Bibbia1Luigi Caratelli – Nel 1992, Maurizio Blondet dava alle stampe il libro I fanatici dell’Apocalisse nel quale stigmatizza quanti, nei vari ambiti religiosi, usano le profezie in modo improprio. Non posso che essere totalmente d’accordo con lui; come pure condivido la preoccupazione per l’atteggiamento di molti che sono contagiati dal profetismo da «palla di cristallo».

Dopo 40 anni di predicazioni e di conferenze, mi sono convinto che questo pericolo è reale e abbastanza diffuso. Confermo: in seno alle varie denominazioni religiose si annidano molti «fanatici dell’Apocalisse». Ho incontrato entusiastici sostenitori dei fuochi di Harmaghedon, che però non disdegnano di picchiare la moglie e farle anche di peggio, dimenticando che il Vangelo è soprattutto etica e amore. Io stesso, per evitare di accendere micce inopportune, quando predico, non solo temi legati al profetismo, ho cura di introdurre sempre i miei interventi ricordando che il centro del Vangelo è «il sorriso di Dio e l’abbraccio di Gesù». Forse perché ho stampate a fuoco nella mia mente le stupende parole di Paolo: «Le profezie verranno abolite… e la conoscenza verrà abolita», mentre «L’amore non verrà mai meno» (1 Cor 13:8). Le profezie e la conoscenza, o la cultura, saranno abolite poiché serve docili e transitorie del messaggio del Vangelo, mentre l’amore è il carico che ci porteremo dietro sino alla casa del Padre.

Eppure in molti disattendono le illuminanti parole dell’apostolo, facendo del messaggio profetico, come anche della conoscenza teologica e della cultura che la sostiene, una specie di «totem». Credo fermamente nella cultura, purché trattata come ausilio per veicolare il messaggio di Gesù a chi giustamente vive di cultura. Si può però usare «la conoscenza» nello stesso terrificante, improprio modo, tipico dei «fanatici dell’Apocalisse». Mi diceva una carissima amica che spesso i teologi rapiscono al cielo le cose semplici di Dio e le rendono complicate per gli uomini; mentre l’evangelista fa esattamente il contrario: ascolta i misteri di Dio per renderli comprensibili agli uomini; comprese le profezie. Perché le profezie sono luce sul sentiero della chiesa, essendo parte costituente del messaggio del Vangelo. Siamo d’accordo con Alfred Vaucher quando dice: «Perfettamente chiare, le profezie ostacolerebbero la libertà umana. Completamente oscure, esse non servirebbero a nulla. Così come sono, la loro relativa chiarezza basta per orientare l’azione degli uomini di buona volontà». Luce per la chiesa appunto.

I segni
Invece, vari predicatori e teologi, a mio parere anche in buona fede, rischiano si spegnere quella luce. E qui individuo un altro pericolo che aleggia sulle chiese: quello della moda del «politicamente corretto», che in quanto a effetti devastanti concorre con l’azione dei «fanatici dell’Apocalisse». Politicamente corretti. Un altro totem: ossia non dare fastidio a nessuno, edulcorare il messaggio, non allarmare i fedeli parlando di cose indigeste e fuori moda, invitare costantemente a riposare tranquillamente sulle panche di chiesa. Politicamente corretti insomma. Un esempio: da qualche tempo in ambito teologico si tende, anche comprensibilmente, proprio a causa di fanatici che si attivano solo con il verbo profetico, di smussare la teologia sui «segni dei tempi» del capitolo profetico di Matteo 24, con l’aggiunta di un «segno» a dir la verità non contemplato nell’elenco. «Il segno siamo noi», si dice oggi. E qui non comprendo. Anzi, sono sicuro che questa espressione, rispetto alla teologia dei segni dei tempi, sia soltanto un artificio teologico perché il credente, fin dalla fondazione del mondo, non può essere altro che «un segno» dell’amore e della salvezza di Dio. Tutti i credenti, da Adamo fino a quanti accoglieranno il Signore che scende sulle nubi alla fine del mondo, sono chiamati ad essere un segno: «voi siete una lettera» che altri leggono, voi siete «un profumo» che invita a guardare al cielo, diranno gli scrittori sacri. Quindi sicuri che, da sempre, e per sempre, noi siamo «segno» di Dio nel mondo, ritornerei ai «segni» escatologici. Anch’essi illustrazione dell’amore di Dio e luce per il nostro futuro che, ne convengo, potrebbe anche non essere il nostro.

La Bibbia di Gerusalemme conferma che la sovrapposizione della rovina di Gerusalemme, di cui parla Gesù, con la fine del mondo: «esprime… una verità teologica: perché se i due avvenimenti sono cronologicamente distinti, hanno però tra loro un legame essenziale, essendo il primo il prodromo e la prefigurazione del secondo». Anche Ellen G. White è dello stesso avviso. Nel suo libro La speranza dell’uomo afferma: «Nella sua risposta, Gesù non distinse la distruzione di Gerusalemme dal giorno del suo ritorno, ma intrecciò la descrizione di quei due eventi… Nella sua misericordia unì la descrizione di quei due grandi avvenimenti e lasciò ai discepoli il compito di approfondire da soli il significato. Parlando della distruzione di Gerusalemme, le sue parole andarono oltre quel fatto, fino al giorno del giudizio finale… Questo discorso fu fatto non solo per i discepoli, ma anche per coloro che sarebbero vissuti al tempo degli ultimi eventi della storia… Nella distruzione di quella città egli vide un simbolo della distruzione finale del mondo». (pp. 449, 531)

Gesù aveva detto ai suoi discepoli: «Ve lo dico fin d’ora, prima che accada; affinché quando sarà accaduto, voi crediate che io sono» (Gv 13:19). Dio non lascia mai senza luce, se abbiamo voglia di rischiarare i nostri passi. Quindi aggiunge: «Poiché verranno su di te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, ti accerchieranno e ti stringeranno da ogni parte dentro di te» (Lc 19:43,44). Per quaranta anni i discepoli di Gesù «segni del suo amore», hanno predicato il «segno» tanto atteso e lo hanno continuamente ripetuto a se stessi e agli altri, giorno dopo giorno. Il segno diventò storia sotto i loro occhi, dopo quarant’anni; e lo riconobbero perché il loro Maestro li aveva aiutati a riconoscerlo: «Ve lo dico», quarant’anni prima, perché al tempo debito possiate «riconoscerlo».

Il tempo debito può essere anche un tempo di angoscia, che confonde, che invita a scacciare la paura, inventando correzioni politicamente corrette, che tranquillizzano appunto.

Pur tuttavia, nella tragedia, chi ha avuto l’accortezza di ascoltare le parole di Gesù, si è salvato: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti – aveva detto Gesù annunciando la catastrofe incombente sulla città, – allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, e quelli che sono in città se ne allontanino» (Lc 21:20,21). Così commenta E. G. White questo episodio: «Quando le insegne romane sarebbero state poste sul terreno sacro che si estendeva fuori le mura di Gerusalemme, i discepoli di Gesù avrebbero dovuto salvarsi fuggendo. Quando sarebbero apparsi i segni premonitori, chi voleva fuggire non avrebbe dovuto indugiare… il segnale della fuga doveva essere individuato immediatamente». (La grande speranza, p. 32). «Io annuncio la fine, la fine sin dal principio – dice Dio -, molto tempo prima dico le cose non ancora avvenute» (Is 46:10).

Ascoltare salva la vita
Si dice che ascoltare fa crescere la conoscenza e la fiducia; direi che salva la vita. Così si salvarono tutti coloro che, avendo visto i «segni» dell’imminente tragedia, credettero. Il profeta Amos ha scritto che «Il Signore… non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti» (3:7); mentre l’autore del libro delle Cronache ha cura di aggiungere: «Credete nel Signore, vostro Dio, e sarete al sicuro; credete ai suoi profeti e trionferete» (2 Cr 20:20). Aveva promesso il re Davide, conoscendo l’agire di Dio: «Il Signore sarà un rifugio sicuro per l’oppresso, un rifugio sicuro in tempo d’angoscia» (Sal 9:9). La cosa avvenne proprio nel momento della distruzione di Gerusalemme. Molti avevano ascoltato le parole del Cristo e lo avevano seguito sulle strade della Palestina. Quando, quarant’anni dopo, alcuni di loro, di fronte al pericolo, si ricordarono delle sue parole, ebbero salva la vita: «Nella distruzione di Gerusalemme – scrive ancora Ellen G. White – non morì neppure un cristiano. Gesù lo aveva predetto ai suoi discepoli e così tutti coloro che credettero alle sue parole tennero conto del segno preannunciato» (Idem, p. 37). Infatti la storia ci dice che, proprio grazie a questo segno riconosciuto, quei credenti fondarono una delle prime comunità giudeo-cristiane a Pella, nella Perea, oltre il Giordano.

Gli altri restarono lì, dove tutto sarebbe crollato. Non ritenevano utili né le profezie né i segni dei tempi da esse annunciati. Ribadirei con E. G. White che la profezia di Gesù fu fatta: «non solo per i discepoli, ma anche per coloro che sarebbero vissuti al tempo degli ultimi eventi della storia… Nella distruzione di quella città egli vide un simbolo della distruzione finale del mondo».

Lasciando da parte la sfera di cristallo e il fanatismo, e mettendo in conto che i «tempi» appartengono solo e solamente «al Padre» (Atti 1:7), non posso tralasciare il fatto che, soprattutto il politicamente corretto (che non ha nulla a che vedere con la prudenza a cui ci invita Gesù, e il rispetto per le opinioni altrui) spegne ogni sana ricerca nel campo profetico. Che è attesa serena. Anche se i segni possono non realizzarsi nei giorni in cui viviamo. Il politicamente corretto, con la stessa colpevolezza del fanatismo, ha creato penuria «di pane e acqua nel paese», con la tragica (spero non irreparabile) conseguenza che molti, assetati e affamati di cibo spirituale, sono spinti a cercare «cisterne screpolate» (Geremia 2:13) cui abbeverarsi.

Non sempre, lo convengo, ma spesso molti «fanatici dell’Apocalisse» sono il risultato finale di questa «correzione» delle semplici parole del Signore.

Correzione che potrebbe costare cara a molti: «Se eravate certi che queste cose sarebbero avvenute, perché non ci avete avvertiti? Non sapevamo queste cose, perché ci avete lasciati nell’ignoranza? Ci vedevate continuamente: perché non ci avete parlato del giudizio a venire, e che dovevamo servire Dio, altrimenti saremmo periti?» (E. G. White, Manoscritto 102).

Ne convengo: il giudizio di Dio è uno di quei temi politicamente «scorretti»; tutta la frase di Ellen G. White è politicamente scorretta. «Io vi dico queste cose, perché quando avverranno…», voi possiate essere salvati.

Bisogno di profeti
Sono pienamente d’accordo con Vittorio Messori quando afferma che: «… è possibile mostrare, quasi in sinossi, come l’analisi laica e l’intuizione religiosa coincidano nel giudicare il nostro tempo un tempo di svolta, forse di fine. Le categorie escatologiche e apocalittiche escono, quindi, dal loro esilio nei libri profetici per trasmigrare anche nei saggi, negli articoli, nelle interviste dei laici» (A. Gentili, Quanto manca alla fine?, 1984). È vero: se si vuole sentire parlare di «segni dei tempi», bisogna ricorrere agli studi (a prova di fanatismo da Apocalisse) di questi «profeti laici». Essi, non tutti, poiché le esagerazioni abbondano anche tra loro, sono politicamente scorretti: hanno il coraggio di dire la verità. Sul cambiamento climatico, sul vampirismo della finanza da sala giochi, sulla criminalità, sulla violenza, ecc. Anche loro però subiscono la pressione dei tanti «scienziati» politicamente corretti che, a suon di statistiche, su questi temi si sforzano di «tranquillizzare» le coscienze.

Ho avuto il privilegio di conoscere e intervistare padre Alex Zanotelli, sacerdote da anni impegnato a gridare i «segni» che abbrutiscono il mondo. I politicamente corretti, compresi politici di professione, hanno cercato, da sempre, di azzittirlo, ma lui continua il suo ministero «profetico». Sono rimasto stupito quando, acquistando un suo libricino per un mio lavoro sull’economia, ho potuto leggere che la collana in cui lo scritto è inserito si chiama «Segni dei tempi» e che, in seconda di copertina, si legge: «Quando si fa sera, voi dite: “Bel tempo, perché il cielo rosseggia”; e al mattino: “Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo”. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?» (Mt 16:2,3).

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