Non abbiamo bisogno di salvare la Chiesa.

Chantal e Gerald Klingbeil – Aveva dato il massimo per più di 40 anni. Aveva servito senza considerare i propri bisogni. Aveva gestito con saggezza decine di questioni difficili, era rimasto coerente quando sembrava non ci fosse via d’uscita, era intervenuto a favore di coloro che non potevano difendersi e non aveva mai fatto sue le posizioni preferite dalla maggioranza. E adesso tutto questo non contava più niente e gli veniva detto di farsi da parte, così? Era sbagliato e faceva male.

Chi ha familiarità con le assemblee amministrative, i comitati di nomina e il servizio nella denominazione può aver sentito diverse versioni di questo ritornello più e più volte. Raramente troviamo il momento giusto o le parole appropriate quando ci troviamo di fronte a transizioni di leadership o a cambiamenti strutturali. Ma questo non riguarda le assemblee, i comitati di nomina o il servizio nell’opera.

Al confine 
Mosè aveva servito fedelmente Dio e il suo popolo per circa 40 anni. Quando Dio lo aveva chiamato, aveva lasciato indietro la sua famiglia (Esodo 18:1, 2), aveva affrontato situazioni di vita o di morte confrontandosi con un faraone adirato e infuriato (Esodo 7-11), era rimasto con il suo popolo davanti al mare, mentre truppe egiziane agguerrite li inseguivano sui loro carri (Esodo 14:1-30), aveva vissuto numerosi miracoli divini. E ora Dio gli aveva semplicemente detto che non sarebbe entrato nella terra promessa perché aveva perso il controllo solo una volta? (cfr. Numeri 20:11, 12)

Il nostro senso di giustizia si sente un po’ scosso quando riflettiamo su questa situazione. Dio è forse uno sceriffo pignolo e perbenista che si accanisce su ogni nostro passo falso e non ha molta pietà quando sbagliamo? Ovviamente no! La tolleranza, la compassione, la pazienza e la grazia di Dio sono illustrate ripetutamente nella storia dell’esodo di Israele dall’Egitto e nella conquista della terra promessa, e vengono esplicitamente espresse in testi chiave come Esodo 34:6, 7; Numeri 14:18; e Deuteronomio 4:31. Dio è specializzato nel perdono e nei nuovi inizi della storia successiva di Israele, così come durante gli alti e bassi nei 400 anni di monarchia.

Se è così, perché questa reazione tanto dura dopo il passo falso di Mosè? 
“Allora l’Eterno disse a Mosè e ad Aaronne: ‘Poiché non avete creduto in me per dare gloria a me agli occhi dei figli d’Israele, voi non introdurrete questa assemblea nel paese che io ho dato loro’” (Numeri 20:12, ND). Ma Dio non può chiudere un occhio o guardare dall’altra parte solo un attimo?

Non può e non lo farà. Un primo indizio per comprendere questa situazione si trova nel libro dei Numeri, nella dichiarazione di Mosè al popolo; il testo dice: “Mosè e Aaronne convocarono l’assemblea di fronte alla roccia, e Mosè disse loro: ‘Ora ascoltate, o ribelli; faremo uscire per voi acqua da questa roccia?’” (20:10). In altre parole, dobbiamo occuparci di questo problema perché siete incapaci di confidare in Dio? 

Fate attenzione alla parola chiave “noi” (dobbiamo)! Mosè sembra ritenere che lui e il fratello fossero gli unici in grado di salvare il popolo e di offrire una soluzione. Certo, si basavano sulla guida di Dio ma, almeno dal linguaggio usato, doveva essere portata avanti da “loro”.

La sentenza di Dio nel versetto 12 lo spiega ulteriormente, perché il Signore mette entrambi i leader di fronte alla mancanza di fede. "Poiché non avete creduto in me" è un’affermazione cruda e del tutto inaspettata. Di solito non collego la “mancanza di fede” a personaggi di valore del calibro di Mosè o Aronne. La loro fede era stata spesso messa alla prova. Eppure, la valutazione divina indica proprio questa direzione.

È possibile che anche noi mostriamo una mancanza di fede quando dubitiamo che Dio sia davvero al timone di questa comunità di fede e consideriamo la nostra parte importante nel “salvare” la Chiesa di Dio? Dopotutto, abbiamo prestato un servizio messo alla prova dai conflitti per molti decenni, e ora Dio ci dice che può farlo anche in modo diverso?

Questa consapevolezza può far male. Quando vediamo le sfide e i problemi nella nostra Chiesa (con la C maiuscola), quando ascoltiamo le discussioni e le conversazioni intorno a noi, possiamo essere tentati di dire, con Mosè, “lasciate che vi metta in riga e risolva la questione!”. Non sarà che Dio non ha bisogno di me (o di noi) per salvare la sua Chiesa?

Diretto a casa 
Mosè deve essere rimasto terribilmente ferito quando ha udito il verdetto divino. Nessuna terra promessa per lui, solo uno sguardo da lontano dalla cima di una montagna. Ma anche se Dio non ha bisogno di noi per salvare la sua Chiesa, è desideroso di salvarci e di darci “infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo” (Efesini 3:20). Nel caso di Mosè, gli è stata data una visione panoramica della storia della salvezza, è risorto e più di 1.400 anni dopo si è trovato finalmente nella terra promessa per incoraggiare Gesù, Dio fatto uomo, mentre si preparava alla corsa finale contro la roccaforte di Satana (Matteo 17:1-13) e ottenere il diritto di ingresso nella terra promessa del cielo per tutti i figli di Dio di ogni generazione.

Le transizioni possono essere dolorose. Le transizioni possono disorientare. Le transizioni con Dio, tuttavia, ci aiutano sempre a vedere la bontà e la grazia finale del Signore nella nostra vita.

(Chantal e Gerald Klingbeil hanno servito la Chiesa avventista a livello internazionale per quasi tre decenni come professori, conduttori televisivi, redattori e direttori associati. Ora vivono vicino alla bellissima città di Amburgo, in Germania, e prestano servizio nella Federazione avventista anseatica)

[Fonte: adventistreview.org. Traduzione: Lina Ferrara] 

 

 

 

 

 

 

 

 

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