Luigi Caratelli – L’evangelista Matteo riferisce che Gesù contemplando Gerusalemme pronunciò le seguenti parole: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” (Mt 23:27).

È fuor di dubbio che la “città santa” presentasse dei problemi anche a Cristo. E non solo a lui. Gli zelanti religiosi del suo tempo pensavano che fosse indistruttibile, poiché credevano che godesse dell’eterna protezione di Dio. Nessuna speranza fu più mal riposta di questa. Quaranta anni dopo le parole di Gesù, Gerusalemme venne distrutta dagli eserciti di Vespasiano e Tito. Di quella Gerusalemme oggi rimangono le poche pietre del muro del pianto. E questa Gerusalemme rischia di diventare la miccia per accendere pericolosi fuochi.

Suonano abbastanza anacronistiche, oltre che pericolose, le parole che il premier israeliano Netanyahu pronunciò davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite il 28 settembre 2012: “Signore e signori” disse “Tremila anni fa, il re Davide regnò sullo stato ebraico, nella nostra capitale eterna, Gerusalemme… e lo Stato ebraico vivrà per sempre”. E ugualmente strane appaiono le più recenti dichiarazioni della giornalista Fiamma Nirenstein, che Romano Calvo, di Megachip, riporta nel suo blog: “Gerusalemme… da tremila anni è innanzitutto la città degli ebrei, dal ’50 la loro capitale divisa dai giordani, dal ‘67 la capitale unita” (Il Giornale, 6.12.2017).

Gerusalemme per sempre?
Gaetano Colonna (clarissa.it 9.12.2017) rileva come, se si vuole essere storicamente precisi e attendibili, l’esistenza di un governo ebraico sul territorio palestinese, con capitale Gerusalemme, è limitato al periodo 1.010 – 587 a. C. e, a parte la breve parentesi degli Asmonei (dal 125 al 64 a.C.), in tutti gli altri periodi storici, quel territorio e quella città, sono stati governati e abitati da un gran numero di “stranieri”. In ordine: cananei, filistei e altri fino al 1.010 a.C.; persiani dal 587 al 333 a.C.; greco-macedoni dal 333 al 125 a. C.; romani dal 64 a.C. al 395 d.C.; arabi-musulmani dal 700 al 1.516 d.C.; turco-ottomani dal 1516 al 1917 d.C.

“Se si tiene conto del fatto” aggiunge Colonna “che i 400 anni di dominazione ottomana sono stati in piena continuità (sia amministrativa che religiosa) con quella arabo-islamica, possiamo affermare che la forma di governo-dominio di quel territorio e di quella città, di gran lunga la più duratura nel tempo, è finora stata quella degli arabi-islamici (e che)… il popolo che più di ogni altro avrebbe diritto a rivendicare il possesso di quella terra e di quella città è quello dei palestinesi. I quali… non hanno bisogno di appellarsi alla ‘Storia’, ma semplicemente riferirsi alle carte delle Nazioni Unite. Carte che sanciscono, tra l’altro, che Gerusalemme Est è territorio dell’Autorità palestinese”.

È storicamente vero, invece, che solo nel 1980 il Parlamento di Israele approvò una legge per la quale veniva riconosciuta Gerusalemme capitale unificata dello Stato ebraico. Come è pure storicamente inoppugnabile che le Nazioni Unite si sono pronunciate a sfavore di tale legge israeliana, ritenuta “una violazione del diritto internazionale” e della risoluzione 181 della stessa Onu che immutata recita ancora oggi: “La città di Gerusalemme resterà un corpus separatum retto da un regime speciale internazionale”.

Quindi non è solo errato ritenere Gerusalemme, da tremila anni, capitale dell’ebraismo, ma è anche pericoloso affermarlo, in considerazione del fatto che tale dichiarazione viola diritti internazionali sanciti e più volte ribaditi.

C’è qualcosa che non torna.

Gerusalemme futura città della pace?
E qui devo concludere con una precisazione. Non sono un antisemita, lo dimostra il fatto che nei miei interventi e nei miei scritti ho sempre fatto ampiamente ricorso alla saggezza e alla religiosità ebraica, che amo moltissimo, e che riconosco fondante.

Ciò però non mi impedisce, in linea e in accordo con i pensatori più importanti dello stesso Israele, di fare una netta, dovuta, storica distinzione tra spirito ebraico ancestrale e spirito sionista.

I sionisti – più partito politico che rivendicatori di istanze e prerogative spirituali e religiose – dopo aver ottenuto, nel ’47, dal governo inglese la promessa della ricostituzione di uno Stato ebraico (peraltro legittimamente, soprattutto per dare una patria alle migliaia di pellegrini ebrei dispersi in tutta Europa), hanno accampato pretese che hanno più volte aggirato e ignorato le leggi internazionali. A loro è sempre interessato dominare su un pezzo di terra che vada dal Nilo all’Eufrate. A loro interessa che Israele sia degli ebrei, a qualunque costo. Ricordando spesso metodi di chi ha decimato proprio la loro etnia al tempo dei nazisti.

Contro tali metodi protestano i più influenti ebrei americani: quelli che detengono il vero potere negli Usa. Sì, loro sono stanchi di rivendicazioni e metodi arroganti e illegittimi.

Non solo i ricchi laici o religiosi ebrei americani, ma gli stessi pii israeliani, veri ebrei nello spirito, che da decenni cercano di contrastare tale deriva dei loro connazionali.

Mi riferisco al movimento Neturei Karta (parole aramaiche che significano “I guardiani della città), di cui riparlerò in conclusione.

Invece per il senatore repubblicano Gary Bauer, uno dei tanti sostenitori del “primatismo” sionista al Congresso americano: “La Bibbia è chiara: la terra è quella chiamata terra dell’alleanza, e Dio ha fatto il patto con gli ebrei che quella terra sarebbe stata loro per sempre”.

Già nel 1896, durante il Secondo congresso sionista a Basilea, un delegato di Kiev disse: “Gli ebrei respingono energicamente l’idea di fusione con le altre nazioni, e aderiscono strettamente alla loro storica speranza: l’impero mondiale”. Parole pericolose. Soprattutto perché i sionisti di Israele, e i loro sostenitori, sono proprio convinti di questo. Nonostante la Bibbia dica esattamente il contrario.

Proprio ieri, il Consiglio dell’Onu ha votato contro la proposta americana di una Gerusalemme israeliana. Ha opposto il veto soltanto l’ambasciatore statunitense, Nikki Haley, minacciando che la decisione è “un insulto” che “non sarà dimenticato”. In puro stile sionista, anche se d’oltreoceano. Per contro, e giustamente, l’ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Matthew Rycroft, ha affermato che il documento “è in linea con le precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”.

È all’epoca dei primi massacri dei palestinesi in terra israeliana (dopo la seconda guerra mondiale), uno dei capi del movimento Neturei Karta pronunciò queste parole amare: “Se per vedere tornare il Messia devo spargere sangue innocente, preferisco non vedere il Messia”.

Parole inascoltate dai messianici sionisti: il loro messia è la terra d’Israele da conquistare a ogni costo, sangue compreso. Anche da parte palestinese si è sparso e si continua a spargere sangue come acqua; anche i palestinesi più sinceri e più illuminati, però, sono stanchi di questo.

Quando insegnavo arte nel liceo avventista di Firenze, ebbi come preside un colto religioso che aveva ricoperto importanti incarichi amministrativi proprio in Israele. Lì avevamo una chiesa, mi raccontò, “che osserva tutt’ora un rito insegnato da Gesù: quello della lavanda dei piedi gli uni agli altri”. Bene, in quella comunità, questo rito era abitualmente eseguito da due fratelli che si abbracciavano, come consuetudine, al termine della cerimonia.

La particolarità? Uno era ebreo e l’altro palestinese.

Questo è il “profetismo” di cui avrebbe bisogno la Gerusalemme di oggi.

 

Condividi

Articoli recenti