Gesù esplosione di vita. Dove sei?

Gesù esplosione di vita. Dove sei?

Francesco Zenzale – “Dio il Signore chiamò l’uomo e gli disse: ‘Dove sei?’. Egli rispose: ‘Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura, perché ero nudo, e mi sono nascosto’” (Genesi 3:9-10).

Chissà quante volte Adamo ed Eva hanno avuto la gioia di chiacchierare con Dio sul far della sera, prima del dolce riposo. Quante confidenze, tenerezze, insegnamenti e spiegazioni. Nella mia breve passeggiata lungo il lago di Pusiano (tra le province di Como e Lecco, in Brianza. ndr), versante Bosisio Parini, fra incantevoli alberi, il fruscio del vento, il chiacchiericcio delle anatre, delle folaghe, dei gabbiani, lo sguardo attento degli scoiattoli e il sibillino sguazzare e saltellare dei pesci, mi pare di ascoltare la voce di Dio: Dove sei? Non mi vergogno e non mi nascondo, ma continuo silenzioso ad ascoltarlo e poi, dal profondo del cuore, si elevano canti di lode. Eccomi Signore! Non so perché ti amo, ma so che non posso più fare a meno di te!

È triste pensare che la vita di molti credenti sia come quella di Adamo ed Eva! Vivono nella paura di Dio e con un profondo senso di vergogna. Come se Dio fosse all’oscuro della loro fragilità o, ancor peggio, che non sia in grado di passeggiare con noi nonostante la caducità.

Adamo ed Eva, in un tempo imprecisato, cambiarono indirizzo scolastico. Prima come creature passeggiavano con Dio e nel suo amore potevano dipingere la tela della loro vita con sgargianti colori, poi scelsero di dipendere da Satana, nell’apparente autosufficienza, nella distorsione della realtà, e si trovarono soli e schiavi della paura e del disagio spirituale, relazionale e fisico. Figli del padre della menzogna (cfr. Giovanni 8:44). La tela della loro esistenza, come quella dell’umanità, iniziò a macchiarsi di lacrime, di sofferenze, di abbandono, di doppiezze e di false concezioni su Dio e sul suo amore.

Dove sei? A questa domanda, nella quale accolgo l’invito di Dio a camminare con me, sebbene la mia esile esistenza, rispondo: «Eccomi!. Sono pronto a continuare a vivere questo giorno con te. «Perché so in chi ho creduto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno» (2 Timoteo 1:12). Io so in chi ho creduto! E tu?

 

Gesù esplosione di vita. Nel principio

Gesù esplosione di vita. Nel principio

Francesco Zenzale – Secondo la parola, al “principio” tutto era “molto buono” (Genesi 1:31). L’armonia regnava in ogni dimensione della creazione. Dal caos Dio aveva creato qualcosa che va oltre ogni immaginazione o ipotesi di comprensione su ciò che l’uomo può intendere con i termini di compiutezza, armonia e immagine di Dio. Nel primo capitolo della Genesi non si coglie nessuno elemento teologico o ingiunzione morale che ci induce a pensare al peccato, al disordine o alla morte. L’immagine di Dio era ben impressa nell’uomo che lo differenziava dal resto della creazione. “Crescete e moltiplicatevi” costituiva un invito a vivere perfettamente integrati nello spazio e nel tempo e in armonia con il cielo. La facoltà di pensare, di agire, di parlare, di muoversi e di procreare rifletteva particolari di natura divina. Le indicazioni su cosa mangiare evidenziavano la facoltà di nutrirsi nel rispetto della natura fisiologica, come anche l’espressione di una armoniosa esistenza con il resto della creazione, di cui Dio era l’artista.

Nel principio, in un tempo indefinibile, non c’era “l’albero della conoscenza del bene e del male” o per lo meno non era nell’intenzione di Dio porre la sua creatura di fronte a una scelta etico-spirituale. Tutto era “molto buono”, a tal punto che Dio decise concedersi una pausa contemplativa, di soddisfazione per il frutto del suo amore, della sua creativa perfezione (cfr. Genesi 2: 1-3).

Nel secondo capitolo la prospettiva cambia. Le ingiunzioni etiche e spirituali sono ben evidenti e incisive. L’autore introduce l’idea della trasgressione e della morte, espressa sommariamente nel terzo capitolo. Non conosciamo il tempo che è trascorso dalla creazione di Adamo ed Eva all’ingiunzione a “non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male” e al peccato. Sono aspetti che l’autore tralascia, perché ciò che ha valore non è il tempo in sé quanto il modo in cui la tela della vita è imbrattata. E l’autore la dipinge con i colori a lui familiari: il viscido e arrogante serpente, il morboso interesse di Eva, il desiderio di Adamo di essere come Dio, il distacco etico-spirituale da Dio e dal resto del creato, il forte senso di inadeguatezza e infine una significativa pennellata di misericordia. Sul far della sera, in una delle sue innumerevoli passeggiate, “Dio il Signore chiamò l’uomo e gli disse: ‘Dove sei?’” (Genesi 3:9).

 

 

Gesù esplosione di vita. Introduzione

Gesù esplosione di vita. Introduzione

Francesco Zenzale – “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita!” (Giovanni 5:39-40).

Molti hanno scritto sulla vita, la morte e la risurrezione di Gesù, e indubbiamente altri ancora elaboreranno tesi per cercare di cogliere il mistero della sua persona e della sua opera. Pertanto, queste mie brevi riflessioni non hanno la pretesa di essere esaustive; d’altronde come potrebbe esserlo se perfino gli angeli (cfr. 1 Pietro 1:12) indagano sulla natura dell’amore di Dio che si è risolutivamente rivelato nella persona di Gesù?

Vi è stato un tempo in cui Dio parlava ai padri, di frequente e in vari modi, ma “in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebrei 1:2), il quale è per noi “vittima e sommo sacerdote”. Possiamo cogliere questa estensione soteriologica della persona di Gesù nel libro dell’Apocalisse (1:12-17; 5:4-6; 12:10-11) e in particolare nella Lettera agli Ebrei (2:14-18; 4:14-15; 5:1-11; 7:26) e poi anche in Romani 8:34 e 1 Giovanni 2:1-2.

Come vittima, Gesù è esplosione di vita per l’umanità, perché “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16). Come sommo sacerdote Gesù, alla destra di Dio, ci accompagna nel lungo e faticoso percorso di vita nell’attesa della beata speranza, rendendo possibile, anche se virtualmente, la gioia di essere al cospetto di Dio (cfr. Efesini 2:4-6).

Entrambi i significati sono accomunati da tre importanti elementi teologici: l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Cristo (cfr. Ebrei 2:14-17; Filippesi 2:5-8). Questi eventi redentivi si possono cogliere anche nell’Antico Testamento, nella prospettiva messianica–escatologica. Pertanto la nostra riflessione su “Gesù esplosione di vita” inizia con uno sguardo panoramico sulla salvezza nell’Antico Testamento.

Buon Natale! Ho pulito il disastro che hai combinato

Buon Natale! Ho pulito il disastro che hai combinato

“Dio infatti non ha mandato il proprio Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:17).

Omar Miranda – “Aaagggghhhhhh!”. Udimmo nitido l’urlo e un tonfo. Mia figlia ed io ci precipitammo in sala da pranzo e trovammo mio figlio immobile, ricoperto di porridge che era colato e aveva imbrattato il pavimento. Mia figlia, esasperata da quel fratellino (o “piccolo scocciatore” come soleva chiamarlo), gli puntò il dito davanti al viso. “Guarda che disastro hai combinato!” gli disse decisa.

Accompagnai mio figlio nella sua stanza per ripulirsi e poi tornammo per dare una lavata al pavimento. Ma sentimmo mia figlia esclamare con dolcezza: “Buon Natale, Jackson, ho pulito il disastro che hai combinato!”.

Scoppiai in una fragorosa risata. Poi diventai silenzioso e cominciai a commuovermi mentre il senso profondo di quelle parole emergeva nel mio cuore.

Sapete, in una notte silenziosa di circa 2.000 anni fa, in una piccola città senza nome, una madre adolescente senza nome diede alla luce un bambino, nato in un fienile buio, pieno di spifferi, sporco, puzzolente, freddo. Il vangelo annuncia: “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. […] E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni 1:1-4, 14).

Dio è venuto per stare con noi. La sua nascita fu il modo usato da Dio per dire all’intero genere umano, a te e a me: «Guarda che guaio hai combinato peccando e voltandomi le spalle. Ma, buon Natale. Ho pulito il tuo disastro!”.

Gesù disse a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:16,17).

Sono così felice che Dio sia venuto in questo mondo non solo per evidenziare i nostri disastri, ma per porvi rimedio. Per questo è nato come un bambino indifeso, ha vissuto una vita perfetta e ha subìto – nonostante fosse perfetto – la morte di un peccatore; ma poi è risorto alla vita.

Allora, buon Natale! Gesù ha rimediato ai problemi che non avremmo mai potuto risolvere da soli! Viviamo la nostra vita per lui! E quando incontriamo delle persone che hanno reso la loro esistenza disastrosa, condividiamo con loro il messaggio di Cristo, morto per pulire anche la loro vita, e poi è risorto.

Non dimentichiamo mai che è Gesù la ragione di questo periodo di feste.

 

[Fonte: Adventist Review online]

 

Daniele in breve. Conclusione

Daniele in breve. Conclusione

Francesco Zenzale – Eccoci al termine di questa serie di brevi riflessioni. Indubbiamente ci sono ancora tante parole che possono essere scritte e tante lezioni da apprendere, ma in quest’ultima riflessione conclusiva, vorrei brevemente soffermarmi sull’uomo Daniele. Sul modo come egli interagisce con i potenti, i re e gli amministratori e su come riesce a rimanere incollato a Dio, nonostante gli alti e bassi della sua “carriera politica”.

Daniele e i potenti, i re e i governanti
Sin dal primo capitolo si evince l’importanza di riconoscere le motivazioni malvagie da quelle buone che si celano dietro ordini o decreti. Nabucodonosor dispone che i prìncipi Israeliti siano trattati con riguardo, permettendo loro di avvalersi della mensa reale. Questo consueto gesto, per quanto nobile, pone Daniele e i suoi compagni in difficoltà riguardo al secondo comandamento (cfr. Es 20:4-6), perché gli alimenti erano offerti alle divinità babilonesi e poi mangiati. Daniele, pur comprendendo che nel gesto del re non c’era nulla di malvagio, agisce con diplomazia e accortezza (cfr.Da 1:8-16).

Al contrario, nel sesto capitolo, di fronte all’arroganza dei perfidi satrapi, apre le finestre e prega il Signore, non lasciandosi in alcun modo asservire. Come i suoi amici nel terzo capitolo, Daniele sfida apertamente il decreto del re Dario, sapendo che era stato escogitato da governatori invidiosi, desiderosi di eliminarlo. Ciò significa che non sempre le leggi (o i decreti) che emana uno Stato o un’organizzazione, per quanto contradditorie, fruiscono da un cuore disumano. Pertanto, è logico agire con perspicacia e non urlare “attenti al lupo”, come se quella legge fosse stata emanata con l’intenzione di ferire i figli di Dio o la chiesa. A qualsiasi livello politico e religioso ci sono uomini e donne che lottano per i diritti umani. Questi agiscono per il bene della comunità sociale. Non sono satrapi malvagi.

Daniele, con l’aiuto di Dio, oltre a cogliere ciò che animava ogni azione politica, aveva imparato ad amare il re Nabucodonosor, suo nipote Baldassare il sacrilego, la regina madre, Dario il Medo e tutti quelli che, nel bene e nel male, facevano parte del suo entourage. Pregava per loro e li presentava a Dio affinché fossero benedetti nei loro rispettivi bisogni. Gesù invita i credenti ad amare i propri nemici e a pregare per chi perseguita (cfr. Mt 5:44).

Daniele e Dio
Sin dall’inizio della sua esperienza alla corte di Babilonia, in Daniele si coglie un’intensa maturità spirituale. Nonostante le difficoltà, aveva dato spazio, con impegno e dedizione, a uno dei più importanti bisogni dell’uomo, quello di trascendenza. Al culmine della sua esperienza spirituale, Dio stesso riconosce di avere a che fare con un uomo che non riesce più a staccarsi da lui. Con parole e atteggiamenti diversi, ogni giorno della sua vita lottava con Dio, implorandolo: “Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!” (Ge 32:36). Dopo anni d’intensa e variegata comunione con il cielo, Dio si “arrende”, si “innamora” di Daniele e decide di aprirgli il cuore, chiamandolo “uomo grandemente amato” (Da 10:11, 19).

Dio era orgoglioso di Daniele, come lo è stato di Gesù-uomo (Mt 3:17; 17:5) e come vorrebbe esserlo di ciascuno di noi. Spesso diamo poca importanza a questo nostro bisogno di Dio. Di trascendere l’umana esistenza e di favorire la nostra cittadinanza celeste (cfr. Fl 3:20). Di imparare a vivere tra il cielo e la terra, di avere un gran desiderio di andare incontro a Dio e di rimanere su questa terra (cfr. Fl 1:23-26). Essere in questa tenda e non esserci, spogliati e rivesti d’incorruttibilità (cfr. 2 Cor 5:1-10; 1 Cor 15:42-50).

Purtroppo, diamo molto più importanza a bisogni, come quelli fisiologici di appartenenza, di affetto, di autostima, ecc., che per quanto siano fondamentali per vivere, non dovrebbero prevalere su quello che sta alla base della stessa esistenza: il bisogno di Dio, di esistere in chi è la sorgente e il sostenitore della vita (cfr. At 17:28; Mt 6:25-34).

Abbiamo bisogno di interiorizzare la grazia salvifica, la quale “ci insegna a rinunciare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù” (Ti 2:12-13).

 

 

Gesù esplosione di vita. Dove sei?

Daniele in breve. Tu ti riposerai e poi ti rialzerai

Francesco Zenzale – “Tu avviati verso la fine; tu ti riposerai e poi ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei tempi” (Da 12:13).

Il vissuto di Daniele è quello di un uomo, di un credente, catapultato in una realtà dai foschi contrasti, dove il male sembra che abbia il sopravvento sul bene e i vincitori sui vinti. Ma sin dall’inizio del suo percorso di vita a Babilonia si evince che la vittoria dei “malvagi” dei “prepotenti”, dei poteri ostili a Dio e ai suoi figli, è apparente. Daniele e i suoi compagni di viaggio, Anania, Misael e Azaria, compresi quelli non menzionati nel suo libro (Mardocheo, Ester, Nehemia, ecc.), risultano vincenti “su tutti i punti che richiedevano saggezza e intelletto, sui quali il re li interrogasse, li trovava dieci volte superiori a tutti i magi e astrologi che erano in tutto il suo regno” (Da 1:20). E Daniele “continuò così fino al primo anno del re Ciro” (Da 1:21).

Nel dodicesimo capitolo, è un uomo sazio di anni e pieno di speranza. Sa che non avrà la gioia di tornare a Gerusalemme, ma nel suo cuore si sono insinuate nuove speranze. La vicinanza del figlio dell’uomo, vestito di lino, aveva infuso in lui la certezza che le promesse di Dio eccedevano le attese, riguardo al rimpatrio. Sgomento per il dramma umano tratteggiato dalle visioni, vissuto nell’incomprensione, è invitato da Gesù stesso, ad “avviarsi verso la fine”, nella consapevolezza che, dopo essersi riposato, si sarebbe rialzato, o risvegliato, dal sonno della morte, per poi ricevere l’eredità.

Non la Gerusalemme restaurata e un rimpatrio limitato nel tempo e nello spazio, in cui Israele doveva attuare un programma di riforma spirituale in relazione all’evento messianico (cfr. Da 9:24-27), ma la nuova Gerusalemme, quella che sarebbe scesa dal cielo come “una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21:1-2). Un rimpatrio che non riguardava solo Israele, ma il popolo di Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento. Al risveglio, “alla fine dei tempi”, Daniele e con lui tutti quelli che si sono addormentati in Cristo Gesù riceveranno la loro parte d’eredità.

Le agghiaccianti vicende umane e i conflitti a esse collegate, i disastri naturali con le loro drammatiche conseguenze, il tumulto delle nazioni e dei popoli che si avvicendano come un mare in tempesta, i regni e le istituzioni che si elevano con empietà al posto di Dio (esecrando i figli di Dio), che le parole non riescono a descrivere, fluiscono nel nulla. Perché, “il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto e che non cadrà sotto il dominio d’un altro popolo. Spezzerà e annienterà tutti quei regni, ma esso durerà per sempre” (Da 2:44).

“Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo” (Da 7:27). “Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21:3-4).

“Rallegriamoci ed esultiamo e diamo a lui la gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa si è preparata. Le è stato dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro; poiché il lino fino sono le opere giuste dei santi. E l’angelo mi disse: ‘Scrivi: Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello’. Poi aggiunse: ‘Queste sono le parole veritiere di Dio’” (Ap 19:7-9).

Daniele in breve. Beato chi aspetta fino a…

Daniele in breve. Beato chi aspetta fino a…

Francesco Zenzale – “Dal momento in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà rizzata l’abominazione della desolazione, passeranno milleduecento novanta giorni. Beato chi aspetta e giunge a milletrecento trentacinque giorni!” (Da 12:11).

Ecco una locuzione profetica cronologica e di difficile interpretazione. Pertanto, per uno studio adeguato, suggerisco i seguenti libri: Capire Daniele, di Antonio Caracciolo e I segreti di Daniele, di Jaques Doukan, entrambi editi da Adv (Firenze); Quando la profezia diventa storia, di A. Pellegrini, appendice 6, «I periodi profetici di Daniele 12: 1.290 e 1.335 giorni.

Tuttavia, desidero presentare alcune brevi considerazioni che possono aiutare il lettore a percepire il significato di questi periodi profetici.

1. Le unità di tempo indicate corrispondono ad anni e non a giorni. Siamo in un contesto simbolico-profetico. Pertanto, i milleduecento novanta giorni e i milletrecento trentacinque giorni, corrispondono a 1.290 anni e a 1.335 anni.

2. Il testo non ci offre un punto di partenza cronologico, come nella profezia delle 2.300 sere e mattine e delle settanta settimane, che hanno avuto inizio nel 457 a.C. con l’editto di Artaserse I (Ed 7:12-26; Da 9:24-25).

3. I 1.290 e 1.335 giorni-anni, si collocano nel tempo della fine, come i 1.260 anni, e sono collegati a due eventi: l’abolizione del sacrificio quotidiano, che determina “l’abominazione della desolazione” (Da 12:11); la purificazione del santuario (Da 8:12-14). Ciò significa che queste unità di tempo possono essere collocate nell’ambito delle 2.300 sere e mattine (o 2.300 anni). Un’unità di tempo che si è conclusa intorno al XIX secolo.

4. L’inizio dei 1.290 e dei 1.335 giorni è sincrono, cioè contemporaneo; ne segue che il secondo periodo termina 45 giorni-anni dopo che è finito il primo (1.335 meno 1.290 dà come risultato 45).

5. Il punto di partenza è dato “dal momento in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà rizzata l’abominazione della desolazione” (Da 12:11).

Quando il potere ostile dà inizio al suo esecrabile gesto? La risposta a questa domanda è legata al significato del sacrificio quotidiano e a quando questo sia stato oggetto di contaminazione.

Nel linguaggio del rituale sacrificale quotidiano, il doppio sacrificio del mattino e della sera è designato invariabilmente con l’espressione “olocausto continuo”, al singolare (in ebraico: ‘olath tamîd). Ogni ‘olath tamîd comprendeva due sacrifici quotidiani. Il Nuovo Testamento e soprattutto la Lettera agli Ebrei affermano che il complesso sistema cultuale ebraico, in particolare l’‘olath tamîd, prefigurava l’opera e la persona di Gesù, in qualità di vittima e sommo sacerdote (Eb 2:14-18; 4:14-15; 5:1-11; 7:26). Come vittima, egli è esplosione di vita per l’umanità (Gv 3:16), perché ha offerto se stesso, una sola volta, in olocausto per la redenzione degli essere umani. Il suo sacrificio è un ‘olath tamîd, non rinnovabile o riproducibile (Eb 9:26; 10:1-4).

Ciò significa che «l’abominazione della desolazione» consiste nel rendere inefficace il sacrificio di Cristo, mediante un sistema cultuale in cui l’attività umana si sostituisce a Cristo, rinnovando il suo sacrificio. Ciò avviene nel rito eucaristico o il santo sacrificio della messa. “La messa è sostanzialmente lo stesso sacrificio della croce. È diverso solo il modo dell’offerta. Essendo un vero sacrificio, la messa ne realizza in modo proprio le finalità: adorazione, ringraziamento, riparazione e petizione».- A. R. Marin, Teologia della perfezione cristiana, ed. Paoline, 1987, pp. 548-554.

Quando è iniziato questo spregevole atto di contaminazione della salvezza? Fra le ipotesi più accreditate sembra quella del 508 d.C., quando la Chiesa rafforza la sua base politica con il sostegno di Clodoveo (481-511 d.C.).

“Clodoveo, re dei Franchi, si convertì alla Chiesa di Roma nel 496 e i Franchi, negli anni successivi, seguirono l’esempio del loro re, da pagani divennero cristiani. Poi s’impegnarono a cattolicizzare, a volte anche con la forza delle armi, gli altri popoli barbari che già avevano accettato l’arianesimo. Quest’opera fu coronata da grande successo, tanto che lo zelo dei Franchi per Roma valse alla Francia il titolo di ‘Figlia primogenita della Chiesa’. Crediamo quindi che all’inizio del VI secolo, nel 508, si ponga la realizzazione spirituale della cessazione del ‘continuo e il rizzarsi dell’abominazione che causa la desolazione’ del nostro brano. La Chiesa, in quel tempo, lascia la ‘potenza’ dell’Evangelo per la conversione dei popoli e si appoggia sempre più per estendere il suo potere sul braccio dei re e inoltre, in quel tempo, un nuovo cerimoniale religioso, quello del sacrificio della messa, annulla il sacrificio della croce”. – A. Pellegrini, Quando la profezia diventa storia, appendice 6, “I periodi profetici di Daniele 12: 1.290 e 1,335 giorni”, p. 1029.

 

Daniele in breve. Quando sarà la fine di queste cose?

Daniele in breve. Quando sarà la fine di queste cose?

Francesco Zenzale – “Poi io, Daniele, guardai, ed ecco altri due uomini in piedi: l’uno su questa sponda del fiume e l’altro sulla sponda opposta. Uno di essi disse all’uomo vestito di lino che stava sulle acque del fiume: ‘Quando sarà la fine di queste cose straordinarie?’. Udii l’uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume. Egli alzò la mano destra e la mano sinistra al cielo e giurò per colui che vive in eterno dicendo: ‘Questo durerà un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo; e quando la forza del popolo santo sarà interamente spezzata, allora tutte queste cose si compiranno’. Io udii, ma non compresi e dissi: ‘Mio signore, quale sarà la fine di queste cose?’. Egli rispose: ‘Va’ Daniele; perché queste parole sono nascoste e sigillate sino al tempo della fine’” (Da 12:5-10).

Daniele continua a non capire il significato escatologico della visione, l’uomo vestito di lino precisa che il contenuto profetico delle “parole” riguarda un periodo pari a “un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo”, e che quest’unità di tempo riguarda la fine.

Alcune importanti considerazioni.
1. La locuzione cronologica “un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo” è segnalata anche in Daniele 12:7, ma soprattutto nell’Apocalisse, nella variante di “42 mesi” (Ap 12:6), di “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo (Ap 12:13) e infine nella forma dei “1.260 giorni” (Ap 13:5).

2. I santi perseguitati in Daniele coincidono con la “donna” e i “santi” perseguitati di Apocalisse (Da 7:25; Ap 12:6,13; 13:5-7).

3. Quest’unità di tempo corrisponde a 1.260 anni. Periodo in cui, a causa delle persecuzioni, “molti saranno purificati, imbiancati, affinati; ma gli empi agiranno empiamente e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i saggi” (Da 12:10).

4. Lo spazio temporale (1.260 anni) concerne il tempo della fine. Ciò significa che non ha nulla a che fare con le vicende storiche del periodo di Daniele e con le settanta settimane o i 490 anni di Daniele 9:24-27.

5. I 1.260 anni coprono lo spazio temporale del Medio Evo e terminano nel XVIII secolo circa. Ciò si evince dall’egemonia del potere ostile a Dio e ai suoi figli che inizia intorno al VI secolo d.C., a seguito della fine dell’impero Romano (Da 7:23-25).

6. Daniele è invitato dall’angelo ad accogliere queste parole nell’incomprensione e a proseguire il suo percorso di vita avendo fiducia nel Signore (Da 12:10).

Quest’ultima considerazione ci permette di capire in che modo dobbiamo assimilare la parola di Dio. In essa ci sono cose comprensibili, altre meno perché sono nebulose, e altre ancora indecifrabili perché concernono il tempo della fine.

Ciò significa che, benché viviamo nell’ultima fase della storia di questo piccolo mondo, ci sono alcuni aspetti profetici che non riguardano il nostro tempo, ma il “tempo della fine”, vale a dire gli ultimi giorni, quelli che precedono il ritorno di Cristo. Pertanto, come Daniele, con umiltà e nell’incomprensione, siamo inviati a non segnalare “cose o eventi” come se Gesù dovesse tornare domani o fra un anno, ma a proseguire il nostro viaggio con serenità e speranza. Le nostre opere ci seguiranno.

“Poi udii una voce dal cielo che diceva: ‘Scrivi: Beati d’ora in poi, i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono’” (Ap 14:13).

Daniele in breve. Abominazione della desolazione

Daniele in breve. Abominazione della desolazione

Francesco Zenzale – “Quando dunque vedrete l’abominazione della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele, posta in luogo santo (chi legge faccia attenzione!)” (Mt 24:15). “Dal momento in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà rizzata l’abominazione della desolazione, passeranno milleduecentonovanta giorni” (Da 12:11).

“Abominazione della desolazione”. Questa espressione ricorre per la prima volta nel libro di Daniele (8:13; 9:26-27; 11:31).

La linea esegetica che ritiene che questa profezia si sia attualizzata con la feroce repressione eseguita da Antioco Epifane a Gerusalemme, di ritorno dalla seconda campagna in Egitto nel 168 a.C., non è attendibile, perché Gesù, in Matteo 24, ne parla come qualcosa che doveva ancora realizzarsi, anche se non si può negare che non ci sia stato un atto di profanazione del tempio.

È altrettanto doveroso ricordare che una feroce desolazione riguardo al santuario si era verificata, con la sua distruzione, per opera di Nabucodonosor nel 586 a.C. circa, ed era stata predetta dal profeta Isaia e anche da Geremia che a seguito di quest’angoscioso dramma, quale testimone vivente, scrisse le “Lamentazioni”.

L’interpretazione che vede la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. per opera dell’Impero romano, con la complicità degli zeloti, è plausibile, ma a condizione che si colga la doppia prospettiva, come il discorso profetico di Gesù prevede. In tal senso, oltre al significato letterale, è importante capire quello soteriologico ed escatologico. Ciò significa che l’abominazione della desolazione letterale fa da sfondo a quella spirituale.

Cerchiamo di capire.

I testi di riferimento narrano che questo cruento gesto è legato al santuario, precisamente al tamîd (al sacrificio quotidiano, cfr. Da 8:11-12; 11:31). Il santuario, nel suo complesso architettonico e liturgico, non aveva alcun valore se si esclude il suo significato tipologico (cfr. Eb 10). Infatti, esso rappresentava il piano della salvezza e il cammino della comunità dei credenti verso la beata speranza. Il primo insegnamento è illustrato dal sacrificio continuo (tamîd) e dai sacrifici liberatori. Il secondo dal luogo santo, al quale Gesù fa riferimento in Matteo 24:15 (ν τόπ γί). Questo significato spirituale e comunitario è stato violato, profanato, dal potere ostile a Dio, come descritto in Daniele 7, 8, 11 e 12.

Ciò significa che la trasgressione che promuove la desolazione si realizza su due piani.
Quello verticale in relazione a Cristo e alla sua opera redentrice (cfr. Da 8:11-12, 25; 11:36-38). L’attività devastatrice, esplicitata mediante un servizio cultuale caratterizzato principalmente dal sacrificio rinnovabile di Cristo, durante la celebrazione eucaristica (la messa), dalla salvezza per opere e dall’intercessione dei santi, è contrapposta alla salvezza per grazia e all’unica e inimitabile intercessione di Cristo quale sommo sacerdote (Ro 5: 1-3: Ef 2: 4-10; Eb 5, 7, 8, 9 e 10).
Quello orizzontale in rapporto ai figli di Dio (la chiesa) i quali sono perseguitati dal potere ostile raffigurato dal piccolo corno o dal re del settentrione (cfr. Da 8:10, 25; 11:33-35; anche 7:25).

Questi due ambiti dell’attività sacrilega e desolante del potere ostile a Dio e alla sua grazia non devono essere considerati come l’uno il prolungamento dell’altro, come se la chiesa, quale corpo di Cristo, avesse una funzione salvifica. L’insegnamento della chiesa estensione dell’opera salvifica di Cristo, presente nella comunità cattolica e in alcune chiese evangeliche dall’energico richiamo fondamentalista, è anche espressione dell’attività devastatrice e desolante del piccolo corno. La chiesa, benché devastata e perseguitata, non ha il monopolio della salvezza, non può mai affermare di essere l’estensione di Cristo in termini redentivi, ma solo di testimonianza e di attuazione del vangelo, secondo i parametri enunciati da Cristo nel sermone sul monte (Mt 5-7) e in Matteo 25:31-45 . In altre parole, non c’è salvezza nella chiesa, ma al di fuori di essa, ovvero in Cristo.

“Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Gv 3:16). “E in nessun altro è la salvezza; poiché non v’è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini, per il quale noi abbiamo ad esser salvati” (At 4:12).

 

Daniele in breve. I saggi capiranno

Daniele in breve. I saggi capiranno

Francesco Zenzale – “Molti saranno purificati, imbiancati, affinati; ma gli empi agiranno empiamente, e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i savi” (Da 12:10).

Esiste un’effettiva differenza tra gli empi e i figli di Dio. I saggi avranno la gioia di comprendere il valore profetico della profezia e “di risplendere come stelle in eterno”, quindi di godere della presenza di Dio, di Mika’el, il Salvatore. Gli empi, oltre a privarsi della conoscenza profetica, saranno destinati a vergogna ed eterna infamia, vale a dire alla morte eterna (cfr. Da 12:1-3; Ro 6:23).

Se da una parte i saggi si lasciano purificare, imbiancare e affinare in Gesù Cristo, comprendendo il significato di questa necessaria metamorfosi spirituale e caratteriale; dall’altra gli empi agiscono empiamente, inconsapevoli del loro destino eterno e del fatto che la loro attività non è in armonia con il cielo. Vivono nella presunzione di adempiere la volontà di Dio.

I saggi capiranno! Non gli apocalittici o i catastrofisti, quelli che vedono un’incollatura profetica in ogni evento storico e politico, religioso o ambientale, inducendo le persone ad accettare la salvezza per paura, privandoli di una relazione serena con Dio che è amore. Lo spirito che alberga nel cuore di questi visionari, che ispira tale lettura profetica, non è quello di Cristo. È umano, viene dal basso e non dall’alto. In altre parole, annunciano un vangelo frutto della loro visione della realtà e di una errata comprensione delle profezie. Predicano un altro Gesù, diverso da quello rivelato dagli apostoli (cfr. 2 Co 11:4; Ga 1:8-9).

I saggi capiranno! Perché hanno l’umiltà di lasciarsi ispirare da chi è l’autore e il cuore della profezia: Gesù Cristo. L’Apocalisse, nel quinto capitolo, esibisce “un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli”, che nessuno, “né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra”, è degno di aprire e guardare (Ap 5:1-3), tranne «il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli» (v. 5).

Ciò significa che il nucleo della profezia e di tutta la rivelazione è Gesù Cristo. “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me” (Gv 5:39). I saggi, ispirati da Dio, riescono a cogliere nelle profezie Gesù Cristo, il figliol dell’uomo, colui che cammina in mezzo ai candelabri d’oro (cfr. Ap 1: 12-13), che è presente nella storia della chiesa e dell’uomo, fino al giorno in cui ritornerà (cfr. Mt 28: 20). Essi ritengono che i “contorni” profetici siano da considerarsi relativi, perché non sempre è possibile collocarli a aventi, istituzioni e personaggi se non orientativamente.

I saggi capiranno! Perché credono e divorano la sola Scrittura, con senso di responsabilità, accettandone le prospettive e le conseguenze (cfr. Ap 10:8-11). Uomini e donne che onorano il Signore, avendo lo sguardo fisso sull’autore della salvezza (cfr. Ap 14:4) e non sugli eventi che, per quanto rilevatori temporali, secondo la prospettiva profetica, non devono mai disarticolare il credente da colui che era, che è e che viene (cfr. Ap 1:8).

Perciò, se pensassimo e parlassimo un po’ più di Gesù e un po’ meno di noi stessi e degli eventi profetici, potremmo beneficiare molto della sua presenza. Eleviamo i nostri cuori al Signore con canti di lode, con gratitudine e riconoscenza. Noi non sappiamo quando Gesù tornerà, ma possiamo onorarlo nel profondo del nostro cuore, applicando i suoi insegnamenti. La sua mano tenera e compassionevole è su di noi; il suo amore è profondo, intenso, premuroso, in esso e per esso siamo chiamati a vivere.

Daniele in breve. La conoscenza aumenterà

Daniele in breve. La conoscenza aumenterà

Francesco Zenzale – “Tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro sino al tempo della fine. Molti lo studieranno con cura e la conoscenza aumenterà” (Da 12:4).

L’idea di scrivere un libro per poi metterlo da parte per chissà quanto tempo è inusuale. Un libro, così indispensabile per la salvezza, si scrive per essere pubblicato e non per lasciarlo impolverare per secoli. Perché Daniele è invitato a sigillare il libro? Perché il contenuto profetico–esistenziale riguarda il tempo della fine (cfr. Da 12:4, 9), l’ultima fase della storia dell’umanità, che è iniziata nel 1844 d.C. a conclusione della profezia cronologica delle 2.300 sere e mattine (cfr. Da 8:14). Per questo motivo Daniele non comprende pienamente il significato delle visioni (cfr. v. 8).

Questa chiosa ci permette di evidenziare che non è “il libro o tutte le parole” a essere state “sigillate o nascoste”, ma solo le profezie che concernono il tempo della fine. La profezia che ha avuto inizio in Daniele 11:2, e quella dell’ottavo capitolo, precisamente delle 2.300 sere e mattine (cfr. Da 8:14), perché entrambe si riferiscono a un tempo lontano o della fine (cfr. Da 8:17, 26; 12:4, 9). Infatti, non ha senso sigillare o nascondere i primi sei capitoli, dal genere letterario narrativo. E neanche parte dei capitoli sette e ottavo, perché Daniele svolge la sua missione profetica a cavallo dell’Impero babilonese e di quello medo-persiano.

Oltre a queste fondamentali considerazioni, è saggio evidenziare alcuni importanti insegnamenti:

1. Il fatto che molti studieranno le profezie riguardanti gli ultimi giorni, acquisendo maggiore conoscenza, non significa necessariamente che ne faranno un saggio uso. La conoscenza in sé non è garanzia di saggezza e di sana applicazione profetica. Solo i saggi capiranno il reale significato profetico, facendone un buon uso in vista della parusia (v.10).
2. Esiste un’evidente corrispondenza fra le profezie di Daniele e l’Apocalisse (Da 7; Ap 13:1-3); ciò si evince anche in relazione alla comprensione delle profezie che dovevano rimanere nascoste fino al tempo della fine. Nel decimo capitolo dell’Apocalisse, l’angelo potente che si presenta a Giovanni ha nella mano un “libretto aperto”. Questo libro aperto è da considerarsi come la porzione del libro di Daniele che doveva essere mantenuta segreta e sigillata sino al tempo della fine.
3. Considerando che la sua apertura si colloca a conclusione della profezia delle 2.300 sere e mattine (anni), è importante osservare che sul finire del XVIII secolo e agli inizi del XIX, si manifestò un insolito interesse verso le profezie di Daniele e dell’Apocalisse, in aree geografiche distanti l’una dall’altra. Lo studio delle suddette profezie condusse alla convinzione diffusa che il secondo avvento di Cristo fosse vicino. Numerosi espositori in Inghilterra, Joseph Wolff in Medio Oriente, Manuel Lacunza nel Sudamerica e William Miller negli Stati Uniti, insieme con una schiera di altri studiosi delle profezie, dichiararono, sulla base del loro studio, che l’umanità si avviava verso il ritorno di Cristo.
4. “Il tempo della fine” è periodo che non possiamo calcolare o determinare con esattezza. Pur sapendo che siamo nella fase ultima dell’esperienza umana, non sta a noi parlare di “immediatezza” del ritorno di Cristo, cercando di indicare delle date anche se generiche (cfr. Mt 24:36). Piuttosto, è nostra responsabilità vegliare e pregare per non cadere nella tentazione di credere e annunciare che Gesù tornerà fra un anno, cento o mille anni. Dobbiamo vivere la salvezza “un giorno la volta”, perché il domani non ci appartiene!

In tal senso, il significato esistenziale della profezia non è tanto quello di alimentare l’attesa della beata speranza, promuovendo comportamenti radicali, ansiogeni o inutili preoccupazioni, bensì di vivere Cristo, dando al “presente” un valore santificante ed escatologico. “Infatti, la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunciare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù” (Tt 2:11-13).

Daniele in breve. La conoscenza aumenterà

Daniele in breve. I saggi risplenderanno

Francesco Zenzale – “I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno” (Da 2:3).

Il significato di queste parole è legato alla testimonianza e al vangelo eterno, che deve essere proclamato a ogni tribù, lingua e popolo (Ap 14:6). Ciò significa che i saggi non sono persone attempate, intenti a riflettere sul passato, a emanare giudizi dopo aver vagliato parole e azioni alla luce di quello che altri saggi hanno scritto ispirandosi alla parola di Dio, come ad esempio il Talmud con il suo nucleo della Mishnah, un testo classico dell’ebraismo, secondo solo alla Bibbia.

I saggi non insegnano a praticare la giustizia secondo l’uomo, che è senza speranza, crudele e proiettiva (cfr. Mt 7:1-5), pervasa dalla fragile soggettività, da pregiudizi e da una comprensione errata del vangelo. Non idealizzano la giustizia, sono uomini e donne onesti e irreprensibili (cfr. Ap 14:5), che vivono secondo il desiderio di Dio (cfr. Mi 6:8), caratterizzato da un comportamento comprensivo e misericordioso, e da un’autentica e perenne testimonianza in favore della verità. In altre parole, di una ineguagliabile e meravigliosa persona: Gesù Cristo (cfr. Gv 14:6).

Spesso, i credenti fraintendono il senso primario dell’espressione “giustizia di Dio”, che nella lingua italiana indica imparzialità, onestà, rettitudine ed equità, con azioni epurative e giustizialiste, nei confronti di chi vive nel peccato, secondo personali criteri etici o dottrinali. Questi, emettono condanne che dovrebbero applicare a se medesimi.

Come l’apostolo Pietro, non hanno il senso delle cose di Dio, ma presumono di averlo (cfr. Mt 16:23). Tuonano nei confronti degli odierni Samaritani (cfr. Lu 9:54), pensando di fare un favore a Dio e alla comunità di appartenenza. Ma tralasciano quanto sia divino “fasciare quelli che hanno il cuore spezzato” dal peso del peccato, “consolare tutti quelli che sono afflitti” (cfr. Is 61:1-3) e non spezzare la canna rotta (cfr. Is 42:3).

Come Giona, fraintendono la misericordia di Dio e si rifiutano di andare a Ninive, non cogliendo quanto il Signore ami il mondo e il peccatore (cfr. Gv 3:16; Is 55:7; Ez 33:11). Si irritano per il ricino seccato, che non hanno nemmeno innaffiato, perché sono avulsi dalla misericordia.

I saggi risplenderanno perché vivono la giustizia che fluisce dal cielo. Per questo motivo, da perseguitati e non da persecutori, saranno abbattuti, travolti dalla crudeltà dei visionari.

“Cadranno per essere affinati, purificati e resi candidi” per il giorno in cui Mika’el sorgerà (Da 11:33-35). I saggi “son quelli che vengono dalla gran tribolazione, e hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello” (Ap 7:14).

Il loro carattere risplenderà in eterno perché hanno vinto “per mezzo del sangue dell’Agnello, e con la parola della loro testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l’hanno esposta alla morte” (Ap 12:11).

“Or andate e imparate che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrificio; poiché io non son venuto a chiamar de’ giusti, ma dei peccatori” (Mt 9:13).

 

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