Francesco Zenzale
– “Egli svela le cose profonde e nascoste; conosce ciò che è nelle tenebre, e la luce abita con lui” (Dn 2:22).

Gli studiosi non hanno nessuna difficoltà nel calcolare le settanta settimane come settimane d’anni. D’altra parte, non è praticabile una lettura testuale considerando il loro valore profetico-simbolico. In tal senso, il Talmud riferisce che “una settimana in Daniele 9 significa una settimana d’anni” (Yoma 54a). Il rabbino Cahen si esprime così a tale proposito: “Si tratta qui non di settimane di giorni, ma di anni, come Levitico 25:8 ‘sette sabati d’anni, sette volte sette anni’; così, settanta settimane d’anni fanno quattrocento novanta anni» (Cahen Samuel, La Bible, t. XVII, Paris, 1843, p. 49). “Queste settanta settimane devono intendersi per settimane d’anni, e formano 490 anni” (mon. Antonio Martini, La Sacra Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento, traduzione secondo la Vulgata, t. I, 2a ed., Fratelli Treves Editori, Milano 1877, col 418).

Il Signore, tramite il profeta Geremia, aveva annunciato l’imminente disastro economico e sociale d’Israele (Gr 25:11-12). Ciò, non per capriccio divino, ma a causa di uno stile di vita etico-spirituale e socio-politico deplorevole. Sono stati settanta anni di peripezie segnati dalla speranza del rimpatrio, della ricostruzione e della libertà politica e cultuale, grazie all’unto dell’Eterno, profetizzato dal profeta Isaia (cfr. Is 45:1 e segg.). Ciro, il re persiano e pagano, segnalato come il pastore e l’eletto, avrebbe soddisfatto tutti i desideri del Signore, edificando il tempio e Gerusalemme (Is 44:28). Infatti, con il decreto per la costruzione del tempio (530 a.C.), Ciro diede inizio al rimpatrio e a un nuovo percorso storico-spirituale. Poi, con il decreto di Artaserse I (457 a.C., cfr. Esdra 7:12-26), ebbe inizio l’edificazione di Gerusalemme.

Ma quale sarebbe stato il futuro d’Israele? Quale ruolo avrebbe avuto nella storia della salvezza dopo il rimpatrio? Quale relazione sussiste fra le settanta settimane, le 2.300 sere mattine e la purificazione del santuario?

Gabriele risponde a queste domande con una visione soteriologica, definendo il ruolo che Israele avrebbe avuto nella storia della salvezza. “Settanta settimane sono state fissate riguardo al tuo popolo e alla tua santa città, per far cessare la perversità, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo” (Dn 9:24). Questo testo ci offre la possibilità di formulare cinque brevi e interessanti riflessioni:
– Le settanta settimane d’anni sono state fissate (determinate, isolate, deliberate) da un’unità di tempo prevalente, in altre parole dalle 2.300 sere e mattine o 2.300 anni (Dn 8:14).

– I 490 anni assegnati a Israele sono superiori rispetto agli anni di esilio. Questi corrispondono esattamente a sette volte settanta. Ciò significa che il tempo di grazia, che Dio accorda all’uomo, è ineffabile rispetto alle limitate conseguenze del peccato. Questo insegnamento lo troviamo anche nel secondo comandamento: “punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Es 20:4-6).

– In questo interminabile periodo di grazia, Israele doveva “far cessare la perversità, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità e stabilire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo”. Ciò significa che il popolo d’Israele, quale nazione eletta, è totalmente coinvolto nell’evento messianico, mediante il quale si sarebbe stabilita “una giustizia eterna”, ponendo fine al rituale ebraico che tipologicamente costituiva “un’ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose” (Eb 10:1 e segg.).

– Come i settanta anni di deportazione sono stati vissuti nell’attesa dell’evento riguardante l’unto dell’Eterno (Ciro), che avrebbe costituito un nuovo inizio, anche i 490 anni dovevano essere vissuti avendo come riferimento la venuta del vero liberatore, di un unto capo, che avrebbe stabilito un patto con molti (Dn 9:25,27).

– Infine, come Israele, anche noi siamo invitati a vivere con una visione profetica, non di un evento messianico ma escatologico. In tal senso, l’apostolo Paolo fa presente che “la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù” (Tt 2:11-13).

Per saperne di più: assistenza@avventisti.it

Condividi

Articoli recenti