Alla domanda “Come stai?” raramente rispondiamo “sono triste”. Abbracciare uno stato d’animo spiacevole, e accettarlo, può trasformarsi in un viaggio di consapevolezza verso la vera felicità.

Zanita Fletcher – Mi considero una persona abbastanza onesta, ma quando qualcuno pone l’innocente domanda "Come va?", spesso sono tentata di distorcere la verità. Non fraintendetemi, la maggior parte delle volte sono piuttosto gentile. Eppure ci sono stati dei momenti in cui ero sconvolta e vivevo stagioni di lotta interiore, e nel momento in cui questo interrogativo mi veniva rivolto, il mio istinto mi spingeva a tenere dentro di me tutto quello che stavo attraversando… quindi rispondevo: “Bene, grazie. E tu?”.

La nostra cultura è ossessionata dalla ricerca della felicità. Negli ultimi anni l’industria dell’auto-aiuto è esplosa raggiungendo livelli record e si prevede che continuerà a crescere. Ci sono libri, articoli, podcast, seminari online e app che offrono consigli su come vivere felici. “Come essere felici”, “Qual è la chiave della felicità?”, “Le abitudini delle persone felici”, “Come essere felici da soli?" e "Come rimanere felici quando si è stressati" sono tra le ricerche più popolari su Google.

Helen Russell, giornalista e autrice di How to Be Sad: Everything I’ve Learned About Getting Happier By Being Sad Better (Come essere tristi: tutto ciò che ho imparato su come diventare persone più felici essendo tristi), ha dedicato gran parte della sua carriera a scrivere di felicità. Nel farlo ha scoperto che c’era riluttanza a essere tristi e che potremmo sperimentare maggiore felicità se imparassimo ad abbracciare la nostra tristezza. Secondo Russel, mentre molti di noi sanno, da un punto di vista intellettivo, che ci si aspetta di essere tristi, non siamo sempre disposti a permetterlo. Piuttosto, abbiamo varie stampelle alle quali appigliarci per evitare il dolore e di dire “scusa” quando piangiamo, come se credessimo che le nostre lacrime gravino sugli altri.

Spesso le persone pongono grandi domande sulla felicità quando vivono una forte delusione o una perdita, ad esempio dopo la scomparsa di una persona cara, aver ricevuto una diagnosi o essere uscite da una brutta separazione, situazioni in cui la tristezza è la risposta appropriata. Probabilmente, invece di motivarci a uscire da queste circostanze il più rapidamente possibile, vi è un momento per essere tristi per un po’, un beneficio nella tristezza e, forse, con le giuste strategie possiamo essere tristi in modo migliore.

Definire la tristezza 
Quando parlo di tristezza, intendo quell’emozione temporanea che proviamo a causa della delusione, dell’insoddisfazione o della perdita, che spesso passa con il tempo o con il sostegno. La sperimentiamo tutti. La tristezza è diversa dalla depressione, che è un insieme di sintomi che persistono nel tempo.[1]

La tristezza differisce anche dal dolore che è una risposta emotiva complessa, dovuta a una perdita significativa. Il dolore comprende una serie di sentimenti come lo shock, la rabbia, la negazione e il senso di colpa, e tende a essere un’esperienza emotiva più intensa e prolungata.[2]

Tutti conosciamo quelle persone che fuggono dal sentimento della tristezza. Non piangono, non guardano le scene tristi dei film e si bloccano quando le conversazioni vanno più in profondità. Possiamo anche capirne le ragioni. La tristezza è scomoda e invadente. In molti ambiti della nostra vita, è presente questa idea che se qualcosa non va, dobbiamo metterla a posto. Così, quando sorge la tristezza, cerchiamo di risolverla con un approccio del tipo "mantieni la calma e vai avanti". Daniel Wegner, psicologo di Harvard, afferma che questo approccio alle emozioni negative non funziona e può avere implicazioni reali. La sua ricerca mostra che quando si tratta di sentimenti come la tristezza, il ripiego che consiste nell’indossare una faccia felice può in effetti farci sentire peggio.

L’Università del New Galles del Sud ha scoperto una serie di cose positive che emerge dalla tristezza. “Anche se si è parlato molto dei numerosi benefici della felicità, è importante considerare che anche la tristezza può essere benefica. Le persone tristi sono meno inclini agli errori di giudizio, sono più resistenti alle contraddizioni dei testimoni oculari, a volte sono più motivate e più sensibili alle norme sociali. Possono anche agire con più generosità" sostiene Joseph P. Forgas, professore di psicologia.[3]

Charles Darwin ha negato l’utilità delle lacrime, ma gli studi dimostrano che il pianto può essere un modo efficace per riprendersi dalle forti emozioni e aiutare a rimuovere gli ormoni dello stress come il cortisolo.

Affrontiamola 
Come possiamo allora tenerci la nostra tristezza ed essere tristi in modo migliore? Il primo passo è smettere di combatterla. Molte azioni che compiamo in risposta alla tristezza sono tentativi di anestetizzare noi stessi ed evitare il dolore. Lo facciamo tenendoci occupati, bevendo alcolici, mangiando poco o con esagerazione, praticando troppo esercizio fisico e così via. Queste strategie di adattamento a volte possono apparire risolutive in superficie, in realtà rappresentano il nostro modo di scappare dalle emozioni difficili.

Il passo successivo che si può compiere è elaborare quello che sentiamo. Provate a percepire i vostri sentimenti di tristezza, anche solo per un paio di minuti. Aiuta anche aprirsi ad altre persone quando ci sentiamo giù. Avere qualcuno con il quale possiamo essere sinceri può essere davvero utile. I momenti in cui siamo vulnerabili su ciò che proviamo sono spesso quelli che ci fanno sentire più profondamente connessi con le persone nella nostra vita. Parlarne aiuta ad alleviare le emozioni e a stare meglio.

Altre pratiche possono essere utili secondo la scienza. È stato dimostrato che la musica e la poesia riducono lo stress e possono rivelarsi buoni compagni quando siamo tristi. Libri e film, inoltre, ampliano la prospettiva e ci aiutano a sentirci meno soli.

Impariamo da altre culture 
I Paesi occidentali fanno eccezione nel loro desiderio di minimizzare ed evitare la tristezza; altre culture, al contrario, hanno imparato ad accettarla e abbracciarla. In Giappone, le persone accolgono la tristezza come una parte naturale dell’esperienza umana. La loro cultura incoraggia l’espressione emotiva attraverso le arti tradizionali come la poesia haiku e il teatro che esplorano di frequente i temi della perdita. In Russia, è dato valore al fatto di essere tristi perché ti rende una persona migliore. In Africa, quando qualcuno sperimenta la tristezza, la comunità si riunisce per esprimere apertamente le emozioni, e cercare aiuto è visto come un segno di forza piuttosto che di debolezza. La cultura māori, in Nuova Zelanda, include il canto per manifestare una serie di emozioni. Queste pratiche sono spesso messe in atto durante i funerali e in altri eventi significativi della vita per elaborare e onorare le emozioni.

È difficile ma importante 
Anche se la tristezza può non essere piacevole, c’è uno scopo da trovare in essa e possiamo imparare a sopportarla e a superarla in modo sano. Non vogliamo rimanere in quello spazio per sempre, ma nei momenti difficili può sembrare assurdo guardare il lato positivo, riprendersi o mantenere la calma e andare avanti, come suggerisce il gergo culturale.

Meik Wiking, amministratore delegato dell’Happiness Research Institute, ha dichiarato: “In ogni esistenza umana ci saranno periodi di infelicità. Questo fa parte dell’esperienza dell’umanità. Imparare a essere tristi è il primo passo naturale per essere più felici”. Questo è vero nelle Scritture quando leggiamo: "Nel mondo avrete tribolazione" (Giovanni 16:33) e “c’è il suo momento per ogni cosa… un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per far cordoglio e un tempo per ballare" (Ecclesiaste 3:1, 4).

La tristezza potrebbe non essere una sensazione fantastica, ma è importante. Se perseguire una vita di felicità è ammirevole, occorre essere realistici e riconoscere che a volte accade l’inaspettato, ed essere tristi per un po’ va bene. A volte dovremmo avere la capacità di affermare: "Forse non dovrei essere felice in questo momento".

Paradossalmente, se permettiamo a noi stessi di essere tristi, potremmo essere capaci di sperimentare la felicità più a lungo termine. Perché gli studi mostrano che non si può essere felici senza essere tristi.

(Zanita Fletcher è una life coach e assistente redazionale per l’edizione Australia/Nuova Zelanda di Signs of the Times. Scrive dalla Gold Coast, nel Queensland)

Note 
[1] American Psychiatric Association, Diagnosis and Statistical Manual of Mental Disorders (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), 5a ed. Washington, DC: American Psychiatric Association, 2013. 
[2] Brené Brown, Atlas of the Heart: Mapping Meaningful Connection and the Language of the Human Experience (Atlante del cuore: mappare connessioni significative e il linguaggio dell’esperienza umana). New York, Random House, 2021. 
[3] Joseph P Forgas, Four Ways Sadness May Be Good For You (Quattro modi in cui la tristezza può farvi del bene), Greater Good Science Center, 4 giugno 2014.

[Fonte: st.network. Traduzione: V. Addazio] 

 

 

 

 

 

 

 

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