Ha ricevuto schiaffi, sputi in faccia, insulti, false accuse, frustate; è stato ridicolizzato con una corona di spine, fischiato dalla folla ed è passato da un giudice all’altro. Eppure, il Figlio di Dio ha scelto la forma di difesa più insolita: il silenzio.

George Uba – Il famoso logoterapista Victor Frankl (era anche neurologo, psichiatra e filosofo, ndr), sopravvissuto a quattro campi di concentramento, tra i quali Auschwitz, ha descritto il comportamento del deportato che rinunciava alla lotta per la sopravvivenza: “Di solito iniziava una mattina con il rifiuto di vestirsi e lavarsi o uscire all’adunata. Nessuna supplica, nessun colpo, nessuna minaccia aveva effetto. Rimaneva semplicemente sdraiato senza muoversi. Se questa crisi fosse stata causata da una malattia, avrebbe rifiutato di essere portato in infermeria o di fare qualcosa per aiutare se stesso. Si era arreso”.[1]. Quando un uomo si rifiutava di parlare, di reagire a ciò che gli accadeva intorno, di comunicare con le persone a lui vicine, quando si limitava a prendere una sigaretta dalla tasca e aspettava ad accenderla, tutti sapevano che la sua fine era vicina.

Dopo il suo arresto, avvenuto in circostanze simili a quelle dei lager nazisti, ma con un’ulteriore tragedia, Cristo sembrò manifestare segni di rifiuto e di rinuncia alla vita. Le sue reazioni paradossali durante i sei interrogatori, completati in meno di ventiquattro ore, lasciano perplesso il lettore dei Vangeli. Forse Gesù cercava consapevolmente di dare ai suoi giudici ulteriori ragioni per condannarlo a morte? Avendo predicato il rispetto per la vita fisica e spirituale, che sono inseparabili, sembra illogico che Gesù fosse indifferente alla sua stessa vita. Tuttavia, i resoconti degli evangelisti, giudicati dal punto di vista della ragione umana, sollevano domande su alcuni degli atteggiamenti di Gesù nelle ore prima della sua crocifissione. La realtà inspiegabile delle reazioni di Gesù al finto processo deve avere una motivazione nascosta ai nostri occhi.

Una mancanza di tatto o… di impatto? 
Evidentemente, le azioni e le parole di Gesù erano "politicamente scorrette". Agli occhi dei sacerdoti, degli scribi e dei farisei, egli era una minaccia per la stabilità della vita religiosa e sociale del popolo ebraico. Questo era il pretesto usato per legittimare un processo segnato da irregolarità procedurali. Ma ciò che è ancora più scioccante è la mancanza di una difesa. Nessuno ha difeso Cristo e nessuno era indignato per l’ingiustizia del processo, ma ancora più sconcertante è che l’imputato stesso non ha fatto nulla per difendersi. E per infittire il mistero, il Padre, che aveva confermato in diverse occasioni di essersi compiaciuto in suo Figlio (Matteo 3:16-17), è rimasto in silenzio per tutta la passione di Cristo e anche al culmine della prova: la crocifissione.

È curioso che durante gli interrogatori, Gesù ha parlato più con il governatore romano che con i notabili ebrei che avevano la conoscenza per comprendere più facilmente gli aspetti spirituali delle sue dichiarazioni e idee. Quando Pilato gli ha chiesto se fosse il re degli Ebrei, Gesù ha risposto con una contro-domanda: " Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?" (Giovanni 18:34). Di fronte alle testimonianze contraddittorie e bugiarde, Gesù è rimasto "ingiustificatamente" in silenzio ma, alla diabolica insistenza del sommo sacerdote, ha confessato apparentemente senza alcuna logica di essere il Figlio di Dio, sebbene durante la sua vita avesse chiaramente cercato di impedire la proclamazione della sua messianicità.

"Se non hai intenzione di difenderti, almeno non incriminarti", gli avrebbe suggerito uno qualsiasi dei discepoli, se fosse rimasto con lui. Davanti a Erode, Gesù ha mantenuto lo stesso misterioso silenzio. Mentre Giovanni Battista aveva denunciato pubblicamente i peccati di Erode a rischio della sua stessa vita, Gesù non ha detto una parola quando è stato portato dal tiranno beffardo, curioso di vedere uno spettacolo miracoloso con il potente argomento a suo favore del potere di togliere o dare la vita. Per il testimone di queste scene, un tempo o ora, le domande seguono in agonizzante successione: “Perché? A cosa è servito questo silenzio? Chi ha vinto e chi ha perso?”.

La normalità dell’anormale 
Nel 1971, una delle sommosse carcerarie più sanguinose della storia degli Stati Uniti ha avuto luogo ad Attica, nello stato di New York. Il giorno prima della rivolta, oltre cinquecento detenuti sono entrati nella mensa e si sono seduti in fila, non per mangiare o pregare, ma con la testa china in un silenzio mortale per esprimere la loro sfida all’amministrazione penitenziaria e alle guardie che non rispondevano alle loro richieste. Un ex secondino ha ricordato in seguito che questo silenzio, questa protesta silenziosa, era un segno terrificante della ribellione a venire. Più di trenta prigionieri e dieci guardie sono morti nella sommossa.

Nella mentalità generale delle persone, è normale giustificarsi il più possibile o preparare silenziosamente la vendetta quando la rabbia è al culmine e la lotta è impari, per poi scatenare tutta la forza sull’avversario al momento giusto. Secondo la legge della rappresaglia, è naturale rispondere allo stesso modo. Per l’etica sociale, quando i tuoi diritti sono violati o quando ti trovi sotto processo, è normale dire tutto ciò che sai per difenderti, assumere il miglior avvocato e usare tutti i mezzi legali per assicurarti la vittoria.

Il prigioniero condotto davanti ad Anna e Caifa non si è appellato a nessuno dei diritti normalmente utilizzati da coloro che rischiano la reclusione o addirittura la morte. Non esisteva una forma di difesa valida e degna. Inoltre, Gesù non ha nemmeno spiegato perché avesse respinto le forme di difesa legale che erano molto apprezzate in una società disuguale, corrotta e competitiva. Settecento anni prima del suo processo, uno dei profeti dell’Antico Testamento lo aveva visto nel ruolo controverso di imputato silenzioso: "Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca” (Isaia 53:7). Il silenzio di Gesù durante il processo, che era stato predetto secoli prima, non viene spiegato nemmeno dal profeta Isaia.

Le parole del silenzio 
Il silenzio di Gesù è legato alla sua missione di salvare l’umanità dal peccato. Senza essere colpevole, egli ha preso su di sé il peccato dell’umanità che amava così tanto. Troviamo questo tema della sostituzione anche prima della sua crocifissione, nel suo stesso controverso silenzio: “Il silenzio è in realtà uno dei temi di spicco che possiamo rintracciare nella passione di Gesù Cristo… Quando Gesù Cristo ha preso su di sé il nostro peccato, ha preso tutta la punizione che accompagna quel peccato. Una parte di quella punizione è la vergogna. Se Gesù si fosse difeso e avesse professato la sua innocenza, non avrebbe sofferto alcuna vergogna, e questo ci avrebbe lasciato colpevoli… Gesù ha trattenuto ogni parola che lo avrebbe sollevato dalla vergogna e dalla colpa del peccato. Non era un peccatore, ma ha preso pienamente il posto del peccatore… In altre parole, se Gesù avesse preso le sue difese con l’intenzione di confutare i suoi accusatori e dimostrare la sua innocenza, avrebbe vinto! Ma noi avremmo perso e saremmo stati perduti per l’eternità”.[2]

Se il suo silenzio non è stato un’anomalia, ma una scelta che ha cercato il bene più grande per l’umanità, se la sua rinuncia alla giustificazione davanti ai giudici non è stata un abbandono della vita, ma un atteggiamento che ha aperto la porta alla salvezza umana, se il suo silenzio è stato un giudizio a nostro favore, allora diventa essenziale capir le ragioni di questo silenzio che ci parla del dono della grazia.

Gesù taceva perché era inutile e vano parlare quando siamo sordi e ciechi davanti alla verità. "Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?" (Marco 8:18).

È rimasto in silenzio perché le giustificazioni sono più una questione di dialettica umana che di Dio. Gli esseri umani si difendono, si scusano, ma Dio afferma e conferma se stesso. Non dimostra di essere il Creatore di questo mondo, lo afferma (Genesi 1:1).

È rimasto in silenzio perché se avesse parlato avrebbe dovuto accusare, e non voleva condannare. Nella vicenda della donna adultera, Gesù le chiese: “‘Donna, dove sono quelli che ti accusavano? Nessuno ti ha condannato?’ Ed ella rispose: ‘Nessuno, Signore’. Gesù allora le disse: ‘Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più’” (Giovanni 8:10-11, ND). Cristo sospende la condanna e attende la nostra decisione finale.

È rimasto in silenzio perché i giudici avevano già la "verità". Qualunque cosa avesse detto sarebbe stata irrilevante. Contava solo la loro verità. Erano capaci di morire per la loro causa, carica di orgoglio, e per la legge del sabato, soffocata da centinaia di regole umane, ma non erano in grado di riconoscere il Signore del sabato.

È rimasto in silenzio perché non era venuto a risparmiare la sua vita, ma a donarla per salvare gli uomini e le donne dalla morte, in modo che potessero imparare la lezione della resa totale: “Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la salverà” (Luca 9:24).

È rimasto in silenzio perché le sue opere e quelle del Padre testimoniavano di lui; non aveva bisogno di essere difeso dalla gente. Si difendeva con la sua vita giusta: “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: ‘Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori!’. Ma la sapienza è stata giustificata dalle sue opere” (Matteo 11:19).

È rimasto in silenzio, perché la sua difesa avrebbe polarizzato i peccatori in campi opposti, così aveva pregato suo Padre che fossero tutti uno: “Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17:20-21).

È rimasto in silenzio perché le sue parole erano al di là della comprensione umana. Le sue parole provenivano da un lessico sconosciuto a coloro che non erano disposti a rinunciare al linguaggio dell’illegalità: “Perciò molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: ‘Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?’” (Giovanni 6:60).

È rimasto in silenzio, perché la sua argomentazione sarebbe stata distruttiva. Il suo silenzio era in realtà una manifestazione di amore: “Il Signore, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per causa tua; si acqueterà nel suo amore, esulterà, per causa tua, con grida di gioia” (Sofonia 3:17).

È rimasto in silenzio perché era disposto a morire da colpevole! E questo giudizio veniva da suo Padre: “Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Corinzi 5:21). Senza peccato, Gesù era disposto a prendere su di sé ogni colpa umana, la colpa di tutte le persone di tutti i tempi.

Il silenzio che non salva 
In un mondo dove si parla troppo, inflazionato dalle parole, il silenzio di Gesù è uno scandalo che fa ragionare. L’insoddisfatto e umano “Perché?” richiede un giudizio sul silenzio di colui che è la Parola della vita. Affamata di giustificazione, la natura umana è prigioniera del detto latino: “Qui tacet, consentire videtur (Chi tace, acconsente)”. Alla radice di questo concetto c’è la visione secolare che l’individuo sia il proprio avvocato, la cui unica soluzione è salvare se stesso. Mentre le persone si difendono pronunciando il giudizio, Gesù Cristo tace.

Era in silenzio allora, è in silenzio ora. Tace solo quando ha detto tutto quello che aveva da dire: “Gesù non è venuto nel mondo per soddisfare una vana curiosità, ma per consolare i cuori afflitti. Non taceva certo quando poteva pronunciare parole di conforto per lenire le anime travagliate dal peccato. Ma non aveva parole per coloro che erano pronti a calpestare la verità con i loro piedi profani”.[3]

Giovanni Papini, nel suo libro sulla vita di Gesù, dà una spiegazione rivelatrice: “Gesù non ha parlato, ma con i suoi grandi occhi tranquilli ha guardato attorno a sé i volti turbati e convulsi dei suoi assassini, e per tutta l’eternità ha giudicato questi fantomatici giudici. In un istante, ognuno di loro è stato pesato e condannato da quello sguardo che è andato dritto all’anima. Erano degne di ascoltare le sue parole quelle anime imperfette, egoiste, vuote e insensate, quelle che non sono ulcerose e moribonde? Come avrebbe mai potuto, con il più impensabile dei prodigi, abbassarsi a giustificarsi davanti a loro?".[4] La tesi di Papini è che Gesù non taceva perché veniva giudicato, ma tacendo stava giudicando!

Il suo silenzio è stupore misto a impotenza, come quello di un padre che, avendo esaurito tutti gli argomenti di amore di fronte a un figlio insensibile e ribelle, sceglie di tacere. Il suo rifiuto di parlare davanti a Erode e ai sacerdoti che lo avevano accusato è l’ultimo tentativo di riabilitarli. Sì, il suo silenzio è un giudizio sul peccato e sul peccatore come risultato della decisione finale dell’umanità di mettere il suo giudizio al primo posto. Non è il silenzio di Gesù a porre fine all’amore, ma l’uomo che parla della propria giustizia. Alla fine, il silenzio del Cristo sarà una condanna udibile: "Non ti conosco" (Matteo 25:12). È l’espressione riecheggiata di coloro che hanno scelto di non conoscerlo nel suo ruolo di Padre e Salvatore, e che continuano a renderlo irrilevante nella loro vita. La scelta di questa condanna non è di Dio, ma dell’essere umano; il Creatore si limita a pronunciarla.

Il silenzio che salva 
Il ritirarsi del Figlio di Dio nel silenzio non è un rifiuto irrevocabile, ma un invito a farsi cercare da chi, stanco di tanto egoismo, fa la scelta vera e salvifica: “Veramente tu sei un Dio nascosto” (Isaia 45:15, ND). Il vuoto esistenziale nel cuore della persona ha la forma perfetta di Dio. Il primo passo del desiderio di vivere come Lui, fa uscire il Creatore dal suo “nascondiglio”.

Lo stesso silenzio entra nel processo all’umanità e sospende il giudizio che, pronto a pronunciare un’eterna assenza di vita, ferma l’accusa e lascia il tempo per la decisione finale. “Poiché la sentenza contro una cattiva azione non è prontamente eseguita, il cuore dei figli degli uomini è pieno di voglia di fare il male” (Ecclesiaste 8:11, ND). Anche se il rinvio del giudizio potrebbe essere interpretato come un’opportunità per vivere nell’illegalità, nel frattempo si presentano agli indecisi gli argomenti dell’amore incondizionato del Maestro di Galilea.

Il silenzio di Cristo è il punto di partenza per un esame di coscienza dell’uomo e il crocevia del cristiano, da cui la persona rinata può ripartire: il pentimento. “Hai fatto queste cose, io ho taciuto, e tu hai pensato che io fossi come te; ma io ti riprenderò, e ti metterò tutto davanti agli occhi” (Salmo 50:21). Il cristianesimo si basa sull’abbandono di tutte le scuse di fronte alla domanda redentrice: "Sei colpevole?". Iniziando a fare silenzio, la persona che riconosce la natura evidente e persistente del peccato sentirà l’avvocato difensore dire: "Assolto!".

Astenendosi dal parlare per esprimere la verità che condanna in modo esplicito (e che indurirebbe i cuori di coloro che non lo hanno definitivamente respinto), Gesù ripropone la grande possibilità di riabilitazione, che è la grazia. Il suo silenzio è la grazia applicata a ogni persona, indipendentemente dal male che pianifica e compie, perché nella grazia ci sono le risorse della Parola che trasforma la mente e dello Spirito di Dio che rinnova la vita.

Il silenzio di Cristo può portare, per grazia, l’uomo al silenzio, definito dalla fine di tutti i suoi sforzi per salvarsi. Allora, l’obbedienza e l’ingresso nel regno dell’amore del Salvatore lo condurranno a un secondo silenzio: "Il Signore, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per causa tua; si acqueterà nel suo amore, esulterà, per causa tua, con grida di gioia" (Sofonia 3:17).

Sarà un silenzio che conferma il passaggio dalla parte del silenzio dell’Agnello.

Note 
[1] V. E. Frankl, Man’s Search for Meaning (La ricerca di un significato per l’uomo), Beacon Press, 2006, p. 87. 
[2] A. Rogers, The Passion of Christ and the Meaning of Life (La passione di Cristo e il significato della vita), Crossway Books, 2005, pp. 130-132. 
[3] E. G., The Story of Jesus (La storia di Gesù), https://m.egwwritings.org/en/book/144.851 
[4] G. Papini, Life of Christ (Storia di Cristo), Alpha Editions, 1923, p. 320.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio] 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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