4 lezioniAnche se è stato ucciso, il poliziotto francese Ahmed Merabet ci parla ancora oggi. 

Keith Augusto Burton*/Notizie Avventiste/ARnews – Il 7 gennaio 2015 sarà, insieme al 7 luglio 2007 e all’11 settembre 2001, una data significativa nella lotta in corso contro il terrorismo. Parigi si unisce ora a Londra e New York in quanto luogo dove gli estremisti hanno usato la religione come scusa per giustificare il massacro di persone innocenti. In pochi istanti, 12 vite sono state annientate senza pietà e altre 11 persone ferite.

Pur se il numero delle vittime è notevolmente inferiore ai morti di New York, nel 2001, e di Londra, nel 2007, la natura dell’attacco ha trafitto il cuore dell’intera nazione. La Francia non viveva una simile tragedia in patria dal 1961, quando l’Organisation armée secrète rivendicò l’uccisione di 28 persone nell’attentato a un treno.

Come sappiamo, la maggior parte delle vittime appartenevano alla redazione di Charlie Hebdo, la rivista satirica che spesso aveva ridicolizzato la fede religiosa. Più di recente, la rivista aveva attirato l’attenzione internazionale raffigurando il profeta Maometto in modi da molti considerati offensivi. E, a quanto pare, i tre uomini armati che mercoledì hanno fatto irruzione nella redazione della rivista avevano solo una cosa in mente: vendicare il profeta. Essi hanno ucciso i loro obiettivi, tra i quali c’erano due agenti di polizia, uno di essi si chiamava Ahmed Merabet.

A giudicare dal nome, Ahmed era un musulmano. Quando l’assassino gli ha tolto la vita, Ahmed non sapeva che quell’uomo esprimeva la propria fede ripetendo la Shahada, “Non c’è altro dio all’infuori di Dio”. Anche lui, come Ahmed, recitava la Fatiah più volte al giorno, in cui entrambi chiedevano a Dio di guidarli nella Sirat al-Mustaqeem, “la via della giustizia”. Similmente al suo assassino, Ahmed era anche in attesa dello Yawm ad-Din, “il giorno del giudizio”, in cui Dio ricompenserà i giusti e punirà i malvagi. In altre parole, l’uomo che ha ucciso Ahmed era anche suo “fratello” nella fede; ma mercoledì, quando ha guardato Ahmed, ha visto in lui solo un nemico. Ora, quella vittima è un simbolo dell’irrazionalità che si trova dietro la violenza.

La morte di Ahmed fornisce un’altra lezione importante. Non ci è voluto molto perché gruppi di estrema destra in Francia utilizzassero la tragedia quale pretesto per attaccare moschee e negozi musulmani. Questi gruppi usano le tendenze terroristiche di una minoranza come lenti attraverso le quali guardare la maggioranza. Tuttavia, se uscissero dal loro ambiente ristretto, dovrebbero abbracciare Ahmed come loro concittadino la cui fede musulmana non gli ha impedito la piena integrazione nella società.

Ahmed aveva scelto un mestiere in cui doveva proteggere i diritti sia di coloro che ridicolizzavano la sua religione sia di coloro che un giorno avrebbero preso la sua vita. Ahmed ci ricorda che tutti i musulmani non sono terroristi. Vi è una terza lezione significativa che si può trarre dalla tragedia di Ahmed. La sua fede non gli ha impedito di lavorare in un servizio pubblico e questo è uno dei vantaggi di vivere in una società libera. Se la Francia avesse conservato la forma medievale di governo teocratico, uno come Ahmed non sarebbe mai stato accettato. E lui era anche senza dubbio consapevole del fatto che molti dei suoi colleghi agenti di polizia non avrebbero avuto posto nelle teocrazie modellate da alcuni dei suoi fratelli musulmani.

La società libera di Francia gli aveva permesso di essere francese e musulmano, e non lo avrebbe punito se avesse scelto di cambiare fede o rifiutare del tutto la religione. È il tipo di società che rispetta la coscienza di una persona e permette a tutti di scegliere il proprio cammino religioso. Lo stesso governo che garantisce la libertà religiosa di Ahmed, la garantisce anche alle altre confessioni, come la Chiesa avventista del 7° giorno.

La quarta lezione è strettamente legata alla terza. Infatti, è la libertà di parola che ha aiutato la crescita della chiesa in alcune aree del mondo. Dissenso e opinioni contrarie, si sa, non sono sempre facili da affrontare, ma non possiamo sostenere la libertà di parola quando riguarda i nostri interessi e negarla agli altri. Detto questo, è indispensabile riconoscere che la libertà di parola richiede responsabilità. Anche davanti alla tragedia di Parigi, dobbiamo ammettere che a volte affrontiamo le conseguenze delle nostre decisioni pubbliche. In una società veramente civile, nessuno dovrebbe temere ripercussioni violente per i commenti controversi espressi in un luogo pubblico. Tuttavia, dobbiamo ricordare che non tutti hanno questa visione del mondo. Purtroppo, quando le diverse visioni del mondo si scontrano, il risultato può essere tragico.

Ahmed Merabet dorme, insieme con gli altri uccisi, il sonno della morte. Ma nonostante ciò, egli ci ricorda che il luogo e le circostanze della nostra nascita non cambiano il fatto che siamo tutti figli di Dio. Cristiani, hindu, ebrei, musulmani, atei e agnostici sono preziosi agli occhi di Dio. La morte di Ahmed ci ricorda che non dovremmo mai giudicare un gruppo di persone in base alle attività di pochi. Come disse Paolo nel suo discorso nell’Aeropago, crediamo che i figli sinceri di Dio si trovano in tutti i luoghi (cfr. Atti 17:16-34).

Inoltre, dobbiamo sfruttare al meglio le opportunità di diffondere il Vangelo della pace. Cristo non ci ha mai chiesto di abbattere le altre religioni, ma semplicemente di innalzare lui. Mentre riflettiamo sulle lezioni tratte dalla morte di Ahmed, non dimentichiamo mai che “l’albero si riconosce dai suoi frutti”.

*Keith Augusto Burton è direttore del Centro avventista per le relazioni con i musulmani e docente di religione presso la Oakwood University

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