Francesco Zenzale
– “Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio per amore di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo” (Dn 9:19).

Rileggendo la preghiera di Daniele rivolta al Signore, si può avere l’idea che le richieste in essa contenute dovrebbero essere esaudite, perché formulate da un uomo irreprensibile e responsabile a tal punto da assumersi colpe non sue, accettandone anche le conseguenze. Oppure perché la preghiera-confessione in sé è portatrice di esaudimento. Un’invocazione che esprime l’idea del do ut des o do ut facias, in cui l’esaudimento è accordato in virtù di un sacrificio, di un’opera, di una preghiera o dell’obbedienza.

In altre parole, il Signore perdona e agisce perché il credente prega, riconosce e confessa i suoi peccati e esprime desideri che ritiene siano uniformi alla volontà di Dio. Non credo che Dio si lasci intrappolare o determinare da un tale atteggiamento. Che permetta di piegare la sua volontà alla nostra perché adempiamo delle prescrizioni, a volte espresse con incessanti e estenuanti preghiere o forme liturgiche.

Un primo importante insegnamento che fluisce dalla preghiera-confessione di Daniele riguarda l’entrare in contatto con la realtà storica del suo popolo e personale, dal quale scaturisce l’appello alla misericordia di Dio. In altre parole l’invito a pregare presuppone come prima istanza la consapevolezza, che si espleta nel prendere contatto con le nostre ombre, i nostri veri bisogni e con il contesto in cui viviamo. Ciò significa che l’orante è invitato a sviluppare una percezione morale e spirituale, storica ed esistenziale, avendo come riferimento Gesù Cristo.

La seconda lezione riguarda la risposta di Dio. Il Signore non risponde a Daniele in virtù della tragica condizione del popolo e del santuario, per quanto sia dolorosa, riconosciuta ed espressa. Ma in virtù della sua compassione e della sua determinazione. Nel Padre nostro, l’imperativo che predispone il credente all’agire di Dio è: “sia fatta la tua volontà”. Lo è stato anche per Gesù nel Getsemani: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta” (Lc 22:42). “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7:21).

Dio salva, perdona, agisce e riforma la nostra vita solo in virtù del suo amore. “Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio per amore di te stesso» (Dn 9:19). “Io, io, sono colui che per amor di me stesso cancello le tue trasgressioni” (Is 43:25).

Dio non deve nulla a nessuno, tanto meno a noi che siamo come “un vapore che appare per un istante e poi svanisce” (Gm 4:14). Il salmista ricorda che “i giorni dell’uomo sono come lìerba; egli fiorisce come il fiore dei campi; se lo raggiunge un colpo di vento esso non esiste più e non si riconosce più il luogo dov’era” (Sl 103:15-16).

Solo la bontà del Signore e senza fine! (Sl 103:17). Egli riversa la sua misericordia sui suoi figli in virtù del suo amore. Non dobbiamo mai dimenticare che “è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (Ef 2:8-9).

Tutto ciò che facciamo e siamo, come figli di Dio, fluisce dall’amore di Dio che irrompe nei nostri cuori, nella potenza dello Spirito Santo. Non sappiamo neanche “pregare come si conviene”. Ma per grazia di Dio, “lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili” e “secondo il volere di Dio” (Rm 8:26-27)

Per saperne di più: assistenza@avventisti.it

 

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