La buona notizia e’ che Falak sta meglio. Arrivata in Italia da Beirut agli inizi di febbraio era stata immediatamente ricoverata all’Ospedale Bambin Gesu’ di Roma per verificare se il suo tumore, che le aveva gia’ rubato un occhio, fosse esteso ad altre parti del corpo. I primi esami sono rassicuranti e la piccola di sette anni ha iniziato un routinario ciclo di chemio.
Falak e la sua famiglia sono originari di Homs, Siria, dove la guerra dell’Isis ha distrutto loro la casa, il lavoro ed ogni speranza di poter rimanere nella loro terra. Profughi in Libano, in quattro hanno vissuto per due anni in un tugurio umido e pericoloso nella periferia di Beirut, con la piccola malata e bisognosa di cure alle quali non poteva accedere. Sono arrivati in Italia grazie ai “corridoi umanitari” aperti sulla base del protocollo di collaborazione tra la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), la Tavola valdese e la Comunità di Sant’Egidio da una parte e i Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri dall’altra.
Nel frattempo e’ arrivato in Italia un altro gruppo di  93 profughi – in prevalenza siriani e iracheni – grazie alle procedure di richiesta di visto per “protezione umanitaria” presso la sede consolare libanese. E’ questo infatti il “dispositivo” legale che consente l’apertura del “corridoio” e al quale la FCEI e la Comunità di Sant’Egidio si sono appellati per avanzare la loro proposta.
Oltre che dal Libano, il protocollo prevede l’apertura di corridoi umanitari dal Marocco e dall’Etiopia, per un totale di 1000 casi. Una goccia nell’oceano, si potrebbe osservare, ma che al momento costituisce l’unico canale migratorio alternativo a quello criminale e omicida degli scafisti. Il progetto “corridoi”, insomma, non e’ “la soluzione” alla sfida migratoria di questi anni ma una “buona pratica” che suggerisce un approccio radicalmente diverso da quello attuale. Questa iniziativa infatti – ed e’ il primo aspetto che la caratterizza – sposta l’accento dalle strategie attualmente privilegiate di sicurezza e di blocco dei flussi, a quelle umanitarie e di accoglienza programmata. Inoltre – secondo aspetto non trascurabile data la sensibilita’ dell’opinione pubblica al tema – consente l’arrivo in Italia di persone perfettamente identificate e quindi nel massimo rispetto delle norme di sicurezza. La polemica sui “clandestini” perde cosi’ ogni consistenza. I corridoi umanitari – terza considerazione – hanno come fondamento giuridico una norma esistente che pero’ in Europa non è mai stata applicata. L’unico precedente, ma con un differente dispositivo di legge, risale ai primi anni ’90, al tempo delle massicce ondate migratorie dall’Albania seguite al crollo del regime di Enver Hoxha.
In un momento di immobilismo dell’azione politica dell’Unione europea sul tema esplosivo ed urgente delle migrazioni globali, la proposta di “corridoi umanitari” – vogliamo sottolineare – e’ quindi estensibile a numeri piu’ alti e duplicabile da parte di qualsiasi altro paese dell’area Schengen. Gia’ oggi. Ed è per questo che la FCEI e la Comunità di Sant’Egidio stanno attivando i loro contatti europei per provare a condividere ed estendere questa “buona pratica”. Le prime risposte giunte da organismi ecumenici come la Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME) e da alcune chiese regionali tedesche, come quella della Westfalia, sono molto incoraggianti (NEV 7/2016). In questo numero di “Sfogliando il giornale” Roberto Vacca intervista Paolo Naso, responsabile relazioni internazionali di “Mediterranean Hope”

La piccola Falak con la sua famiglia

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