Per decenni ha rappresentato la Chiesa avventista presso le altre denominazioni e gli organismi civili.

Lina Ferrara – Vi è una persona che, per oltre mezzo secolo, ha “costruito ponti di fede, amicizia e libertà” in diversi ambienti istituzionali del mondo. È Bert Beverly Beach, pastore avventista e plurilaureato, che ha servito la Chiesa come responsabile del Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa e ha saputo creare relazioni interconfessionali su scala globale, basate sul reciproco rispetto.
Il 14 dicembre, all’età di 94 anni, B. B. Beach si è addormentato nel Signore a Silver Spring, in Meryland, negli Stati Uniti. Era un uomo di fede, dal carattere aperto e amichevole, con una verve umoristica che lo ha accompagnato nell’intera sua vita.

Come Notizie Avventiste lo avevo intervistato nel 2013, in occasione della pubblicazione del suo libro Ambassador for Liberty (Ambasciatore della libertà) che raccoglie il ricco bagaglio di esperienze e di consigli dell’autore, ma anche un pezzo significativo della storia della libertà religiosa nel mondo. Un capitolo è dedicato all’Italia, perché B. B. Beach è stato direttore dell’Istituto avventista “Villa Aurora” di Firenze per sei anni.

In suo ricordo, riproponiamo l’intervista.

Notizie Avventiste: Nel suo libro di memorie ha riassunto il grande lavoro svolto in favore della libertà religiosa. Come si è evoluta la libertà religiosa negli ultimi cinquant’anni? 
Bert Beverly Beach: Mezzo secolo è un bel numero pieno. Esattamente 55 anni fa lasciai l’Italia, dopo sei anni felici e fecondi come direttore della scuola avventista di Firenze. Tuttavia, vorrei iniziare a rispondere alla domanda andando indietro di 65 anni, e cioè al 1948, quando mi laureai al Pacific Union College in California. Fu un anno di speranza. La Seconda guerra mondiale si era da poco conclusa e la democrazia e la libertà avevano vinto sulle dittature e la tirannia. Pochi mesi dopo la mia laurea, le Nazioni Unite, da poco istituite, approvarono la Dichiarazione universale dei diritti umani che all’articolo 18 affermava chiaramente e con forza la libertà religiosa. Il 1948 fu anche l’anno della fondazione del Consiglio Mondiale delle Chiese. Nella sua prima assemblea, le 147 chiese fondatrici approvarono un buon documento in sostegno della libertà religiosa.

Il cammino in favore della libertà religiosa proseguì nel 1965, quando il Concilio Vaticano II approvò la sua dichiarazione sulla libertà religiosa. Questo fu davvero un punto di svolta per la Chiesa cattolica romana che, dopo una lunga storia di persecuzione nei confronti dei non-cattolici, ora afferma che nessuno ha il diritto di impedire a una persona di credere e praticare la propria religione. Ho vissuto e visto i risultati di questo passo da gigante in posti come la Spagna e l’Italia.

Quando arrivai in Italia, nel 1952, per servire come direttore dell’Istituto “Villa Aurora”, due delle nostre chiese erano state chiuse dalle autorità governative. I miei mobili e i beni a un certo punto rimasero in dogana a Firenze per oltre quattro mesi, senza dubbio a causa della mia religione. Oggi, vi è una legge che regola i rapporti tra la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno e lo Stato italiano che, tecnicamente parlando, non hanno nemmeno negli Stati Uniti. Essa riconosce molti diritti, compresa l’osservanza del sabato. Inoltre, ora c’è anche la separazione tra Chiesa e Stato in Italia. Chi avrebbe mai pensato, 50 anni fa o giù di lì, che ciò sarebbe stato possibile?

Il maggior successo per la libertà religiosa fu la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa del 1981, per la quale lavorammo per diversi decenni. I nostri sforzi ebbero successo grazie anche al mio collega, il dott. Gianfranco Rossi, che riuscì a far includere una frase in cui si afferma il diritto di ogni persona a osservare i giorni di riposo in conformità con i precetti della propria religione. Vi è anche l’Atto finale di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, che permette a qualsiasi Paese firmatario di esaminare la situazione della libertà religiosa in un altro Paese firmatario. Una novità nelle relazioni diplomatiche internazionali.

Poi arrivò il maremoto di libertà seguito al crollo del comunismo totalitario nell’Europa orientale e la fine dell’Unione Sovietica. La Chiesa avventista fu ammessa con status consultivo presso il Consiglio economico e sociale dell’Onu (Ecosoc), obiettivo molto difficile da raggiungere quando il comunismo controllava ancora i governi di molti Paesi.

Quindi, ci sono stati progressi nella libertà religiosa ma sono sorti anche nuovi problemi. L’ondata di libertà religiosa nell’Europa orientale si è un po’ ritirata. Ciò è dovuto in gran parte alla collaborazione tra nazionalismo e desideri storicamente radicati di riconoscimento e supremazia delle ex chiese di stato. In un’altra parte del mondo, in India, dove la libertà religiosa è riconosciuta ufficialmente, ci sono forze indù all’opera, a volte con violenza, che mirano a limitare le chiese cristiane e la testimonianza.

Nei Paesi musulmani del Medio Oriente e del Nord Africa (e anche in altre parti dell’Africa), ora che l’influenza del colonialismo europeo non protegge più il cristianesimo, vi sono crescenti sforzi per limitare la presenza e la testimonianza cristiana. Infatti, islamisti e altri estremisti vogliono eliminare il cristianesimo in quei Paesi. Il risultato è che decine di migliaia di cristiani vanno via da queste zone.

Un altro problema che si è manifestato recentemente è il conflitto, potenziale e reale, tra la libertà religiosa e gli altri diritti umani. Si discute e sostiene che quando vi è conflitto tra diritti umani “concreti”, come guadagnarsi da vivere, controllo delle nascite o diritti degli omosessuali, ed “eterei e celestiali” diritti di libertà religiosa, è quest’ultima che perde!

N. A.: Quali sono stati i problemi più difficili che ha dovuto affrontare? 
B. B. B.: Certamente, i problemi di libertà religiosa nei Paesi comunisti e quelli nei Paesi cattolici prima del Concilio Vaticano II sono stati a volte molto difficili. In Albania, poi, erano “super difficili”. Vi era stato un martire avventista collegato alla Chiesa italiana. A Tirana, dopo la caduta del regime ateo di Enver Hoxha, abbiamo organizzato e condotto, insieme con Ray Dabrowski, il primo congresso sui diritti umani e la libertà religiosa realizzato nel Paese, a cui hanno partecipato ministri del governo, leader religiosi, il rettore dell’Università. È stato uno dei momenti più edificanti della mia vita. In quella occasione ho tenuto il discorso di apertura.

Senza dubbio, il maggiore e più difficile problema di libertà religiosa da affrontare è stato nei Paesi musulmani. L’islam non comprende e non accetta il concetto di separazione tra Chiesa e Stato. Vi sono difficoltà nel praticare il culto cristiano tra i musulmani, che aumentano notevolmente se si vuole evangelizzare. Diversi Paesi prevedono la pena di morte per chi si converte dall’islam al cristianesimo. La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 sostiene chiaramente “il diritto di cambiare religione”. Se la dichiarazione non fosse stata votata 65 anni fa, non credo che oggi sarebbe stato possibile includere tale diritto. Troppo forte sarebbe l’opposizione di decine di nazioni musulmane. Anche i “musulmani liberali” in generale non approvano l’evangelizzazione cristiana tra i musulmani.

Un problema che abbiamo dovuto affrontare, e di cui non mi piace parlare, è un problema interno della chiesa. In diverse parti del mondo, gli avventisti supportano poco il Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa. Ciò avviene specialmente nei Paesi in cui la situazione della libertà religiosa sembra relativamente buona e tranquilla. In alcune chiese, il dipartimento difficilmente esiste, o è quasi pro forma, affidato a volte a qualcuno con altre responsabilità che hanno un’attenzione prioritaria. Non è il caso dell’Unione italiana, dove da molti anni vi è un dipartimento della libertà religiosa veramente forte e sono grato per questo. Complimenti da un vecchio uomo della libertà religiosa.

La cosa che mi ha sbalordito di più è quando ho sentito di volta in volta delle voci, non troppo forti per fortuna, secondo cui lottando per la libertà religiosa si ritarda la seconda venuta di Cristo. Certamente non sono quelli che soffrono le persecuzioni a fare tali affermazioni prive di senso. Dio, al contrario, invita gli avventisti a tenere alta la bandiera della libertà religiosa per poter portare a termine la missione.

N. A.: Nel frequentare ambienti molto diversi da quello della sua Chiesa, ha mai avuto la sensazione di perdere la sua identità e le sue radici? 
B. B. B.: Nella mia vita ho avuto il privilegio di incontrare e conoscere alcuni dei leader politici e soprattutto religiosi più importanti del mondo. Ho avuto la fortuna di avere alcuni di loro come amici personali. Ho scoperto che gli alti dirigenti sono spesso semplici e meno consapevoli della loro importanza rispetto a quelli che ricoprono incarichi di livello minore. Ho scoperto che i grandi leader possono essere veramente amichevoli. La cosa importante, se si vuole avere degli amici, è essere noi stessi amichevoli, come è scritto nel testo biblico di Proverbi 18:24.

Nei 32 anni in cui sono stato segretario della Conferenza dei Segretari delle Comunioni Cristiane internazionali, ho fatto tantissime cose utili per “i miei amici”. Non ho mai sentito di perdere la mia identità. Ho sempre difeso la mia Chiesa e le sue convinzioni, e preso posizione per esse quando necessario. Sì, l’ho fatto sempre con rispetto e spero con umiltà, con un sorriso e, a volte, con humor, ma sempre con sincerità e correttezza.

Non ho mai perso le mie radici linguistiche. Ho parlato in italiano con i vescovi italiani e spagnoli. Mi ricordo che a un pranzo a Santa Marta in Vaticano, dato da papa Giovanni Paolo II, il vescovo incaricato delle Cerimonie Liturgiche Pontificie (che sta accanto alla sedia o soglio pontificio) mi disse quanto fosse contento di avere, seduto al suo tavolo, un americano che gli parlava in italiano! Ho parlato brevemente in tedesco con papa Benedetto XVI e un grande sorriso ha attraversato il suo volto quando gli ho detto che venivo dall’“Autunno d’oro” della Germania. Mi sono divertito a parlare in dialetto svizzero tedesco con le guardie svizzere, entrando in Vaticano, la sera in cui ero ospite.

A volte mi sono sentito un po’ solo, l’unico avventista in una riunione o sala, circondato da estranei, ma per fortuna alcuni sono presto diventati amici.

N. A.: Secondo lei, la crisi economica può avere delle conseguenze sulla libertà religiosa soprattutto delle confessioni di minoranza? 
B. B. B.: Qualcuno ha affermato che la guerra, soprattutto quella che si protrae, è pericolosa per la libertà. La crisi economica è una sorta di guerra latente. Più a lungo dura, più si colpisce tutti, specialmente i più deboli, i poveri e le minoranze. È evidente, quando il lavoro scarseggia, che i datori di lavoro sono meno disponibili a riconoscere il riposo del sabato o a trovare una soluzione in tal senso per i dipendenti avventisti. La migliore protezione che ho trovato, con l’aiuto di Dio, è quella di essere il migliore dipendente possibile. Da oltre trent’anni faccio parte del Rotary, uno dei principali club di servizio, e l’attuale presidente ama usare l’espressione giapponese “Ichiban”, che significa “fare del tuo meglio”. Questa è una buona parola per ogni avventista. Credo che un bravo datore di lavoro non vorrà perdere un dipendente coscienzioso e fidato. Nelle mie memorie cito un esempio eccezionale in Italia.

N. A.: Viviamo nell’era della globalizzazione; eppure, ovunque nascono nazionalismi radicali. Avendo vissuto, studiato e lavorato in diversi Paesi dei vari continenti, si sente un cittadino del mondo? Quale consiglio darebbe ai giovani in questo senso? 
B. B. B.: Considerando l’escatologia della Chiesa avventista, abbiamo affermato fin dagli inizi del nostro movimento che alla fine ci sarebbero state due superpotenze: una politica e l’altra religiosa. Questa visione profetica sembrava molto improbabile nel 1863, quando è stata organizzata la Chiesa Avventista del Settimo Giorno così come la conosciamo oggi. Gli Stati Uniti erano nel bel mezzo della più grande guerra del XIX secolo, la guerra civile, e si preoccupavano quasi esclusivamente del continente americano. La Chiesa cattolica sembrava implodere, stava perdendo il suo potere come Stato ed era sul punto di perdere la stessa Roma. La “globalizzazione”, di cui si parla nella domanda, era praticamente inesistente. Oggi abbiamo solo due superpotenze mondiali, una è uno stato politico, l’altra una religione, una chiesa veramente “cattolica”. I giovani avventisti devono rendersi conto di ciò e riconoscere l’influenza della globalizzazione, nel bene e nel male.

Un grande potere e una grande influenza producono sempre una reazione che, purtroppo, a volte prende la forma di cieco nazionalismo incondizionato e di una contro-globalizzazione sotto forma di fondamentalismo religioso, meglio inteso come “estremismo religioso”. Il terrorismo attira alcuni giovani, mentre altri scivolano nel dogmatismo religioso e nell’isolazionismo. Io mi considero americano e mi vedo anche come un uomo con una visione globale. Gesù ha detto: “il campo è il mondo”, ma ognuno di noi deve contribuire al “raccolto”, che è “la fine del mondo”. Credo che sotto il cielo italiano Dio abbia un compito da realizzare per ogni persona, un compito che puoi essere in grado di svolgere meglio di chiunque altro. Ellen G. White dice nel libro Educazione cristiana che Cristo scorge in ogni essere umano “infinite possibilità”. Infinito è più grande di nazionalismo, ma è anche più grande di globalizzazione. Invito il lettore a dirigere la propria vita in alto, verso la stella dell’”infinita potenzialità”.

Condividi

Articoli recenti