Trasparenza

Trasparenza

Francesco Zenzale – Trasparenza è una parola tanto decantata, quanto disattesa nella sua attualizzazione. La trasparenza è una questione centrale perché investe tutti gli aspetti della vita. Sia che si tratti dell’economia globale, la gestione di un’impresa, la politica nazionale e internazionale, i rapporti umani, familiari, ecclesiali, ecc.

È una parola attraente e dall’ampio significato, si lega alla franchezza, all’integrità, all’onestà, alla correttezza, alla chiarezza, all’apertura, al rispetto, al senso di responsabilità, delle regole e a tante altre cose che ci permettono di rapportarci correttamente agli altri. Essere trasparenti non significa essere maleducati, parlare a sproposito, essere vendicativi, ma esprimersi correttamente offrendo la propria valutazione senza esprimere giudizi di condanna, ma promuovere una sana dialettica tesa a consolidare i rapporto umani e a trovare soluzioni adeguate a fatti e aspetti della vita familiare, ecclesiale che hanno bisogno di essere migliorati o qualificati.

Parlare chiaro è un esercizio particolarmente rischioso quando per farlo bisogna riconoscere i propri sbagli con relative conseguenze. Pertanto, molti sono coloro che preferiscono tacere, rimanere nell’opacità, piuttosto che essere trasparenti assumendosi le proprie responsabilità. Altri, vivono nel silenzio per paura di essere censurati, isolati, emarginati, oppure si assoggettano facendo finta di essere d’accordo pur di essere tra quelli che detengono una certa autorità. Altri ancora, parlano di nascosto, dietro le quinte, perché non hanno il coraggio di esprimere il loro pensiero o le loro idee per paura di non essere preso in considerazione. Infine, ci sono anche quelli che parlano di nascosto, con l’uno o con l’altro, senza mai assumersi le proprie responsabilità o che congiurano ai danni altrui, illudendosi di farlo in buona fede.

La trasparenza non ha nulla a che fare con l’omertà, l’oscurità, l’opacità, la segretezza, la disonestà, l’immoralità, con il nascosto. Non dimentichiamo che «non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto» (Mt 10:26). Martin Luther King Jr. ha detto: «La nostra vita comincia a finire il giorno in cui diventiamo muti sulle cose che contano».

Relativismo

Relativismo

Marco Süss – Viviamo un momento storico in cui tutti, consapevoli delle difficoltà della convivenza in un mondo multiculturale, cercano di trovare il modo migliore per raggiungerla nell’espressione più serena possibile. Non esiste una formula matematica per ottenere questo risultato, così assistiamo ai più svariati tentativi; ma con quali risultati?

In contrasto con la radicalizzazione sulle proprie posizioni, il relativismo propone di adattarsi alle diverse esigenze dettate dagli usi e costumi altrui. Esiste così un relativismo politico in cui ci si apre agli altri accettandone i loro ideali, pur non condividendoli pienamente: e un relativismo morale con l’apertura verso l’adozione di principi etici in contrasto con la propria coscienza; fino a praticare un relativismo religioso che, pur apparendo umanamente comprensibile e forse addirittura strategicamente virtuoso per la realizzazione di un clima nuovo di pace e di sicurezza mondiale nelle relazioni fra differenti fedi, in realtà esprime un debole tentativo di superare queste diversità. Mi riferisco al Chrislam, nuova religione sincretistica nella quale alcuni schieramenti cattolici, evangelici e islamici troverebbero molti punti in comune, nell’ottica di creare una specie di ponte attraverso il quale musulmani e cristiani possono incontrarsi.

Quale alternativa? Non si può barattare la propria fede in nome del quieto vivere accettando tutto e il contrario di tutto; non resta che il dialogo senza preconcetti, aperto verso la conoscenza e il rispetto delle diversità.

Confido che qualunque relativismo non diventi una forma di dittatura che, in nome del pluralismo e della serena convivenza, ci imponga di rinunciare a noi stessi per aderire a una nuova religione o filosofia che metta tutti d’accordo, eliminando ogni motivo di divergenza teologica.

Scaricabarile

Scaricabarile

Ennio Battista – È una pratica diffusa. La tendenza a non essere mai responsabili di qualcosa. Se sto male è sempre colpa dei geni. Se non riesco a raggiungere un obiettivo è colpa della società o dello Stato. Se mi sono macchiato di un delitto, ci sarà sempre un particolare di una scena del teatro sociale a evidenziare la mia innocenza. Lo scaricabarile è infatti evidente nei processi giudiziari. Dove capita che il comandante di una nave, dopo mesi, indichi nel timoniere la causa prima del disastro marittimo; oppure che l’omicida sia considerato tale a causa di un «raptus». E, in ultimo, dove se sono finalmente colpevole, è frutto di un complotto.

Una delle più belle eredità del protestantesimo è invece la rivendicazione della responsabilità individuale di fronte a Dio e agli uomini. Un retaggio che vale la pena rinvigorire nelle nostre coscienze.

[immagine: Copyright © 2009-2013 6aprile.it]

Felici senza soldi

Felici senza soldi

Maurizio Caracciolo* – Laura Galletti faceva la grafica pubblicitaria, guadagnava bene ma viveva a ritmi vertiginosi. Dodici anni fa, la svolta: decide spontaneamente di privarsi di ogni bene terreno. Oggi, ribadisce di esserne orgogliosa, «fiera di vivere fuori da un sistema con regole fatte da altri. Io non faccio nessun sacrificio, si può benissimo vivere senza denaro, basta cambiare il concetto di piacere…». Un esempio per «consolare» chi ha perso il lavoro o incoraggiare chi vive nella precarietà economica? No, di certo! Laura era ed è single, ha potuto fare una scelta le cui conseguenze ricadono esclusivamente su di lei. Soprattutto è stata libera di scegliere e di non essere una delle tante vittime sacrificali dell’economia, della speculazione, dell’avidità. Eppure, nella sua storia ci sono spunti che devono far riflettere ogni credente, perché la sana esaltazione di un valore come la rinuncia, che i meccanismi impazziti della nostra società ci hanno fatto perdere di vista, hanno alterato il nostro «concetto di piacere». Per leggere l’articolo di Jacopo Storni sul Corriere Fiorentino cliccare qui.

*vicedirettore delle Edizioni Adv

Relativismo

Sprechi Alimentari

Giuseppe Marrazzo – L’11 settembre la Fao ha lanciato un grido di allarme. Ogni anno sprechiamo ben 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che hanno un costo di 750 miliardi di dollari. Per spreco s’intende la riduzione non intenzionale del cibo destinato al consumo umano a causa di una inefficiente catena di approvvigionamento. Tuttavia gli sprechi alimentari gravano sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità. Ogni anno il cibo prodotto e non consumato sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo del Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Tutto questo accade sotto gli occhi di 870 milioni di persone denutrite o sottonutrite, e dei quali molti sono bambini.

Che cosa fare?

a. La riduzione degli sprechi deve diventare una priorità. Soprattutto occorre ottimizzare la produzione e il consumo.

b. In caso di eccedenze alimentari occorre donare cibo alle persone più vulnerabili della società; se non è adatto per il consumo umano può essere destinato all’alimentazione animale, al posto di produrre mangimi commerciali costosi.

c. Dove non è possibile il riutilizzo, occorre almeno riciclare l’eccedenza di cibo per elaborare dei composti, recuperare energia, ecc.

In Viale Morgagni a Firenze, ma lo stesso accade a Roma, Napoli, Milano, un signore munito di gancio e una borsa spesa con ruote, rovista nei cassonetti per recuperare il recuperabile per la sopravvivenza. A Londra c’è un uomo, con bombetta e ventiquattrore, che ogni giorno da dieci anni a questa parte, si alimenta con quello che riesce a recuperare dai cassonetti dell’immondizia. Molte pietanze gustosissime derivano dalla consuetudine contadina di non buttare mai il cibo: con il pane raffermo si possono fare un’ottima zuppa di cipolle, «l’acqua pazza» e perfino la famosa «fonduta».

Messaggio in bottiglia

Messaggio in bottiglia

Giuseppe Marrazzo. Passeggiando sulla spiaggia del parco naturale di San Rossore (Pisa), Elena Pochini trova, tra tronchi erosi dalla salsedine, una bottiglia con il classico messaggio arrotolato. Emozionata come una bambina, srotola il foglio e legge. Viene dalla Danimarca, è scritto in inglese con calligrafia tonda tipica di un adolescente e dice: «Hallo, sono felice che qualcuno abbia trovato il messaggio…», firmato, Helene, stesso nome di colei che l’ha trovato. In epoca di internet, sms e in piena comunicazione tecnologica una ragazzina di 14 anni affida un messaggio alle onde del mare e alla fine la bottiglia si ferma sulla spiaggia toscana, come nel film «Le parole che non ti ho detto» con Kevin Costner. Che cosa vuole dire questa ragazzina? Si sente triste? Ha preso una cotta per un coetaneo, ma non è corrisposta? Ha bisogno di ricevere conferme emotive? Questo episodio apre uno «spaccato» sul mondo degli adolescenti. Quell’età di mezzo dove non si è più bambini ma neppure adulti; età stupenda in cui senti emozioni così forti da attraversare come una corrente partendo dalle unghie dei piede alla cima dei capelli. Quegli stessi giovani che tra qualche giorno, zaino in spalla, faranno nuove amicizie, in aule scolastiche e troveranno nuovi insegnanti e altri testi su cui chinarsi per proseguire la formazione alla vita. Su, coraggio! Non siete soli.

Relativismo

Tempo di agire

Lina Ferrara – Ogni mattina all’alba, Marian è già all’opera: toglie i rifiuti dai marciapiedi, strappa le erbacce, sradica i rovi dai fossati, libera gli alberi dalle foglie secche e dai rami spezzati, controlla la salute delle piante. Cosa c’è di speciale? Marian è un barbone romeno, in Italia da alcuni anni, che ha deciso di fare qualcosa per il quartiere di Roma nord dove vive. Conosce le piante e la natura, e così mette a disposizione gratuitamente queste sue abilità per il bene della comunità.

Non lasciatevi ingannare da capelli e barba incolti. Marian è amato e apprezzato dagli abitanti per la sua onestà e gentilezza, e per il servizio che svolge ogni giorno, instancabilmente, cambiando il volto delle strade. Una volta, con i pochi spiccioli racimolati, era andato a comprare piccone, vanga e altri attrezzi, e il negoziante glieli ha regalati.

I media lo hanno definito «il Forrest Gump della Cassia» o «l’angelo custode della città», ma l’uomo non dà importanza a tutto ciò, continua a svolgere questa specie di «missione» che si è proposto.

Inevitabile pensare alla missione affidataci da Gesù. Possiamo prendere esempio da questo semplice signore che ha iniziato «a fare». È questo il servizio: umile, silenzioso, costante, gentile, ma estremamente efficace.

Nella società della crisi si riscopre il valore della solidarietà che sembrava quasi completamente cancellato dagli ultimi decenni di apparente benessere e di carriere rampanti. Così succede che i fruttivendoli regalano frutta e verdura a chi non ha soldi; i responsabili dei supermercati spesso non denunciano chi prende alimenti che non può pagare; i pizzaioli donano i loro prodotti a chi ha veramente fame.

Servizio e solidarietà devono caratterizzare anche la nostra presenza come sale della terra. È tempo di agire.

Scopo dell’incarico

Scopo dell’incarico

Giuseppe Marrazzo – Si fa un gran parlare intorno alla durata degli incarichi, uno o due anni, quattro o cinque anni. Sempre di più sembra che gli incarichi, come lo yogurt, abbiano la data di scadenza. Qualcuno vuole mettere la scadenza anche alla giustizia e, soprattutto, ai giudici. Tra poco le comunità voteranno le liste delle nuove nomine che entreranno in carica all’inizio del nuovo anno ecclesiastico (settembre).

La Scrittura ricorda che lo scopo dell’incarico è quello di «far sorgere l’amore che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera» (1 Tm 1:5). In questo caso gli aggettivi sono fondamentali, ma sono anche stimoli che devono toglierci il sonno: puro, buono e sincero. Attributi che mettono in crisi il cuore, la coscienza e la fede.

Relativismo

Occupazione

Giuseppe Marrazzo – In 5 anni abbiamo perso in Italia 674.000 posti di lavoro, ora sono a rischio altri 123.000. Occorre, e siamo già in ritardo, varare una strategia per garantire un lavoro anche alle fasce giovanili pesantemente colpite dalla devolution.

L’altro giorno parlavo con un giovane della mia chiesa colpito dalla spending review, sembra un morbo mortale. Lavorava come tecnico in un laboratorio di informatica; ora è stato mandato a casa. Da sei mesi anche suo papà non ha più lavoro! Lavorano le due sorelle e lui solo su chiamata, ma molto sporadicamente. Mentre parlava mi si stringeva il cuore e mi chiedevo: che cosa può fare la mia chiesa? Come posso dare maggior risonanza al suo disagio?Sabato era in chiesa per ricevere un sostegno spirituale. È già qualcosa! C’è anche chi se la prende con Dio. Ma Dio non c’entra con le follie con cui l’uomo crea trappole mortali. Chi ha orecchie per udire, oda.

Relativismo

Perché sono contento di essere avventista

Clifford Goldstein*- L’altro giorno ascoltavo alla radio un predicatore che descriveva gli eventi degli ultimi giorni. Da un giorno all’altro, ha avvertito, i cristiani fedeli saranno rapiti, cioè immediatamente trasportati in cielo e al loro posto resterà solo un mucchio di vestiti. Scompariranno lasciandosi alle spalle tutti gli altri, i non salvati. Questi ultimi, senza la presenza dei cristiani fedeli portati via in modo soprannaturale, avranno un’altra possibilità di accettare Gesù, ma dovranno affrettarsi perché l’anticristo, forse un ebreo siriano, susciterà un periodo di sette anni di tribolazione prima dell’inizio dei mille anni di pace in terra.

A un certo punto ho pensato: sono grato di essere avventista, perché pur avendo ancora domande senza risposta sulla comprensione degli ultimi eventi, non è previsto il rapimento dei santi, lasciando al loro posto un mucchio vestiti.

Sono contento di essere avventista perché l’idea che Dio farà in modo che gli empi, secondo alcune interpretazioni, brucino all’inferno per l’eternità, la trovo assurda. Resto frastornato dinanzi agli scritti di teologi brillanti che giustificano l’idea che i non salvati meritino di soffrire per l’eternità le torture dell’inferno; anzi, che un simile destino sia stato concepito da un Dio misericordioso. Quanto sono grato di essere avventista per la nostra comprensione del destino dei malvagi!

Per conseguenza, sono contento di essere avventista perché ciò che crediamo sulla morte ci mette al riparo da ogni tipo d‘inganno sullo stato dei defunti. Forse alcuni hanno letto di esperienze di premorte, in cui le persone dichiarate clinicamente morte tornano in vita e raccontano storie fantastiche come quelle di galleggiare in un regno nebbioso e di incontrare amici e parenti defunti. La cosa triste è che molti pensano che questi racconti siano una «prova» che i morti vivano nell’aldilà. Una grande mistificazione in cui, come avventisti, non possiamo cadere.

Inoltre, a mano a mano che invecchio, sono grato per ciò che l’avventismo mi ha insegnato sulla salute. La scienza medica afferma che per prevenire molte malattie accorra una sana alimentazione. Quasi sempre la scienza medica sottolinea il tipo di alimentazione che gli avventista consigliano da oltre 150 anni: evitare cibi grassi, zuccheri, carni rosse, mangiare più frutta, cereali, noci e verdure. Non fumare e non bere, e poi riposo ed esercizio fisico. Quando leggo queste raccomandazioni mediche mi sembra di leggere brani tratti dal libro «Consigli sugli alimenti» di Ellen G. White. E, credetemi, a 57 anni, sono felice di avere avuto una simile  guida per la mia salute.

Per queste ragioni, e altre ancora, sono contento di essere avventista del settimo giorno. Certo, gli avventisti non sono perfetti come non lo è la Chiesa. Non sta a noi giudicare chi crede in modo diverso. Non è questo il punto. Ciò che voglio dire è che sono grato per le cose che Dio ci ha rivelato, al punto che desidero condividerle con altri.

*Direttore della Guida allo studio della Bibbia (lezionario della SdS)

Non criticare, ama!

Non criticare, ama!

«Malgrado le debolezze e le infedeltà, non ti separare dalla chiesa nella quale Dio ti ha posto, sarebbe come ferire, strappare il corpo di Cristo. Se la chiesa è debole, invoca su di lei la potenza dello Spirito.
Non criticare! Prega.
Unisci la tua preghiera a quella di Cristo che continuamente intercede per la sua chiesa…
Non criticare! Confessa.
Porta a Dio il tuo peccato e quello della chiesa; e assumiti la tua parte di responsabilità.
Non criticare! Chiedi perdono.
Per te, e per i fratelli e le sorelle.
Non criticare! Ubbidisci.
Mettiti al servizio di Dio, pronto a fare ciò che egli vorrà, dove e come vorrà.
Non criticare! Ama.
L’amore crede che ogni cosa sia possibile a Dio» (anonimo).

Gesù e la donna al pozzo

Gesù e la donna al pozzo

Vincenzo Annunziata – Quel giorno, la donna samaritana non ha voglia di comunicare con nessuno, o forse ha un desiderio immenso di incontrare qualcuno ma non osa ammetterlo a se stessa. Va a prendere l’acqua al pozzo nell’ora più calda della giornata, intorno alle dodici, mentre le altre massaie vi si recano al mattino presto. Decisamente non vuole parlare… ma trova un giudeo stanco e assetato che elemosina dell’acqua.

Ha uno sguardo intenso, pulito… così si fida di lui ed esprime il suo stupore: per lei è molto strano che un giudeo rivolga la parola a una donna, figuriamoci a una samaritana! L’uomo però, con un tono sereno, riesce ad accendere in lei il desiderio di ricevere qualcosa di più. «Tu non sai che tipo di acqua potrei offrirti!». La conversazione diventa riflessiva e lei, così restia ad aprirsi, si mette in gioco, pone domande, sollecita chiarimenti. Lentamente cadono barriere di religione, genere, cultura, razza. È incuriosita di quell’«acqua viva» di cui parla, con occhi illuminati, il viandante stanco. Una luce di speranza si accende nel cuore affaticato.

Ma ecco che la conversazione sfiora una corda un po’ troppo intima e dolorosa: il marito. «Non ho marito» dice. «Lo so, non ne hai avuto solo uno!». L’argomento rischia di scivolare verso un coinvolgimento troppo personale e allora, distoglie l’attenzione tirando in ballo un argomento teologico. “Voi giudei dite che occorre adorare nel tempio di Gerusalemme, per noi va bene anche quello di Garizim; chi ha ragione?”. Gesù non si lascia distogliere, mantiene fermo il suo proposito, parla della vera adorazione che deve essere fatta «in spirito e in verità». Quella donna assetata d’amore, delusa dai suoi amanti più interessati a lei come donna che come persona, trova un individuo speciale che la ricolma di grazia, di perdono, di riconciliazione. Lascia il secchio al pozzo e corre al paese per raccontare a tutti l’incontro straordinario che ha capovolto la sua vita.

Riflettendo su questo episodio ho pensato alla grande possibilità di testimoniare la grazia di Gesù attraverso uno strumento indiretto come quello che la chiesa avventista ha messo a punto aprendo il sito www.avventisti.it. Prego il Signore che persone stanche e forse sfiduciate  possano approfittare di altri mezzi, come quello di Internet, e avvicinarsi, magari in modo un po’ più riservato, al Maestro della comunicazione, che sa suscitare un dialogo profondo e accendere in noi il desiderio di ricevere l’acqua viva, che ristora la sete profonda dell’uomo, purifica e rinfresca il cuore indurito nelle sacche di aridità. Con lui la vita non sarà mai più la stessa.

 

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