NA - Notizie AvventisteFrancesco Zenzale – “Dopo queste cose, udii nel cielo una gran voce come di una folla immensa, che diceva: ‘Alleluia! La salvezza, la gloria e la potenza appartengono al nostro Dio, perché veritieri e giusti sono i suoi giudizi. Egli ha giudicato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione e ha vendicato il sangue dei suoi servi, chiedendone conto alla mano di lei’. E dissero una seconda volta: ‘Alleluia! Il suo fumo sale per i secoli dei secoli’” (Ap. 19:1-3).

La visione della grande meretrice per secoli ha oscurato, come in un’eclissi solare, il cristianesimo, ma quando questa visione viene dissolta e mentre Babilonia sprofonda nell’abisso, un’altra si presenta agli occhi del profeta: si tratta di una festa nuziale.

La relazione che unisce Dio al suo popolo è di natura simile a quella che unisce gli sposi. È una relazione d’amore reciproco che impegna la coppia nella responsabilità.

Già nell’Antico Testamento (AT) i profeti parlavano del vincolo nuziale stipulato da Dio con il suo popolo eletto (Os 2:4,25; Is 54:4ss. 62:4ss; Ez 16:7ss.), e nel Nuovo Testamento (NT) è Cristo stesso che parla ripetutamente del banchetto nuziale messianico, designando se stesso come sposo (Mt 9:15; Gv 3:2). Egli è il Figlio del Re (Mt 22:1ss.), che imbandisce l’imponente banchetto nuziale (Mc 14:25; Lc 14:16ss.).

Anche la sposa “rivestita delle opere giuste dei santi” è presente nell’AT. Ci sono ben dieci passi in cui il popolo d’Israele viene designato come la sposa (Cantico dei Cantici 4:8-12; 5:1; Is 49:18; 61:10; 62:5; Ger 7:34). Nel NT la chiesa è presentata come la fidanzata di Cristo: “vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo” (2Cor 11:2).

Anche nell’Apocalisse la sposa è il simbolo del popolo di Dio, la quale – in netto contrasto con il sontuoso e sgargiante abbigliamento della meretrice Babilonia – si è preparata per le nozze con l’Agnello, indossando un semplice e modesto abito tessuto di puro e splendido lino.

Il matrimonio è preceduto da una serie di alleluia che si pongono in netto contrasto con i lamenti funebri che i re, i mercanti e i marinai della terra innalzano su Babilonia.
“I due primi alleluia sono pronunciati dalla folla e sono rivolti al passato. Il primo alleluia si fonda sulla riconoscenza della giustizia esercitata contro la grande prostituta (19:2). Il secondo alleluia intensifica l’emozione, con l’osservazione del fumo che sale nei ‘secoli dei secoli’, segno della sua definitiva distruzione (19:3), per volgere, alla fine, lo sguardo verso il futuro. La visione guarda, in definitiva, alla distruzione finale del male e della morte. L’espressione ‘nei secoli dei secoli’ che parla di conseguenze eterne, verrà utilizzata un po’ più avanti (20:10) per descrivere l’ultima fase del giudizio, quella che si riferisce a Satana e che è rappresentata, nella fase finale del rituale del Kippur, dal capro di Azazel e dalla sua fine (Lv 16:10,21,26). I due alleluia successivi sono pronunciati da esseri celesti (i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi) e non hanno altra ragione, se non la lode di Dio in sé. Il terzo alleluia si giustifica con l’adorazione di Dio ‘che siede sul trono’ (19:4), cioè del Dio che regna e che giudica. Il quarto alleluia è motivato dal timore di Dio (19:5) che caratterizza gli uomini, ‘i suoi servi’ (Ap 1:1). Il quinto e ultimo risuona più forte degli altri. Il profeta lo sente simile a un rumore di acqua e scoppi di tuono (19:6). È una lode decisamente proiettata nel futuro. Essa anticipa in qualche modo la venuta del regno di Dio: ‘Perché il Signore, Dio nostro, l’onnipotente, ha stabilito il suo regno. Rallegriamoci ed esultiamo e diamo a lui la gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa si è preparata’ (19:6-8)” (J. Doukhan, Il grido del cielo, Adv, p. 207).

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