Si dice che il tempo ci renda più saggi. Quanto lo siamo diventati dopo una pandemia globale con milioni di morti, una guerra ancora ai nostri confini, problemi economici e tante tragedie personali in cui siamo intrappolati come nella morsa di una grande tempesta?

Genia Rusco – Spesso le difficoltà che affrontiamo, da soli o insieme, sono le migliori maestre; sono le insegnanti coraggiose che ci mettono di fronte alla realtà, senza bugie o addolcimenti. Sono i tempi difficili a mostrarci anche che per le cose che contano siamo disposti ad affrontare ostacoli, a correre rischi e a fare tutto il necessario per ritrovare la sicurezza perduta.

Sebbene abbiano richiesto enormi sacrifici e capacità di adattamento a una realtà in continua evoluzione, le restrizioni dovute alla pandemia hanno pure fatto sperare che gli sforzi comuni avrebbero ridotto il tempo necessario per tornare alla “normalità”. Le persone hanno dimostrato di poter trovare il modo di andare avanti nonostante le difficoltà e l’ignoto.

Da un’altra prospettiva, gli ucraini fuggiti dalla guerra, lasciandosi alle spalle la minaccia della morte oltre che la vita come la conoscevano, hanno mostrato di avere la forza per ricominciare da capo in altri angoli del mondo. La solidarietà delle persone all’estero ha anche rivelato che i tempi duri possono insegnarci a rivalutare le nostre abitudini e il nostro modo di pensare, a essere più coraggiosi di quanto siamo in tempi di pace, di stabilità o di abbondanza, persino a spostare le montagne quando occorre.

Verità dolorose e memoria a breve termine 
Lo svantaggio di questa formula di apprendimento sta nel fatto che dimentichiamo rapidamente le lezioni delle avversità. In assenza di difficoltà e della nostalgia che generano (per i valori importanti), siamo facilmente influenzati dalle sfide intrinseche della vita: lo stress associato al lavoro, alle mancanze e ai fallimenti, l’eterna competizione con gli altri o la perfezione artificiale dei contesti online, gli eventi che ci impediscono di vedere il quadro più ampio e ci ingaggiano in battaglie stressanti con una posta in gioco troppo piccola per valere la pena di essere combattute.

Una delle conclusioni cui si è giunti negli ultimi anni è che le verità dolorose, e le lezioni apprese in modo arduo, sono immagazzinate nella memoria a breve termine.

Se durante gli eventi causati dal Covid-19 abbiamo abbracciato l’idea molto comune dell’“eravamo felici e non lo sapevamo”, nel periodo post-pandemia sono tornati i vecchi pensieri, insieme ai loro giudizi severi incentrati su ciò che è negativo, problematico o ostile. In altre parole, è riemersa l’abitudine di vedere soprattutto il lato vuoto e deludente della vita.

Questa esitazione tra i due diversi approcci mi ha invitato a dare un’occhiata più da vicino ai miei schemi di pensiero per migliorare il modo in cui mi relaziono con me stessa, con il mondo e con le mie esperienze quotidiane. Di certo, in una esistenza vissuta in fretta, dove il tempo vola a un ritmo sorprendente, allenarsi alla scoperta di sé non sembra essere una priorità. Tuttavia, quando consideriamo i benefici della conoscenza e della relazione con noi stessi, ci rendiamo conto che il tempo trascorso in questo modo non è sprecato. Riscoprire e usare le risorse latenti che abbiamo, per migliorare la nostra vita, dovrebbe essere in cima all’agenda di ognuno.

Piccole gocce 
Ho imparato che la persona migliore che può aiutarmi nei momenti di difficoltà sono proprio io. Questo non dovrebbe impedirmi però di chiedere (e offrire, naturalmente) sostegno quando ne ho bisogno.

La comunità ha un potere incommensurabile, ma le relazioni a due o in piccoli gruppi di persone hanno un potere incomparabile per coloro che lottano. La distanza fisica durante la pandemia, la necessità di interrompere i contatti sociali per prevenire la diffusione del virus hanno riaffermato l’importanza della comunicazione, della cooperazione e del sostegno reciproco nella società.

Allo stesso tempo, recenti esempi di impegno nell’aiutare i profughi ucraini hanno dimostrato che le persone non fanno del bene solo per ottenere qualcosa in cambio, come elogi, ricompense economiche o favori. A motivo della nostra umanità, l’esposizione indiretta a una grave crisi suscita empatia. Tuttavia, lo spirito di solidarietà espresso nelle situazioni di crisi va coltivato e replicato in contesti di vita spesso ignorati perché sono tanto comuni. Faremmo bene a ricordare che sono le piccole gocce d’acqua a formare un possente oceano.

La gioia delle piccole cose 
Gli ultimi anni mi hanno anche insegnato che prestare maggiore attenzione a ciò che è negativo non sopprime il positivo, ma lo rende invisibile. Durante la pandemia si è parlato molto della gioia delle piccole cose, però la ripresa della vita normale ha trasformato la gioia nella caratteristica frenetica degli esseri umani moderni, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo: emotivamente, fisicamente, materialmente, finanziariamente o spiritualmente.

Nella corsa quotidiana per la felicità, provo a ricordare la lezione delle “piccole cose” che ci rendono felici: non smettere di lottare per qualcosa in più, ma vivere con un cuore pacifico in ogni momento. Ci vuole un impegno consapevole per notare il bicchiere mezzo pieno, perché l’abitudine mi dice di considerare ciò che non funziona come previsto, quello che manca o che è in eccesso: vale a dire gli errori, le battaglie perse, le battute d’arresto e i fardelli. Quando questo accade, le parti buone sono lasciate indietro, come se non esistessero.

La chiave per mantenere la nostra attenzione su quanto conta davvero è essere grati, minuto per minuto, verso ciò che veramente riempie la nostra anima di pace, gioia, entusiasmo, forza, coraggio, passione, amore e fiducia.

Meccanismi di difesa 
Le sfide della pandemia e la necessità di lasciare la mia zona di comfort a causa di cambiamenti indesiderati, inclusa la perdita del lavoro, hanno rivelato aspetti nuovi su di me, alcuni non così piacevoli, ma altri addirittura gratificanti. Inoltre, hanno svelato i miei limiti, per certi versi più flessibili di quanto avrei pensato, in altri più rigidi, apparentemente insormontabili.

Mi ha fatto piacere scoprire quanto sia vero che la necessità è una buona maestra. E ho capito che non sono le situazioni difficili a renderci migliori, più forti e più saggi. Fanno solo emergere ciò che è già in noi, ci insegnano a mettere in pratica il “piano di emergenza” basato sul potenziale che trascuriamo in condizioni di convenienza e benessere esistenziale.

Quando non siamo costretti dalle circostanze a fare una cosa o l’altra, è più facile cadere preda di pensieri automatici e irrazionali che ci dicono che abbiamo poche possibilità di riuscita.

In queste circostanze, la paura di fallire prende il sopravvento e ci convince ad abbandonare la corsa prima ancora di cominciare. Entrano in azione meccanismi di autodifesa che ci dicono che è meglio rinunciare, piuttosto che provare e perdere.

D’altra parte, quando le circostanze ci costringono ad agire, non abbiamo più il tempo e l’energia per sottoporre ogni scelta allo stesso meticoloso processo di auto-sabotaggio. E poi, anche se finiamo per nuotare controcorrente, il nostro istinto di auto-conservazione ci fa combattere sino alla fine.

Di sicuro, gli eventi degli ultimi anni hanno messo alla prova i limiti di tutti noi. E molti hanno scoperto di essere più forti di quanto pensassero. Per me, la lezione di questo capitolo può essere riassunta nelle seguenti idee: 1) non sono le difficoltà, ma la loro mancanza, a renderci più vulnerabili; 2) non dobbiamo attendere l’insorgere di situazioni di crisi prima di identificare e utilizzare i nostri punti di forza; 3) non dobbiamo permettere ai pensieri automatici di “proteggerci” da possibili fallimenti dovuti all’inazione.

Il miraggio dei falsi bisogni 
Non sono mai stata una fan del consumismo, a maggior ragione ora che lo stile di vita imposto dalla pandemia ha svelato il miraggio dei falsi bisogni, il vuoto riempito dalle cose materiali, meglio se il più possibile costose e desiderabili agli occhi di tutti. L’azzeramento dei valori avvenuto in questo contesto mi ha confermato una verità ben nota: la semplicità è un tesoro sottovalutato del nostro tempo. Senza trascurare il fattore soggettivo che individua le scelte e il modo in cui le persone valutano i propri bisogni, potremmo dire che la semplicità, con la sua componente naturale e genuina, dovrebbe essere un principio essenziale del pensiero, del comportamento e della filosofia di vita.

L’esperienza della pandemia mi ha aiutato a sentirmi meno sotto pressione all’acquisto e, attraverso le difficoltà economiche, mi ha insegnato a gestire lo stress finanziario, a trasformare gli ostacoli in opportunità e a imparare buone abitudini di spesa basate sul medesimo criterio di semplicità.

Indubbiamente, una delle lezioni più importanti degli eventi recenti è rappresentata dai benefici paradossali di uno stile di vita minimalista. Quando le persone devono accontentarsi di meno, il cervello è costretto a trovare soluzioni innovative per raggiungere un buon livello di soddisfazione di vita, coltivare la disciplina e la moderazione, e cercare alternative per vincere la gara, non solo per sopravvivere ma per godere della vita fino in fondo.

Le cose che contano 
Se i tempi difficili ci plasmano attraverso la necessità di adattamento, l’introspezione ci porta oltre, dandoci l’opportunità di vivere in modo assertivo, impegnato, consapevole, e non con il pilota automatico o in avanzamento veloce, senza metterci alla ricerca degli strati più profondi dell’esistenza.

Esplorare l’universo interiore, ma anche le lezioni che la realtà oggettiva ci offre, contribuisce alla nostra crescita spirituale, nonostante le condizioni siano scoraggianti e precarie.

Dopo il recente passato, sappiamo che non si nasce con un libretto di istruzioni, che ognuno ha un percorso diverso da seguire, disegnato per insegnare a ciascuno la felicità, la compassione, l’autenticità e l’importanza di aprirsi a nuovi orizzonti.

Sappiamo che non tutto ci è utile e abbiamo il dovere di essere selettivi riguardo alle cose a cui diamo un posto privilegiato nei nostri sistemi di valori, nella nostra pratica e nei nostri cuori. Sappiamo che lo dobbiamo a noi stessi per mantenere e rispettare le nostre convinzioni, allo scopo di vivere in accordo con ciò in cui crediamo e con le cose che contano.

Per me, la rivelazione più recente è anche la più spaventosa: non è la morte la fine dell’esistenza qui e ora, ma una vita vissuta senza gioia, secondo il capriccio delle circostanze fluttuanti, un’esistenza egoistica, spersonalizzata, persa nel rumore della fatica quotidiana.

Qualcuno ha affermato che alcuni trovano un problema per ogni soluzione. Cosa penso che dovremmo fare con le lezioni, gli insegnamenti e le rivelazioni che l’esperienza ci offre? Trasformarli in soluzioni e non in problemi che ci tengono bloccati nelle stesse abitudini limitanti.

(Genia Ruscu ha un master in counselling nel campo del lavoro e dei servizi sociali. In questo articolo riflette su ciò che le difficoltà della vita possono donarci, con l’obiettivo di trasformarle in preziose occasioni di apprendimento, ma anche di riconciliazione con se stessi, con gli altri e con Dio)

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

 

 

 

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