Capire la natura dell’essere umano è fondamentale per confrontarsi anche con i problemi della storia. Chi è l’uomo? Una macchina, un elemento produttivo? O semplicemente un animale? La Bibbia ci insegna che l’uomo è stato fatto a immagine di Dio. Questa sacralità dell’uomo, che in forma diversa fa parte anche del patrimonio morale dei non credenti, è alla base della sua dignità, dell’uguaglianza tra i popoli, del suo diritto a una vita esuberante. L’idea dell’immagine di Dio, che perdura nell’uomo come marchio indelebile del suo Creatore, è fondamento di tanti atti di solidarietà tra gli uomini: parliamo dei malati, degli handicappati, dei deboli.

È perché l’uomo è a «immagine» di Dio che tanti cristiani si adoperano anche in favore di chi ha sbagliato, di chi si trova nel vizio, dei tossicodipendenti, degli ammalati di Aids, degli alcolizzati. Ma parlare di «immagine di Dio» non è sufficiente. Ci sono infatti varie teorie relative alla natura dell’uomo che hanno inciso pesantemente sulla storia e sulla prassi delle chiese cristiane.

Per esempio, tradizionalmente, l’uomo è stato concepito secondo i criteri ellenistici che vedevano un’anima immortale imprigionata nel corpo mortale. A ciò era collegata una superiorità dello spirito sulla materia, con gravi conseguenze pratiche come, ad esempio, la svalutazione di ogni attività corporea. La divisione fra anima e corpo, spirito e materia, ha lasciato delle eredità che pesano ancora oggi: dalla diversa dignità del lavoro (quello intellettuale più considerato e remunerato), alla catastrofe ecologica, ecc.

Ma la concezione biblica è diversa; l’uomo è un’unità «psicosomatica», è un’anima vivente (cfr. Gn 2:7). Le distinzioni presenti nella Bibbia fra anima, spirito, corpo, carne, soffio esprimono, nella cultura del tempo, le varie manifestazioni dell’esistenza. È importante sottolineare tutto ciò per due motivi: il primo è che la chiesa deve adoperarsi per l’uomo «nella sua totalità», deve essere al servizio delle esigenze spirituali, ma se occorre anche di quelle fisiche, sociali ed educative.

Il secondo motivo, per cui una giusta concezione dell’uomo è fondamentale, riguarda il nostro destino dopo la morte. Se non esiste un’anima immortale, che ne sarà di noi? Fedele alla tradizione ebraica anche il Nuovo Testamento non parla della sopravvivenza dell’anima, ma di una risurrezione di ogni uomo alla fine dei tempi. Questa è la promessa di Dio. Le conseguenze dottrinali di questa visione dell’uomo che la Scrittura presenta e che la Chiesa Avventista accetta sono immaginabili: per esempio essa rende inammissibile il culto dei morti, la vita dell’aldilà, così com’è concepita da molti cristiani, lo spiritismo, ecc. La morte, che lascia l’uomo nell’incoscienza sino alla risurrezione finale, resta la sua grande nemica e non il passaporto per un’altra dimensione. Essa sarà vinta definitivamente al ritorno di Gesù (cfr. 1 Cor 15:52-54).

[Prossimamente un nuovo video sulla creazione; si tratta di una produzione avventista di buona qualità da consigliare anche ai propri amici]

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