NA - Notizie AvventisteFrancesco Zenzale – La città di Efeso, menzionata al primo posto in Apocalisse 2:1-7, rivendicava a Pergamo la supremazia amministrativa nell’Asia Minore. Tra le sette comunità cristiane era la più importante. Già nell’antichità, la città era stata resa celebre dal filosofo Eraclito (540-480 a.C.), nonché dall’ultima delle “Sette meraviglie del mondo”: il tempio di Artemide. Quattro volte più grande del Panteon di Atene, era ornato da 117 colonne alte più di 20 metri. Il teatro conteneva 24.500 spettatori ed era stato costruito ai piedi del monte Pion (Atti 19:23-41). Agli inizi dell’era cristiana vi aveva svolto la sua attività missionaria San Paolo (Atti 18:19-21; 19:1-20), poi, secondo un’antica tradizione, l’apostolo Giovanni, e infine il discepolo di San Paolo, Timoteo (1Timoteo 1:3). La città marittima di Efeso era un centro spirituale e culturale di alta importanza, un punto d’incontro delle correnti filosofiche e dei culti orientali e occidentali. Efeso era celebre anche per le scienze occulte e i libri di arti esoteriche (Atti 19:19).

Il male che minaccia la comunità cristiana delle origini porta i tratti dei nicolaiti. Si tratta dei discepoli di Nicola, menzionato dal libro degli Atti (6:5) come appartenente alla chiesa di Antiochia, non lontana da quella di Efeso. Non è ben chiaro se Nicola sia diventato eretico o fosse stato frainteso dai suoi discepoli. Comunque, dalla testimonianza dei Padri della Chiesa sappiamo che i nicolaiti si caratterizzavano per la loro condotta licenziosa.

Nella lettera alla chiesa di Efeso, dal greco Ephesis, desiderabile, il Signore si presenta con parole rincuoranti: “…colui che tiene le sette stelle nella sua mano destra e che cammina in mezzo ai sette candelabri” (Ap 2:1). Tenere, nel senso di essere nelle mani di Dio, dove nessuno potrà rapirci (Giovanni 10:39) e camminare, ovvero, essere accanto e fare lo stesso percorso di vita, anche quando, come i discepoli di Emmaus, siamo incapaci di guardare al Gesù risorto (Luca 24). La lettera si conclude con un invito a sognare ciò che è stato perduto a causa del peccato, l’Eden, il giardino della felicità: “A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio” (Ap 2:7). Nel cuore della lettera scopriamo che Gesù è geloso e che reclama per sé il nostro amore: “il primo amore”.

Fra i tanti nomi che rivelano la natura di Dio è bello cogliere quello relativo alla gelosia. “Tu non adorerai altro dio, perché il Signore, che si chiama il Geloso, è un Dio geloso” (in ebraico: El Kanna) (Esodo 34:14).

La gelosia secondo Dio richiama la nostra attenzione al senso di appartenenza al Dio unico e ineguagliabile, a colui che ha dato la vita per la nostra salvezza, liberandoci dalla tirannia del peccato. Dio è geloso! Ciò significa che siamo importanti, che non vuole dividerci con nessuno, ma nel contempo, nel ricordarci del “primo amore”, manifesta il desiderio di essere considerato da noi come l’unico per il quale vale la pena perdersi. È un sollievo amare e sentirsi amati da Dio, appartenere all’altro, come l’altro appartiene a te. La gelosia implica il senso di appartenenza reciproca e proteggere questo amore da ogni cosa che possa diminuirne il valore, l’onore, la rispettabilità.

La comunità di Efeso rappresenta la chiesa primitiva del I e del II secolo.

Per maggiori informazioni: assistenza@avventisti.it

 

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