N15-BeachNotizie Avventiste – Vi è una persona che, per oltre mezzo secolo, ha “costruito ponti di fede, amicizia e libertà” in diversi ambienti istituzionali del mondo. È Bert B. Beach, pastore avventista e plurilaureato, che ha servito la Chiesa come responsabile del dipartimento Affari pubblici e Libertà religiosa e ha saputo creare relazioni interconfessionali su scala globale, basate sul reciproco rispetto.
“Ambassador for Liberty” è il libro di memorie, pubblicato in inglese dalle edizioni Review and Herald Publishing Association, che raccoglie il ricco bagaglio di esperienze e di consigli di Bert Beach, ma anche un pezzo significativo della storia della libertà religiosa nel mondo. Un capitolo è dedicato all’Italia, perché Beach  giovanissimo è stato direttore dell’Istituto avventista di cultura biblica di Firenze per sei anni.
Oggi Bert B. Beach è in pensione, ha circa 85 anni, è sempre dinamico e mantiene intatti il carattere aperto e la verve umoristica che lo caratterizza.  Notizie Avventiste lo ha intervistato.

Notizie Avventiste: Nel suo libro di memorie ha riassunto il grande lavoro svolto in favore della libertà religiosa. Come si è evoluta la libertà religiosa negli ultimi 50 anni?
Bert B. Beach: Vado indietro di 65 anni. Il 1948, quando mi laureai al Pacific Union College in California, fu un anno di speranza. La seconda guerra mondiale si era da poco conclusa e la democrazia e la libertà avevano vinto sulle dittature e la tirannia. Pochi mesi dopo la mia laurea, le Nazioni Unite, da poco istituite, approvarono la Dichiarazione Universale dei diritti umani che all’articolo 18 affermava chiaramente e con forza la libertà religiosa. Il 1948 fu anche l’anno della fondazione del Consiglio Mondiale delle Chiese e le 147 chiese fondatrici approvarono un buon documento in sostegno della libertà religiosa.
Il cammino in favore della libertà religiosa proseguì nel 1965, quando il Concilio Vaticano II approvò la sua dichiarazione sulla libertà religiosa. Fu una vera svolta per la Chiesa cattolica romana, dopo una lunga storia di persecuzione dei non-cattolici. Il maggior successo per la libertà religiosa fu la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla Libertà religiosa del 1981, per la quale lavorammo per diversi decenni. I nostri sforzi ebbero successo grazie anche al mio collega, il dottor Gianfranco Rossi, che riuscì a far includere una frase in cui si afferma il diritto di ogni persona a osservare i giorni di riposo in conformità con i precetti della propria religione. Vi è anche l’Atto finale di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, in cui qualsiasi paese firmatario può esaminare la situazione della libertà religiosa in un altro paese firmatario. Una novità nelle relazioni diplomatiche internazionali.
Dopo il crollo del comunismo totalitario nell’Europa dell’Est, la Chiesa avventista fu ammessa con status consultivo presso il Consiglio economico e sociale dell’Onu (Ecosoc), obiettivo molto difficile da raggiungere quando il comunismo controllava ancora i governi di molti paesi.
Ci sono stati progressi nella libertà religiosa, ma sono sorti anche nuovi problemi.
Nei paesi musulmani del Medio Oriente, del Nord Africa e anche in altre parti dell’Africa, vi sono crescenti sforzi per limitare la presenza e la testimonianza cristiana.
Un altro problema che si è manifestato recentemente è il conflitto, potenziale e reale, tra la libertà religiosa e gli altri diritti umani. Si discute e sostiene che quando vi è conflitto tra diritti umani “concreti”, come guadagnarsi da vivere, controllo delle nascite o diritti degli omosessuali, e gli “eterei e celestiali” diritti di libertà religiosa, è quest’ultima che perde!

N. A.: Quali sono stati i problemi più difficili che ha dovuto affrontare?
B. B. B. : Certamente, i problemi di libertà religiosa nei paesi comunisti e quelli nei paesi cattolici prima del Concilio Vaticano II sono stati a volte molto difficili. In Albania, poi, erano “super difficili”. Vi era stato anche un martire avventista legato alla Chiesa italiana. A Tirana, dopo la caduta del regime ateo di Enver Hoxha, abbiamo organizzato il primo congresso sui diritti umani e la libertà religiosa mai realizzato nel paese, a cui hanno partecipato ministri del governo, leader religiosi, il rettore dell’Università. È stato uno dei momenti più edificanti della mia vita.
Senza dubbio, il maggiore e più difficile problema di libertà religiosa da affrontare è stato nei paesi musulmani. L’islam non comprende e non accetta il concetto di separazione tra chiesa e stato. Vi sono difficoltà nel praticare il culto cristiano tra i musulmani, che aumentano notevolmente se si vuole evangelizzare. Diversi paesi prevedono la pena di morte per chi si converte dall’islam al cristianesimo. La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sostiene chiaramente “il diritto di cambiare religione”. Se la dichiarazione non fosse stata votata 65 anni fa, non credo che oggi sarebbe stato possibile includere questo diritto. Troppo forte sarebbe l’opposizione di decine di nazioni musulmane. Anche i “musulmani liberali” in generale non approvano l’evangelizzazione cristiana tra i musulmani.
Un problema che abbiamo dovuto affrontare, e di cui non mi piace parlare, è un problema interno della chiesa. In diverse parti del mondo, gli avventisti supportano poco il dipartimento Affari pubblici e Libertà religiosa. Ciò avviene specialmente nei paesi in cui la situazione della libertà religiosa sembra relativamente buona e tranquilla.

N. A.: Nel frequentare ambienti molto diversi da quello della sua chiesa, ha mai avuto la sensazione di perdere la sua identità e le sue radici?
B. B. B.: Nella mia vita ho avuto il privilegio di incontrare e conoscere alcuni dei leader politici e soprattutto religiosi più importanti del mondo. Ho avuto la fortuna di avere alcuni di loro come amici personali. Ho scoperto che gli alti dirigenti sono spesso semplici e meno consapevoli della loro importanza rispetto a quelli che ricoprono incarichi di livello minore. Ho scoperto che i grandi leader possono essere veramente amichevoli. La cosa importante, se si vuole avere degli amici, è essere noi stessi amichevoli, come è scritto nel testo biblico di Proverbi 18:24.
Nei 32 anni in cui sono stato Segretario della Conferenza dei Segretari delle Comunioni Cristiane internazionali, ho fatto tantissime cose utili per “i miei amici”. Non ho mai sentito di perdere la mia identità. Ho sempre difeso la mia Chiesa e le sue convinzioni, e preso posizione per esse quando necessario. Sì, l’ho fatto sempre con rispetto e spero con umiltà, con un sorriso e, a volte, con humor, ma sempre con sincerità e correttezza.

N. A.: Secondo lei, la crisi economica può avere delle conseguenze sulla libertà religiosa soprattutto delle chiese di minoranza?
B. B. B.: Qualcuno ha affermato che la guerra, soprattutto quella prolungata, è pericolosa per la libertà. La crisi economica è una sorta di guerra latente. Più a lungo dura, più si colpisce tutti, specialmente i più deboli, i poveri e le minoranze. È evidente, quando il lavoro scarseggia, che i datori di lavoro sono meno disponibili a riconoscere il riposo del sabato o a trovare una soluzione in tal senso per i dipendenti avventisti. La migliore soluzione, con l’aiuto di Dio, è quella di essere il migliore dipendente possibile. Credo che un bravo datore di lavoro non vorrà perdere un dipendente eccezionale e coscienzioso. Nelle mie memorie cito un esempio eccezionale in Italia.

N. A.: Viviamo nell’era della globalizzazione eppure ovunque nascono nazionalismi radicali. Avendo vissuto, studiato e lavorato in diversi paesi dei vari continenti, si sente un cittadino del mondo? Quale consiglio darebbe ai giovani in questo senso?
B. B. B.: Sì, la globalizzazione è molto importante. Come Chiesa avventista abbiamo affermato, fin dagli inizi del nostro movimento, che alla fine ci sarebbero state due superpotenze: una politica e l’altra religiosa. Questa visione profetica sembrava molto improbabile nel 1863, quando è stata organizzata la Chiesa avventista del 7° giorno così come la conosciamo oggi. Gli Stati Uniti erano nel bel mezzo della guerra civile e si preoccupavano quasi esclusivamente del continente americano. La Chiesa cattolica romana sembrava implodere, stava perdendo il suo potere come Stato ed era sul punto di perdere Roma. La “globalizzazione” era praticamente inesistente. Oggi abbiamo solo due superpotenze mondiali, una è uno stato politico, l’altra una religione, una chiesa veramente “cattolica”. I giovani avventisti devono rendersi conto di ciò e riconoscere l’influenza della globalizzazione, nel bene e nel male.

Un grande potere e una grande influenza producono sempre una reazione che, purtroppo, a volte prende la forma di cieco nazionalismo incondizionato e di una contro-globalizzazione sotto forma di fondamentalismo religioso, meglio inteso come “estremismo religioso”. Il terrorismo attira alcuni giovani, mentre altri scivolano nel dogmatismo religioso e nell’isolazionismo.
Io mi considero americano e uomo con una visione globale. Gesù ha detto: “Il campo è il mondo”, ma ognuno di noi deve contribuire al “raccolto”, che è “la fine del mondo”. Credo che sotto il cielo italiano Dio abbia un compito per ogni persona da svolgere meglio di chiunque altro. Ellen G. White, nel libro Educazione cristiana, dice che Cristo scorge in ogni essere umano “infinite possibilità”. Infinito è più grande di nazionalismo, ma anche di globalizzazione. Invito il lettore a dirigere la propria vita in alto, verso la stella dell’”infinita potenzialità”!

Per leggere l’intervista integrale cliccare qui

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