che nel peccato, per abitare2 un tempo fra noi, piena di grazia e verità (cfr. Giovanni 1:1-3, 14; Ebrei 2:14-18; 4:14-16). Un uomo che “non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci. Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza” (Is 53:2, 3) e con la morte. Spregiato, ignorato dai più e soprattutto da quelli “di casa sua” (Giovanni 1:11).

Un uomo, che nonostante sia “Parola di Dio”, si presenta all’umanità come un sottomesso che si applica nell’adempimento della volontà del Padre, con fedeltà, gioia, sobrietà e rettitudine, secondo verità. Senza mai frantumare “la canna rotta” o spegnere “il lucignolo fumante” (Matteo 12:20), cercherà di stabilire “la giustizia sulla terra”,3 con tenacia, fino al giorno del suo trionfo, dopo essere stato abbattuto perché aveva deciso di porre fine al peccato (cfr. Isaia 49:1-6; 53:4-12).

Note
1 In ebraico ‘ebēd Yhwh, in Greco Paîs Theoû. La radice della parola ebraica ‘ebēd, servo, è ricca di sfumature. Essa indica ogni rapporto di dipendenza: dello schiavo, del suddito, ma anche del dignitario, del ministro. Il verbo indica rendere culto e adorare. Nella lingua aramaica parlata da Gesù, a questi significati si aggiunge anche il senso di fare, operare.

2 Abitare, in greco eskénosen, letteralmente: venne a piantare la sua tenda.

3 La giustizia di Dio, in ebraico sédeq, saddiq; in greco dikaiosyne, dikaios. La giustizia di Dio è innanzitutto la concreta fedeltà al patto e si identifica con l’azione salvifica di Dio (cfr. Isaia 42:6-7; 45:8).

Gesù esplosione di vita. Dichiarazioni profetiche e grazia

Gesù esplosione di vita. Dichiarazioni profetiche e grazia

Francesco Zenzale – “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita!” (Giovanni 5:39, 40).

Nelle precedenti riflessioni, abbiamo avuto il piacere di cogliere quanto Cristo fosse rappresentato nel cerimoniale ebraico. Come scrive l’apostolo Paolo, egli era “la roccia spirituale che li seguiva” (1 Corinzi 10:4). In questa riflessione, anche se sommariamente, ci soffermeremo sugli annunci profetici, per avere un’idea di come Gesù fosse il Messia promesso.

“Mostrare come già nell’Antico Testamento esistessero delle ‘gemme evangeliche’ dove la dimensione del Dio che s’identifica con le sue creature, fino a condividerne sofferenze e morte, per espiarne le colpe, appare dipinta con grande forza affettiva. Ribadire come tra i tanti ipotetici messia che la tradizione ebraica poteva attendere all’alba della nostra era poteva trovare posto il “servo dell’Eterno” di cui parla il profeta Isaia (Is 53), un liberatore caratterizzato non dalla potenza del vincitore o del leader politico, ma dall’umiltà di chi accetta volontariamente la realtà dell’incarnazione” – Autori Vari, Siamo pieni di speranza, Iade, Ed. ADV, Firenze, 1992, p. 76.

Nelle stesse parole che enunciavano l’inevitabilità delle conseguenze del peccato, si celava la promessa del Redentore: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno” (Genesi 3:15).

Giacobbe, morente, potrà annunciare a Giuda suo figlio che lo scettro non sarà rimosso da lui “finché venga colui al quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli” (Genesi 49:10). Il Messia apparterrà alla posterità di Giuda, che è anche quella di Davide (cfr. Numeri 24:17-19; Deuteronomio 18:15-19; 2 Samuele 7:16; Luca 1:32,33; Matteo 9:27; 12:23; 22:42; Giovanni 7:42).

Michea annuncia la nascita del Messia a Betlemme (cfr. Michea 5:1; Matteo 2:1) e Zaccaria parla del tradimento che avrebbe fruttato per le tasche di Giuda trenta sicli d’argento, ma poi precisa che sarebbero stati usati per comprare il campo del vasaio (Zaccaria 11:12,13; cfr. Matteo 27:1-10). Davide parla di mani e piedi forati.

Affinché il momento della sua manifestazione tra gli uomini non si perdesse nel tempo mitico, indefinibile o fosse proiettato in un lontano futuro, Dio rivelò al profeta Daniele, durante il suo soggiorno alla corte di Babilonia (intorno al 538 a.C.), quando il Messia si sarebbe presentato, l’opera che avrebbe compiuto e il momento della sua morte. “Settanta settimane [di anni] sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo. Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane… Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui… Egli [il Messia] stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana [settantesima] farà cessare sacrificio e oblazione” (Daniele 9:24-27 ND).

Questo testo del VI secolo a.C. è la pietra angolare della profezia messianica. Per questo motivo il libro di Daniele era il più letto, consultato e studiato nel primo secolo avanti e dopo Cristo. Il brano citato indica il momento della “pienezza dei tempi” (Galati 4:4), in cui si sarebbe presentato chi, fin dal giardino dell’Eden, era stato annunciato come colui che, venendo, avrebbe stritolato la testa del serpente sotto il proprio piede e avrebbe subito la ferita che lo avrebbe fatto morire.

Nota
La profezia delle 70 settimane copre un periodo di 490 anni, che va dal 457 a.C. al 34 d.C. Per ricevere lo studio approfondito sull’argomento fare richiesta a: f.zenzale@avventisti.it

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