Un ritratto dell’ideatore del codice di lettura e scrittura più utilizzato dai non vedenti. Uomo tenace, innamorato della vita, mise al servizio del prossimo la sua curiosità e la sua sete di conoscenza.

Norel Iacob – Louis Braille ha detto: “Dio è stato felice di mostrare ai miei occhi lo splendore abbagliante della speranza eterna. Dopo di questo, non vi pare che nulla potesse tenermi legato alla terra?”. 

Guardava affascinato le mani di suo padre, che producevano ogni sorta di forme e oggetti bellissimi. Non sapeva cosa avesse in mente suo papà per il suo futuro, desiderava solo, con l’innocente semplicità di un bambino di tre anni, realizzare cose belle come il suo genitore. 
Con gli occhi scrutava il pavimento quando un pezzo di cuoio abbastanza grande catturò la sua attenzione. Poi Louis iniziò a cercare con gli occhi un coltello con cui tagliarlo. Il suo grido acuto spezzò la monotonia dei soliti suoni nel laboratorio paterno. Il coltello era rimbalzato dalla pelle conciata finendo dritto nell’occhio destro del piccolo artigiano.

Pochi istanti dopo, mentre si precipitava per le strade del paese con Louis in braccio, Simon-René non riusciva a contenere la disperazione e il senso di colpa. Aveva perso di vista suo figlio solo per pochi momenti. Se solo avesse potuto riportare indietro l’orologio di qualche decina di secondi… Scosse la testa e le lacrime dalle guance si versarono a terra.

Aumentò il passo, determinato a fare tutto ciò che era umanamente possibile per salvare l’occhio di Louis. Raggiunse la casa dell’anziana donna che offriva guarigione a tutti coloro che andavano da lei. Guardò la donna mentre prendeva una bottiglietta dal suo armadio e metteva qualcosa sugli occhi del bambino. “Se esiste una bottiglia del genere, ci deve essere un buon rimedio per Louis”, pensò Simon.

Simon-René Braille, il padre di Louis, si sbagliava. L’estratto di ninfea aveva probabilmente fatto più male che bene al piccolo. Presto anche l’occhio sinistro si infiammò. La cornea dell’occhio destro divenne opaca, mentre l’occhio sinistro conservava alcuni puntini del blu dei grandi occhi del bambino dai capelli biondi e riccioluti.

"L’unica cosa peggiore dell’essere ciechi è avere la vista ma nessuna visione" – Hellen Keller.

La tragedia del piccolo Louis sembrava annunciata dal momento in cui era nato. Era così piccolo e indifeso da riuscire a malapena a nutrirsi al seno di sua madre. I suoi genitori lo avevano battezzato il giorno dopo la sua nascita per paura che morisse. Louis era sopravvissuto e mamma e papà erano particolarmente legati a lui per le intense emozioni che avevano provato. Per loro era diventato il "piccolo Beniamino", il più giovane figlio amato, secondo il modello familiare biblico del patriarca Giacobbe.

Ma ecco che, dopo soli tre anni, la tragedia che l’aveva sfiorato alla nascita pretese una crudele punizione. All’età di cinque anni, Louis era completamente cieco e sembrava condannato alla miserabile vita riservata ai non vedenti nei paesi francesi dell’inizio del XIX secolo. I suoi genitori si rifiutarono di accettare un simile destino. Avevano una visione differente. Volevano che il loro ragazzo andasse a scuola e avesse la possibilità di una vita normale. Così, fin dalla tenera età, aiutarono Louis a imparare le lettere dell’alfabeto scolpite nel legno in modo che le sue dita potessero riconoscerne le differenze.

Edelweiss, una stella alpina 
A quel tempo la gente non guardava di buon occhio i disabili. Vi era sempre il sospetto che ci fosse qualcosa di malvagio in loro e che fossero sordi, muti o ciechi per un dato motivo. L’intelligenza e la curiosità sconfinata di Louis dovettero superare il pregiudizio per essere notate. Poi, un nuovo sacerdote arrivò nel villaggio.

Padre Jacques Palluy, ex monaco e persona colta, riconobbe subito il potenziale del giovane Braille. All’ombra degli alberi vicino alla chiesa o in canonica nei giorni di maltempo, padre Jacques introdusse Louis all’affascinante mondo della conoscenza. Quell’anno straordinario trascorso con il sacerdote piantò nel suo cuore il desiderio di mostrare a tutti amore, gentilezza e umiltà.

A sette anni Louis iniziò a frequentare la scuola del paese. Un altro bambino lo conduceva per mano da casa a scuola e ritorno. Dopo tre infelici anni di povertà e guerra, gli fu offerta una possibilità. I suoi genitori la colsero e, superando il loro dolore dinanzi alla prospettiva del nido vuoto, inviarono Louis nell’unica scuola per ciechi di Parigi. Il vecchio e malmesso edificio in Rue Saint-Victor aveva più di 200 anni, ma rappresentava la scelta migliore per Louis. Il fondatore della scuola, Valentin Haüy, era uno studioso che parlava dieci lingue ed era stato traduttore di re Luigi XIV.

A Parigi, Louis si dimostrò uno studente brillante in tutte le materie. Scoprì anche la passione per la musica e divenne un pianista e un organista così affermato che a 16 anni gli fu assegnata la posizione retribuita di organista nella chiesa vicino alla scuola. Per il resto della sua vita, avrebbe lavorato come organista in diverse chiese di Parigi. 
Anche il suo spirito di sacrificio si stava sviluppando, come dimostrò una volta quando rinunciò al suo incarico di musicista di una chiesa a favore di un’altra persona cieca che ne aveva più bisogno di lui.

Quando nelle scuole fu introdotto il sistema di scrittura tattile di Charles Barbier, ideato per consentire ai soldati di Napoleone di leggere gli ordini al buio, Louis ebbe la sensazione di poter creare un sistema migliore. Da allora, dedicò ogni momento libero al suo speciale progetto, a volte lavorando fino a tarda notte.

Aveva solo 15 anni quando completò il suo alfabeto per ciechi, che in seguito perfezionò e che ora è conosciuto come alfabeto Braille. Dal momento che Louis era appassionato di musica, adattò il suo sistema di punti in rilievo per trascrivere gli spartiti. I risultati della sua ricerca e il nuovo alfabeto furono pubblicati nel 1829.

Un ritratto di Louis Braille 
A 19 anni Braille divenne assistente del maestro di scuola dove era stato allievo, e dopo cinque anni gli fu affidata una cattedra fissa. Insegnò grammatica, ortografia, lettura, geografia, storia, aritmetica e algebra. Era un docente così popolare che gli alunni "competevano tra loro non solo per essere pari o migliori l’uno dell’altro, ma anche per mostrare impegno sincero e continuo, e così compiacere il loro insegnante che amavano come un superiore rispettato, un amico saggio e illuminato, traboccante di buoni consigli".[1] Tutto questo nonostante Louis fosse celebre per la sua severa e tempestiva disciplina con quegli allievi che si comportavano male. Era risoluto, di sani principi, perseverante, perfezionista e allo stesso tempo disprezzava eccentricità o falsità.

Louis Braille non cercò la fama. Non esitò mai ad affermare quanto fosse in debito con Charles Barbier e la sua invenzione che lo ispirò a sviluppare il proprio alfabeto. E continuò a farlo anche dopo che Barbier cominciò a lottare contro l’alfabeto Braille nel tentativo di imporre la propria invenzione come strumento ufficiale per insegnare ai non vedenti.

Un cieco che amava la luce 
L’infausta piaga che colpì l’Europa nel XIX secolo, la tubercolosi, pose fine prematuramente alla vita di Louis. La sua malattia probabilmente fu causata dalla terribile insalubrità della scuola di Parigi dove aveva trascorso 24 dei suoi 43 anni, come studente e poi come insegnante. Morì due anni prima che l’alfabeto Braille fosse ufficialmente riconosciuto e adottato in Francia.

Nel corso del tempo, il contributo unico di questo genio umile e altruista divenne così importante che, 100 anni dopo la sua morte, il governo francese riconobbe a Louis Braille un posto nel Pantheon. Ad oggi, soltanto altre 74 personalità francesi di spicco sono lì sepolte. 
Anche se nel 1852 sui giornali francesi non apparve alcuna notizia della sua morte, un secolo dopo i dignitari di tutto il mondo si recarono a Parigi per rendergli omaggio. Hellen Keller, scrittrice americana cieca e sorda, tenne un discorso d’effetto in cui affermò: "Noi ciechi siamo in debito con Louis Braille quanto l’umanità lo è con Gutenberg".

Il 15 dicembre 1851, sentendo che la sua vita volgeva al termine, Louis chiamò un sacerdote cattolico per ricevere i sacramenti. Il giorno dopo si sentì meglio, il che lo portò a confessare al suo amico Hippolyte Coltat: “Ieri è stato uno dei giorni più belli e più importanti della mia esistenza. Quando l’hai sperimentato, capisci tutta la maestosità e il potere della religione… Sono convinto che la mia missione sulla terra sia stata compiuta… È vero, ho chiesto a Dio di portarmi via dal mondo, ma ho sentito di non averlo chiesto con forza".[2]

Poco prima di spirare, aggiunse: “Dio è stato felice di mostrare ai miei occhi lo splendore abbagliante della speranza eterna. Dopo di questo, non vi pare che nulla potesse tenermi legato alla terra?”.

Nel suo testamento, Braille fu accurato nel menzionare il perdono di tutti i debiti che gli erano dovuti da altri, garantì un vitalizio a sua madre, dei benefici per altri componenti della sua famiglia e donò il resto dei suoi risparmi in beneficenza e alla Chiesa cattolica.

Quando morì, il suo viso portava i segni di una lunga sofferenza. Ma come ha ricordato Hyppolite, neanche una vita di dolore poteva cancellare il gentile sorriso che gli illuminava sempre il viso.

(Norel Iacob è direttore di Signs of the Times Romania e ST Network)

Note 
[1] C. M. Mellor, Louis Braille. A Touch of Genius (Louis Braille. Il tocco del genio), National Braille Press, Boston, p. 68. 
[2] Ivi, p. 2.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio]

 

 

 

 

 

 

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