Michele Abiusi – La prima volta che ho letto tutta la Bibbia, a 11 anni, saltavo a piè pari tutte le lunghe e “noiose” genealogie… Nella Bibbia ve ne sono tante, perché rappresentano la carta d’identità dei personaggi, esprimono l’appartenenza al popolo eletto. Dei quattro Vangeli, solo quelli di Matteo e Luca riportano la genealogia di Gesù, e ci troviamo anche dinanzi a liste differenti l’una dall’altra. Luca la pone all’inizio del ministero pubblico di Gesù, subito dopo il battesimo, ed elenca 77 nomi. “Gesù, quando cominciò a insegnare, aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, di Eli, di Mattàt, di Levi, di Melchi, di Iannài, di Giuseppe,  di Mattatìa, di Amos, di Naum… (continua a leggere in Luca 3:23-38).

Il suo scopo è sottolineare l’attività salvifica e universale del Messia. Luca ne fa una descrizione da storico.

Matteo introduce il suo Vangelo con una lista di 42 nomi. “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo. Abraamo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli; Giuda generò Fares e Zara da Tamar; Fares generò Esrom; Esrom generò Aram; Aram generò Aminadab; Aminadab generò Naasson; Naasson generò Salmon; Salmon generò Boos da Raab; Boos generò Obed da Rut; Obed generò Iesse, e Iesse generò Davide, il re…” (continua a leggere in Matteo 1:1-17).

Matteo vuole sottolineare il fatto che Gesù si colloca, prima della nascita, nel popolo di Dio. Non siamo di fronte a un’introduzione storica nel senso moderno del termine; non dice nulla del contesto generale e religioso in cui si svolsero quegli avvenimenti. Matteo ne dà una portata teologica. Nel presentarci la nascita di Gesù che merita il riconoscimento del cielo (una stella) e degli uomini (i magi), Matteo vuole dimostrare che la sua venuta sulla terra ha delle implicazioni universali e perciò inseparabili dal concetto di popolo di Dio.

Gesù è legato alla storia, anche se lo è in un modo del tutto particolare. Era dunque necessaria una genealogia che lo situasse socialmente all’interno del popolo eletto, ma che conferisse allo stesso tempo le pretese messianiche della comunità nei suoi confronti. Partecipazione, dunque, alla realtà dell’esistenza umana, ma rottura con i vincoli del normale processo generazionale.

Indicando tre cicli di due volte sette (periodo patriarcale, regale, post-esilico) non fa solo un riepilogo della storia d’Israele, ma evoca i temi essenziali del Vangelo: invio a Israele e filiazioni Abraamica, salvezza delle nazioni; filiazione davidica, regalità; filiazione divina, “La vergine sarà incinta e partorirà un figlio, al quale sarà posto nome Emmanuele, che tradotto vuol dire: Dio con noi” (Matteo 1:23).

Gesù realizza la promessa fatta ad Abraamo. Le promesse furono fatte ad Abraamo e alla sua progenie. “Non dice: ‘E alle progenie’, come se si trattasse di molte; ma, come parlando di una sola, dice: ‘E alla tua progenie’, che è Cristo” (Galati 3:16).

Venendo alla fine di sei generazioni, Gesù inaugura con l’inizio della settima la pienezza dei tempi. Il Vangelo di Matteo si apre con la parola “Genealogia” (geneseos in greco) che significa anche “genesi” e può evocare l’idea che con Gesù, secondo Adamo (cfr. Romani 5), inizia una nuova genesi, una nuova umanità.

È probabile, dunque, che la genealogia di Matteo vada al di là della generazione biologica, in senso stretto; emerge l’azione di Dio che suscitava un popolo ad Abramo, ma soprattutto a Gesù.

Matteo allude a Gesù come a colui che è radicato nella storia per restaurare una nuova umanità, e come colui che è il legittimo erede al trono di Davide.

È bello, allora, celebrare il Natale della nostra nuova umanità!

Il Vangelo di Giovanni non presenta una genealogia, ma i suoi primi versetti sono un chiaro riferimento all’incipit della Genesi. Poi, entra nella missione di Gesù. “Il giorno seguente, Giovanni era di nuovo là con due dei suoi discepoli; e fissando lo sguardo su Gesù, che passava, disse: ‘Ecco l'Agnello di Dio!’. I suoi due discepoli, avendolo udito parlare, seguirono Gesù. Gesù, voltatosi, e osservando che lo seguivano, domandò loro: ‘Che cercate?’. Ed essi gli dissero: ‘Rabbì (che, tradotto, vuol dire Maestro), dove abiti?’. Egli rispose loro: ‘Venite e vedrete’. Essi dunque andarono, videro dove abitava e stettero con lui quel giorno. Era circa la decima ora. Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udito Giovanni e avevano seguito Gesù. Egli per primo trovò suo fratello Simone e gli disse: ‘Abbiamo trovato il Messia’ (che, tradotto, vuol dire Cristo); e lo condusse da Gesù. Gesù lo guardò e disse: ‘Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu sarai chiamato Cefa’ (che si traduce ‘Pietro’)” (Giovanni 1:35-42).

Vi è un dettaglio che merita di essere rimarcato: solo uno dei due discepoli viene nominato (è Andrea), mentre l’altro resta rigorosamente senza volto e senza nome. È una casella vuota che ciascuno può riempire. Il discepolo anonimo ha il volto mio, tuo, suo…  E allora affiancandoci a lui, possiamo ripercorrere il cammino del discepolo dietro Gesù, secondo i tre verbi tematici: cercare, dimorare, testimoniare.

“Che cercate?” 
Viviamo in tempi di pensiero debole; per la nostra cultura occidentale il valore supremo non è la verità, ma la sincerità, l’autenticità. Tuttavia, il puro desiderio di autenticità non basta, può portare a esiti individualistici e, in casi estremi, anche violenti. Né si può essere sempre “in ricerca”. Finché si è alla ricerca della verità, il protagonista è il ricercatore. È un tentativo sottile di tenere in scacco Dio. Di questo passo, infatti, gli uomini e le donne possono passare la vita intera a fare ricerche su Dio, senza mai adorare Dio.

“Rabbì, dove abiti?” 
Una tale intimità di rapporto tra maestro e discepolo si ha solo nel cristianesimo. Gesù non è un maestro che resta esterno al discepolo, non è riducibile a un modello perfetto che il povero discepolo si deve sforzare di imitare a tutti i costi. Gesù Cristo “vive in me” e “per me vivere è Cristo”.

Quando trovò suo fratello Simone, Andrea gli disse: “Abbiamo trovato il Messia”. Succede sempre così. Se hai veramente incontrato il Signore, se hai risposto sinceramente “sì” alla sua chiamata, quando riprendi il fiato non sei più quello di prima.

Io, tu, lei, lui… ognuno con la sua faccia e la sua storia, identificati per nome e riconosciuti uno a uno, e chiamati a raccontare, con una vita cambiata, che noi lo abbiamo incontrato.

 

 

 

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