A volte basta poco per cambiare prospettiva e affrontare le difficoltà con uno sguardo nuovo. La storia del piccolo Braden e del dono sorprendente ricevuto dalla sua mamma.

Braden Blyde – Sono stato un bambino cagionevole. Se non avessi preso un banale raffreddore, sarebbe stato qualcosa di più esotico, come la pertosse o la bronchite. 
A questo si aggiungeva una lotta costante contro l’asma. Per molti anni il mio compagno più fedele è stato un inalatore di Ventolin: era diventato naturale usarlo al primo segno di attacco.

Mi ero abituato a stare sdraiato sul divano mentre gli amici lavoravano in classe e come ogni bambino mi piaceva (ho addirittura finto almeno una o due volte). Ben presto, però, mi sono stancato di quei cartoni animati infiniti e senza senso, e il mio tempo libero si è trasformato nella tana più solitaria che si potesse immaginare.

Quando non sono più andato a scuola, i miei compagni di classe hanno imparato a non sorprendersi. Il mio soprannome “Snotty” (moccioso ndr) resiste ancora oggi. Snotty ero, e snotty sono.

Avevo appena cominciato le scuole superiori quando sono stato colpito da una diagnosi: una combinazione di mononucleosi e febbre da virus Ross River. E mi ero appena ripreso da un attacco di pertosse avuta l’anno prima. Insomma, ero all’altezza della mia fama: quando mi ammalavo, lo facevo per bene.

Il malanno mi ha reso stanco e sofferente, con un dolore incessante alle ossa e articolazioni rigide e scricchiolanti. Ancora oggi tirarsi su dal letto è come svegliarsi con un rullo di tamburi: scricchiolii, crepe e schiocchi dappertutto. Ogni giorno mi alzavo tardi la mattina in una casa vuota; mi trascinavo stancamente con la mia trapunta davanti al televisore, mi appisolavo lì, mi svegliavo per il pranzo, dormivo ancora un po’, mi alzavo per la cena e poi tornavo a letto.

Mentre i giorni diventavano settimane, guardare le lancette dell’orologio girare lentamente era troppo doloroso; quindi, il tempo era scandito dalla triste progressione della televisione durante il giorno, da Oprah (celebre conduttrice televisiva statunitense, ndr) ai film del mezzogiorno fino alle telenovele e al palinsesto iperattivo dedicato ai bambini.

I miei genitori erano al lavoro e mio fratello e tutti i miei amici a scuola. Non c’era niente che potessi fare per unirmi a loro, sempre bloccato nel mio stato di semi-veglia e sfiancato da una passeggiata sino alla cassetta della posta. La monotona routine settimanale si è trasformata in mesi. Pareva che niente potesse tirarmi fuori da questa situazione. Il tempo era l’unica terapia che qualsiasi medico potesse prescrivermi, quindi ho aspettato. Ho atteso il giorno in cui avrei potuto dare un calcio a un pallone o ridere con i miei amici.

Era un giovedì sera ventoso all’inizio dell’inverno e mia mamma era appena rientrata da una puntatina di shopping dopo il lavoro. Entrando in salotto mi ha salutato come ogni giorno con un sorriso comprensivo e un abbraccio. Si è avvicinata tenendo qualcosa di nascosto tra le mani e un sorriso la illuminava.

"Ti ho comprato una cosa" ha detto.

Uno stanco "Ohhh" mi è sfuggito dalle labbra ma non esprimeva bene la curiosità che provavo mentre la mamma svelava il suo regalo. Davanti a me c’era un paio di pantofole, le più grandi e sgargianti che avessi mai visto! A forma di zampa di leone con dei grossi artigli che spuntavano dai ditoni arancioni.

“Oh, forti!” le ho risposto rimanendo seduto, nel modo più convincente possibile. Tenevo quelle zampone tra le mani esaminando la pelliccia morbida e gli artigli curvi prima di indossarle. Era la prima volta che sorridevo da molto tempo e almeno per un istante la nuvola scura della monotonia si era diradata. Forse, dimenticai persino di essere malato.

Nei giorni seguenti le pantofole non hanno mai lasciato i miei piedi e quando lo hanno fatto si sentiva un odore di sudore stantio. Penso che questa esperienza abbia segnato l’inizio della mia strada verso il recupero. Quella che credevo fosse una malattia senza fine, ora era diventata superabile; quelli che una volta erano giorni bui e solitari, adesso erano rischiarati dalla presenza di quei nuovi amici ai miei piedi.

Sorprendentemente, nel giro di poche settimane sono rientrato a scuola e lentamente la mia vita è tornata alla normalità. Dopo molti anni, conservo ancora quelle pantofole nell’armadio. Certo, ora sono troppo piccole per i miei piedi ma mi è capitato di provare a indossarle semplicemente per ricordare quanto significassero per me.

Anche se continuo a beccarmi quel tipo particolare di raffreddore e devo stare attento alla giusta quantità di sonno, sono una persona molto più sana. Strano a dirsi le malattie non mi mancano, ma ogni volta che indosso quelle pantofole arancioni mi chiedo: “Se sono state in grado di curare me, i medici non dovrebbero prescrivere qualcosa di simile ai tanti bambini ammalati del nostro mondo?”.

(Braden Blyde è uno scrittore freelance che risiede ad Adelaide, in Australia. Una versione di questo articolo è apparsa per la prima volta sul sito web di Signs of the Times Australia/Nuova Zelanda ed è ripubblicata dietro autorizzazione).

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio] 

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