Edyta e Darius Jankiewicz – Vi è un passo della Scrittura che ha creato tante controversie nelle comunità cristiane: “Mogli, sottomettetevi ai vostri mariti, come al Signore” (Efesini 5:22). 
Negli oltre 30 anni del nostro ministero, abbiamo incontrato vari membri di chiesa che hanno faticato a interpretare questo testo. Uno era un membro di chiesa fisicamente offensivo nei confronti di sua moglie. Quando venne scoperto, utilizzò questo versetto biblico per giustificare i suoi abusi. In un'altra occasione, un giovane uomo in procinto di sposarsi venne a casa nostra e ci domandò come fosse strutturata l’autorità nella nostra famiglia. “Chi ha l’ultima parola?”, chiese. Gli spiegammo che il nostro matrimonio non funzionava secondo il principio dell’autorità dell’uno sull’altro, ma lui insistette sul fatto che l'ultima parola spettasse al marito. Più tardi, negli anni in cui insegnavamo in Seminario, a volte sentivamo questa opinione circolare tra i nostri studenti, i quali insistevano sul fatto che il matrimonio fosse impraticabile a meno che qualcuno non fosse responsabile della decisione finale (l’ultima parola, ndt).

Questa visione si rifletteva anche in un gruppo interconfessionale di cristiani conservatori con cui avevamo stretto amicizia mentre svolgevamo il nostro ministero nell’area del Pacifico. La loro incapacità di seguire questo insegnamento causava a volte un’autentica angoscia a questi sinceri cristiani. Tornavamo dagli incontri grati per la visione avventista del mondo; grati che la leader e co-fondatrice della nostra denominazione fosse una donna, qualcosa di impensabile per i nostri amici. Non sapevamo che, in un futuro non troppo lontano, la Chiesa avventista sarebbe stata coinvolta nella discussione sul ruolo delle donne nel matrimonio e nella vita della chiesa.

Quindi, cosa significa per una moglie sottomettersi al marito? E quale dovrebbe essere la portata di tale sottomissione? Poiché ognuno di noi interpreta questo versetto attraverso la lente della propria cultura, educazione e istruzione, ci sfugge a volte ciò che l’apostolo Paolo stava effettivamente cercando di dire.

Per chiarire il significato di questo passo, dobbiamo considerare il suo contesto. Quindi dobbiamo cominciare dall’inizio del capito di Efesini dove Paolo afferma quanto segue: “Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati; e camminate nell'amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Ef 5:1, 2).

Paolo inizia chiamandoci a imitare Dio e Cristo. Questa non è un'idea nuova. Già nell'Antico Testamento gli Ebrei venivano continuamente chiamati a imitare Dio. Ad esempio, in Levitico 19:2 leggiamo queste parole: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo”. Ma in Efesini 5:1, 2 troviamo un motivo nuovo per cui i cristiani devono imitare Dio: il suo amore per l’umanità. Ci sono tre parole greche che sono tradotte con "amore": eros, fileo e agàpe. In questo brano, l'agàpe di Dio, la più alta forma di amore, deve essere la nostra motivazione per imitarlo. Ma c'è di più.

In Efesini 5:2, Paolo ci ricorda che l'amore agàpe di Dio è caratterizzato dal dono e dal sacrificio di sé. È stato l'amore agàpe che ha fatto sì che Cristo “rinunciasse a se stesso” (in greco: paredoken heauton) per noi. Ogni volta che queste due parole greche sono usate per descrivere ciò che Cristo ha fatto per l'umanità, è un'indicazione che l’autore sta descrivendo la più alta forma di sacrificio che Dio avrebbe potuto attuare, la sua morte sulla croce. Un concetto simile è espresso in Filippesi 2:8, dove Gesù "umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce". È questo tipo di amore, umile e sottomesso, che siamo chiamati a imitare nelle nostre relazioni. E sono questi versetti (Efesini 5:1, 2) che forniscono il contesto più ampio per il resto del capitolo.

Inoltre, Efesini 5:22 fa parte di una discussione più ampia sul matrimonio, che inizia nel versetto precedente: "sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo" (v. 21). Come sappiamo che questa discussione inizia nel versetto 21? Nell'originale greco, i manoscritti più antichi e affidabili omettono la parola "sottomettere" nel versetto 22, e il versetto dice semplicemente: "Mogli, ai vostri mariti". Pertanto, il verbo sottomettere nel versetto 22 è preso in prestito dal versetto 21. Questa è un'indicazione che il contesto per la discussione sulla relazione coniugale (cfr. vv. 22-33) è la sottomissione reciproca, come delineato nel versetto 21.

È importante sottolineare che questa mutua sottomissione trova il suo fondamento nel “timore di Cristo” (v 21). Questa frase indica che si tratta di una “sottomissione” che non si può pretendere, così come Dio Padre non ha preteso la sottomissione di Dio Figlio. Piuttosto, ci sottomettiamo ai nostri coniugi, reciprocamente e volontariamente, perché questo riflette la sottomissione reciproca e volontaria che esiste nella Deità, e in particolare la sottomissione di Cristo nel portare volontariamente i nostri peccati sulla croce.

Il principio della sottomissione reciproca, fondato sull’amore agàpe e riflesso nella Deità, fornisce un esempio per tutte le relazioni cristiane. Questo è il motivo per cui gli scrittori del Nuovo Testamento si definivano “servo” (diakonos) e “schiavo” (doulos). In ciò seguivano le orme di Gesù che usava queste due parole anche per descrivere se stesso e la sua missione (cfr. Marco 10:43-45). Di conseguenza, Paolo esortò i primi cristiani a seguire l'esempio di Gesù: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio… svuotò se stesso, prendendo forma di servo (doulos), divenendo simile agli uomini” (Filippesi 2:5-7). Allo stesso modo, in Galati 5:13, Paolo implorava: “per mezzo dell’amore servite (doulos) gli uni agli altri”.

Stabilito che tutti i rapporti cristiani devono fondarsi sulla sottomissione reciproca (cfr. Ef. 5:21), Paolo prosegue esplorando il modo in cui questo principio si applica ai rapporti tra marito e moglie: “Mogli, [sottomettetevi][1] ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa” (vv. 22-24).

In questo testo complesso e teologicamente ricco, la maggior parte delle persone tende a concentrarsi principalmente sulle parole "mogli [sottomettetevi] ai vostri mariti". Alcuni lettori filtrano queste parole attraverso la lente della cultura contemporanea e quindi considerano l'ingiunzione di Paolo troppo restrittiva e perciò irrilevante. Altri le danno toni non biblici di “autorità su”[2] e si aspettano che le mogli cristiane si pongano sotto l'autorità dei loro mariti. Tuttavia, un’attenta lettura di questi versetti rivela che il messaggio di Paolo era incredibilmente controculturale.

La prima cosa da notare è che quando Paolo scrisse della sottomissione delle mogli, non disse nulla che sorprendesse i suoi lettori, poiché questo era un aspetto profondamente radicato nelle antiche convenzioni sociali e familiari greco-romane ed ebraiche. Tuttavia, l'insistenza di Paolo sul fatto che le mogli dovessero sottomettersi ai loro mariti “come al Signore” (v. 22) introdusse un concetto radicalmente nuovo, poiché implicava una sottomissione volontaria.

Inoltre, Paolo indirizzò questi versetti alle mogli piuttosto che ai mariti, il che era rivoluzionario e controculturale nel primo secolo dopo Cristo. Un modo culturalmente più appropriato di comunicare sarebbe stato quello di rivolgersi ai mariti, che avrebbero poi trasmesso il messaggio alle loro mogli. Il fatto che Paolo si rivolgesse direttamente alle mogli era un’ulteriore indicazione che la sottomissione non poteva essere richiesta, ma piuttosto doveva essere volontaria. Così, in netto contrasto con la pratica degli antichi uomini greco-romani, i mariti cristiani non dovevano rivendicare l'autorità sulle loro mogli, poiché la prima fedeltà di una moglie cristiana era a Cristo.

È nel versetto 25, tuttavia, che Paolo capovolge ogni convenzione greco-romana: “Mariti, amate (agàpe) le vostre mogli, come Cristo ha amato (agàpe) la chiesa e ha dato se stesso per lei”. Nelle parole “ha dato se stesso” per lei riecheggiano i versetti 1 e 2 dello stesso capitolo, dove Paolo aveva esortato tutti i cristiani ad amare come Cristo ha amato e “ha dato se stesso”. In altre parole, i mariti sono esortati ad amare le loro mogli nello stesso modo in cui Cristo ama, in modo sacrificale. Non c'è nessun insegnamento qui per i mariti di governare sulle loro mogli; anzi, sono esortati ad amarle (agàpe), come Cristo ha amato (agàpe) la chiesa. Invocando la sottomissione di Cristo, che era "per natura Dio" (cfr. Filippesi 2:6) e tuttavia assumeva il ruolo di servo, Paolo capovolse la concezione tradizionale della sottomissione coniugale e offrì invece un modello di radicalità cristocentrica e sottomissione reciproca. Di conseguenza, quando Cristo è l'esempio sia per il marito sia per la moglie, il matrimonio cristiano può essere una testimonianza dell’amore di Cristo e del Suo sacrificio per la sua sposa.

Allora, cosa significa "sottomissione reciproca" nel nostro matrimonio? Significa che ci sottomettiamo l'un l'altro nel nostro dono, a volte segue quelli che sono considerati ruoli tradizionali di genere, ma altre volte non lo è (cfr. Romani 2:6-8; 1 Corinzi 7:7). Significa che, di fronte a decisioni su cui non siamo d'accordo, non c'è mai una "parola finale" da parte di nessuno di noi due. Piuttosto, ci prendiamo del tempo per discutere insieme finché non raggiungiamo il consenso, o almeno un compromesso con cui possiamo convivere (cfr. Colossesi 3:12). Significa che, nel perseguire le nostre speranze e i nostri sogni individuali, consideriamo non solo i nostri interessi, ma anche gli interessi dell'altro (cfr. Filippesi 2:4). Non sempre lo viviamo perfettamente; tuttavia, continuiamo a fissare lo sguardo su Gesù, nostro modello per amare bene.

Edyta e Darius Jankiewicz prestano servizio presso la Regione Pacifico del sud della Chiesa avventista, lei in qualità di associata ai Ministeri Femminili, lui come segretario dell’Associazione pastorale e coordinatore dei Ministeri dello Spirito di profezia.

Note 
[1] Come sottolineato in precedenza, nell’originale greco la parola “sottomettere” non ricorre nel versetto 22 poiché è stata presa in prestito dal versetto 21, collegando così i due testi.

[2] Marco 10:43-45 mostra il rifiuto esplicito di Gesù del concetto di "autorità" sugli altri credenti.

[Fonte: Adventist Record

 

 

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