Cosa fare per avere la vita eterna?

Cosa fare per avere la vita eterna?

Michele Abiusi – “Cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Questa era la preoccupazione di un giovane ricco che un giorno si avvicinò a Gesù. Ecco come ci racconta l’episodio il Vangelo di Matteo.

“Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: ‘Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?’.  Gesù gli rispose: ‘Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti’. ‘Quali?’ gli chiese. E Gesù rispose: ‘Questi: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso’. E il giovane a lui: ‘Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?’. Gesù gli disse: ‘Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi’.  Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni” (Mt 19:16-22).

La domanda del giovane non è banale, anzi è essenziale: “Come posso, cosa devo fare per ottenere la vita eterna?”. Quante filosofie e religioni sono sorte per tentare di dare una risposta soddisfacente a questo quesito e proiettare la speranza dell’uomo nel tempo, anzi nell’eternità. All’epoca di Cristo si credeva che Dio desse la vita eterna in cambio di un comportamento corretto, fatto di ubbidienza a una serie di leggi rituali, morali e magari anche igieniche. La fede di ognuno era misurata dal numero delle preghiere, dalla quantità di monete offerte al tempio e dalla scrupolosità nel seguire i riti stabiliti dalle autorità ecclesiastiche nei giorni di festa. La legge dei dieci comandamenti era, fra tutte le altre, la più considerata e rispettata, e con ragione. Infatti, le dieci parole, così erano chiamate, erano state scritte da Dio stesso su due tavole di pietra e Mosè le ricevette dopo la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto. Queste poche parole erano il fondamento di tutte le altre leggi. In esse si evidenzia il rispetto e l’amore verso Dio e verso l’essere umano.

Alcuni fra questi dieci comandamenti esistono anche nella nostra legislazione. Per esempio, “non uccidere”, “non rubare”, “non bestemmiare”, “non testimoniare il falso”.

Altri comandamenti riguardano soltanto il rapporto del credente con il proprio Dio. Per esempio, il primo comandamento che chiede di adorare l’unico Dio creatore; il secondo che proibisce il servire o di pregare davanti a delle immagini qualunque cosa o persona rappresentino; il quarto che ricorda di celebrare l’unico giorno sacro cioè il settimo giorno, il sabato, giorno del Signore.

Questi tre comandamenti distinguevano il popolo di Dio da ogni altra nazione. Adorare un solo Dio senza la mediazione di statue o immagini e celebrare il giorno di sabato in ricordo dell’evento straordinario della creazione. Israele era l’unica nazione che aveva questi principi che lo rendevano un popolo speciale, diverso, unico. Solo dalla pratica di questi tre comandamenti si poteva riconoscere un vero credente nel Dio vivente, nell’Eterno, come spesso era chiamato. Perciò questa ragione tali leggi erano considerate essenziali per avere accesso alla vita. Si capisce quindi il perché le persone fossero giudicate in base alla pratica di tali precetti.

Ma torniamo al giovane ricco che si avvicinò a Gesù e gli chiese come ottenere la vita eterna. Gesù gli rispose secondo i parametri dell’epoca. Giovane, cosa ti hanno insegnato? Osserva le dieci parole! Gesù non abolisce la legge antica. Gesù riconosce la validità dei principi morali antichi. Lui non li ha mai trasgrediti. Eppure il ricco non rimase soddisfatto dalla risposta di Gesù e incalzò: “Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?”. Si aspettava dal Maestro “buono” una risposta diversa dal solito. Praticava la religione secondo le tradizioni dei padri ma percepiva che gli mancava qualcosa che voleva conoscere. Gesù lo capì e gli rivelò il suo amore e il cammino per ottenere la vita: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi”.

Credo che Gesù volesse svegliare il giovane da una fede sconnessa dalla vita. Ancora oggi, per molti, la religione è un momento della giornata o della settimana da trascorrere in luoghi santi ripetendo le stesse cerimonie. Quando poi si esce dalle chiese o quando quel momento “sacro” termina, tutto ritorna come prima.

Credo che Gesù volesse insegnare al giovane una lezione importante che ancora oggi sarebbe bene imparare: la religione non è un vestito che si mette e si toglie secondo il luogo dove ci troviamo o secondo le persone con le quali parliamo. La fede deve tradursi nella pratica. Non è sufficiente dire di essere dei credenti e praticare i riti previsti dalla propria religione. Se io sono un credente devo vivere come tale non solo quando sono in chiesa, ma anche quando sono a casa con i miei figli, con mia moglie o con mio marito; al lavoro devo ricordarmi che sono un figlio di Dio e che sono circondato da altri figli di Dio. Non posso sfruttarli, maltrattarli, schiacciarli.

Gesù propose al giovane di vivere la sua fede non solo nel luogo di culto, nella chiesa, diremmo noi oggi. Gli chiese di uscire e di guardarsi intorno per scoprire che non era solo al mondo e che esistevano anche persone meno fortunate di lui. Gli chiese di usare le ricchezze che possedeva, e che erano un segno della benedizione di Dio, per alleviare le sofferenze di altri figli dello stesso Padre eterno.

L’episodio purtroppo si conclude tristemente: “Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni”.

Sei soddisfatto di come vivi la tua fede? Ti senti un vero credente o pensi che a volte ti comporti da perfetto ipocrita? Cioè fai il credente solo quando ti fa comodo… magari per farti vedere?

Gesù ti invita a seguire le sue leggi, i suoi principi, i suoi insegnamenti ma non in modo formale, non in modo superficiale. Gesù ti invita a vivere la tua fede ogni giorno in mezzo agli altri, con gli altri, ascoltandoli e rispondendo ai loro bisogni.

 

 

Quando avverranno queste cose?

Quando avverranno queste cose?

Michele Abiusi – Vorrei condividere con voi uno dei testi più straordinari dei Vangeli, che ci parla del futuro del nostro mondo. Vi invito a immaginare Gesù e i suoi discepoli mentre uscivano dal tempio di Gerusalemme, una delle maggiori meraviglie architettoniche e artistiche di allora. I giudei ne erano più che orgogliosi. Nessuno poteva impunemente parlare contro il Santo Tempio, considerato la dimora di Dio stesso. Ebbene Gesù, mentre tutti erano incantati nell’osservare lo splendore di quella costruzione, ebbe il coraggio di predirne la totale distruzione: “… non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sia diroccata” (Matteo 24:2).

I discepoli rimasero scioccati da tale affermazione e quando giunsero al monte degli Ulivi, nella tranquillità e solitudine, lo interrogarono al riguardo: “Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?” (Matteo 24:3).

Per i discepoli la distruzione del tempio di Gerusalemme era un evento così catastrofico da poter coincidere soltanto con la fine di questo mondo di peccato, con il giudizio universale e con l’inizio della vita eterna. Il Vangelo di Matteo, sempre nel capitolo 24, riporta la risposta di Gesù alle preoccupazioni dei suoi discepoli riguardanti i tempi e i segni della distruzione del tempio e del ritorno in gloria del Cristo. Da un lato Gesù incoraggiò i suoi a stare all’erta: quando i nemici marceranno contro Gerusalemme dovranno fuggire dalle città e rifugiarsi sui monti. La fuga dovrà essere rapida e nessuno dovrà ritornare a casa per prendere vestiti, mobili o alimenti, “perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v'è stata dal principio del mondo fino ad ora…” (v. 21).

Nell’anno 70 d.C. Tito, generale romano, assediò Gerusalemme. I cristiani si ricordarono delle parole di Gesù e pregarono Dio di aiutarli a fuggire dalla città. La storia informa che improvvisamente Tito ritirò le sue truppe, quindi le porte della città si aprirono e i credenti ne approfittarono per fuggire verso i monti secondo l’ordine di Gesù. Dopo pochi giorni, le legioni romane ripresero l’assedio della città e coloro che non morirono furono deportati come schiavi. Il tempio fu completamente distrutto come Gesù aveva predetto.

Ma Gesù parlò anche dei segni che avrebbero annunciato gli ultimi giorni, cioè il suo ritorno in gloria: “Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre; guardate di non turbarvi, infatti bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine. Perché insorgerà nazione contro nazione e regno contro regno; ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo non sarà che principio di dolori. Allora vi abbandoneranno all'oppressione e vi uccideranno e sarete odiati da tutte le genti a motivo del mio nome. Allora molti si svieranno, si tradiranno e si odieranno a vicenda. Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. Poiché l'iniquità aumenterà, l'amore dei più si raffredderà. […] perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti” (vv. 6-12, 24).

Poi Gesù affermò che prima del suo ritorno si sarebbe prodotto un evento che poteva avere il suo compimento solo nei tempi moderni, caratterizzati dalla comunicazione globale e satellitare: “E questo vangelo del regno sarà predicato a tutto il mondo affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti, allora verrà la fine” (v. 14).

Il Vangelo di Luca riporta altre parole del Maestro che annuncia un tempo di angoscia e di paura senza uguali: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra, angoscia delle nazioni, spaventate dal rimbombo del mare e delle onde; gli uomini verranno meno per la paurosa attesa di quello che starà per accadere al mondo; poiché le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nuvole con potenza e gloria grande” (Luca 21:25-27).

Leggendo questi testi, siamo autorizzati a pensare che Gesù parlasse di ogni epoca ma in particolare del nostro tempo: le guerre sempre più spietate e ingiuste, i cataclismi colpiscono ogni continente, la paura ormai ci accompagna al lavoro e a casa. Viviamo in un mondo sempre più insicuro dal quale abbiamo estromesso Dio. E, come conseguenza, l’immoralità, l’ingiustizia e la violenza sono il nostro pane quotidiano. Dopotutto, i nostri figli imparano ad alimentarsi di queste realtà già da piccoli, grazie ai mezzi di comunicazione che ormai gestiscono in prima persona.

Malgrado tutto questo, Gesù ci incoraggia a credere in lui oggi come fecero i credenti del 70 d.C., che credendo alle sue parole furono salvati dalla distruzione di Gerusalemme: “Ma quando queste cose cominceranno ad avvenire, rialzatevi, levate il capo, perché la vostra liberazione si avvicina” (Luca 21:28).

È vero che ogni evento tragico ci parla della ribellione dell’uomo, ma allo stesso tempo ci ricorda che le parole di Gesù sono vere e che possiamo credergli. La nostra società cammina verso la fine di un’epoca caratterizzata dal dominio assoluto e incontrollato dell’uomo e verso l’inizio di un mondo nuovo nel quale prevarranno finalmente la giustizia e l’amore.

Anche oggi, come per il passato, l’invito di Gesù è determinante: “Ma chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvato” (Matteo 24:13)

I Vangeli ci rivelano il futuro per poter sperare e per continuare a credere in Dio, malgrado tutto e malgrado tutti. Leggili ogni giorno e questa avventura meravigliosa non avrà fine! 

 

 

Ho sete di Cristo?

Ho sete di Cristo?

Michele Abiusi – “Or nell'ultimo giorno, il gran giorno della festa, Gesù, stando in piedi, esclamò: Se qualcuno ha sete, venga a me e beva” (Giovanni 7:37).

La festa alla quale si trovava Gesù in quella circostanza era quella delle Capanne, e lui alzandosi pronunciò la frase sopra riportata, che ora analizziamo nei dettagli.

Se – Non tutti avvertono il bisogno di Dio, il desiderio di trovare risposte, di capire il senso dell'esistenza. Il "se" di Gesù ha quindi un senso in questa prospettiva. Sempre più persone scelgono di vivere assecondando il proprio bisogno di piacere, di danaro, di potere, ecc…

Qualcuno – L'invito, come leggiamo in altri testi del Nuovo Testamento, è per ogni uomo. Chi non prova interesse per le cose di Dio è perché volontariamente mette a tacere il proprio spirito, lo addormenta, lo lascia da parte a languire senza sostentamento, riducendolo in fin di vita. Ma Dio è pronto ad accogliere ogni persona che lo cerca, ogni individuo di buona volontà. Non vi sono riguardi all'importanza della persona. Ricco, povero, dottore, mendicante, davanti a Dio siamo tutti uguali, sue creature. E come ogni padre che si rispetti, Dio è pronto ad accogliere ogni "figlio" che voglia tornare a casa.

Ha sete – La sete è l'unico bisogno nell'uomo che supera persino la fame. Si può morire molto prima di sete che di fame. Già in un altro punto Gesù aveva fatto riferimento alla metafora dell'acqua, nel suo incontro con una donna samaritana. “Gesù le rispose: ‘Chiunque beve di quest'acqua avrà sete di nuovo; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna’” (Giovanni 4:13-14).

Un Salmo stupendo dice: "Come la cerva desidera i corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente… " (Salmo 42:1-2). Oggi c'è sete di Dio?

Venga – Il tragitto fra l'uomo e Dio è breve. Dio ha fatto già la sua parte di strada verso l'uomo, ora rimane da percorrere soltanto la parte che riguarda l'uomo. È un passo, un passo molto piccolo. Dio ha già fatto il passo della grazia. All'uomo rimane soltanto il percorso del "ravvedimento" che passa per la "fede" e conduce all'accettazione della grazia. In breve, la distanza che l'uomo deve coprire fra lui e Dio è lunga quanto una preghiera, ma c'è ed è una parte del percorso che l'uomo deve voler coprire. È vero che il regalo ci viene porto, ma dobbiamo stendere le mani ed accettarlo, prenderlo dalle mani del donatore. 

Venga a me e beva – Lo so che in questa era di sincretismo, parlare di un'unica via che conduce a Dio è anacronistico. Ma se è la Parola di Dio che dice questo e se l'esperienza umana ci ha dimostrato quanto vani siano gli sforzi dell'uomo di giungere da sé a Dio e quanto poco siano servite le religioni fatte a misura d'uomo… "forse", come dice la Scrittura, la soluzione è nel Dio fatto uomo, in Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio.

Leggiamo nello stesso Vangelo di Giovanni: “Gesù gli disse: ‘Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me’” (14:6). Quanti lo hanno sperimentato e sono pronti a testimoniare che è così!

“’Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno’. Disse questo dello Spirito, che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui; lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato” (Giovanni 7:38-39).

Non solo Gesù invita chi ha sete ad avvicinarsi a lui e a bere, ma dice che, a sua volta, anche da chi crede in lui sgorgheranno fiumi d'acqua viva.

È lo Spirito Santo a mantenere viva in noi l'acqua spirituale che riceviamo da Dio e che ci permette di farla sgorgare da noi per dissetare anche gli altri!

Io ho sete di Cristo, e tu?

 

 

 

Il perdono. Ingrediente essenziale dell’esistenza

Il perdono. Ingrediente essenziale dell’esistenza

Michele Abiusi – Perdonare non è facile. 
Quanto il perdono sia un cammino lungo e difficile lo hanno sperimentato i figli che hanno voluto perdonare i loro genitori per le ingiustizie e le violenze subite. Le mogli e i mariti traditi conoscono la difficoltà del perdono. A volte non basta una vita intera. Eppure, il perdono è un ingrediente essenziale dell’esistenza. Portarsi dentro rancori, odi o sensi di colpa non è piacevole, anzi è dannoso anche alla salute. Ecco perché Gesù ha fatto del perdono uno dei fondamenti del cristianesimo.

Senza perdono non c’è speranza né futuro. Perdonare è offrire un’occasione di cambiamento; è credere, è dare fiducia all’altro. Perdonare è credere che l’altro valga di più delle sue azioni. Perdonare è mettere in moto delle forze inaspettate sia in noi che negli altri.

Allora, come raggiungere questo obiettivo? Come perdonare il padre, la madre, il marito, la moglie, il fratello, la sorella, la suocera, il cognato? In una parola, come perdonare chi ci ha ferito? 

Il percorso
Gesù traccia il percorso del perdono: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va' e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello” (Matteo 18:15). 
Il primo passo, se qualcuno ti ha offeso, è di andare a parlargli con amore. Anche se non è di moda, devo dirvi che a volte vale la pena assumersi la responsabilità, pur di ristabilire un rapporto. Prendere l’iniziativa, anche quando si pensa di essere nel giusto, è un atteggiamento disarmante e può risolvere tante situazioni. Ma la soluzione del conflitto potrebbe non essere facile e Gesù suggerisce, in caso di insuccesso, l’intervento di uno o più amici per ristabilire la pace. “… ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni” (v. 16).

Se questo procedimento viene seguito con spirito cristiano, il Signore ci assicura la sua presenza e quindi il suo aiuto: “E in verità vi dico anche: se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli” (v. 19). 
L’apostolo Pietro pone una domanda al Maestro: “Allora Pietro si avvicinò e gli disse: ‘Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?’” (v. 21). 
Pietro crede di proporre un obiettivo esaltante perdonando sette volte la stessa persona, ma Gesù lo sorprende dicendogli che deve perdonare settanta volte sette. Il Maestro rivela che il perdono è un atto continuo del cuore, non un calcolo matematico. Perdonare sempre, malgrado tutto e senza condizioni: questo è il perdono di Gesù rivelato sulla croce quando si rivolse ai suoi carnefici. 

La parabola 
Le affermazioni di Gesù non ci facilitano il compito. Questo tipo di perdono illimitato e a oltranza è difficile, spesso impossibile per molti. Allora Gesù racconta una parabola per illustrare come giungere al perdono. Il racconto è diviso in quattro scene o momenti:
– “Perciò il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti. E poiché quello non aveva i mezzi per pagare, il suo signore comandò che fosse venduto lui con la moglie e i figli e tutto quanto aveva, e che il debito fosse pagato” (vv. 23-25). Questa prima scena ci rivela le regole del tempo. Il debito era incalcolabile e l’unico modo per pagarlo era quello di essere venduti come schiavi a vita.

– “Perciò il servo, gettatosi a terra, gli si prostrò davanti, dicendo: ‘Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto’. Il signore di quel servo, mosso a compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito” (vv. 26-27). Il secondo momento svela le regole del Dio misericordioso, che condona il debito e libera il colpevole. È un atto gratuito di Dio; infatti, non dipende dalle buone azioni o dalle promesse della persona. Questo rivela che Dio ci salva per amore. La sua grazia è infinita.

– “Ma quel servo, uscito, trovò uno dei suoi conservi che gli doveva cento denari; e, afferratolo, lo strangolava, dicendo: ‘Paga quello che devi!’. Perciò il conservo, gettatosi a terra, lo pregava dicendo: ‘Abbi pazienza con me, e ti pagherò’. Ma l'altro non volle; anzi andò e lo fece imprigionare, finché avesse pagato il debito” (vv. 28-30). In questa terza scena, la persona perdonata non sa condonare un debito insignificante a un collega e, malgrado le suppliche, lo fa incarcerare. È l’atteggiamento di chi non ha capito il significato della grazia ricevuta e quindi non sa viverla nei rapporti con gli altri. Pare che il nostro amico non abbia accettato il dono offertogli dal suo Signore. Non vive da uomo libero, ma da debitore insolvente. Non gioisce e non fa festa per il perdono ricevuto usando misericordia a sua volta, anzi risponde all’amore con crudeltà e violenza.

– “I suoi conservi, veduto il fatto, ne furono molto rattristati e andarono a riferire al loro signore tutto l'accaduto. Allora il suo signore lo chiamò a sé e gli disse: ‘Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?’" (vv. 31-33). Con il quarto atto il debitore ritorna alla sua situazione iniziale di insolvenza e di colpevolezza. Davanti a lui c’è solo la schiavitù. Eppure, Dio lo aveva perdonato davvero! E Dio non cambia!

Capire e accettare
La parabola vuole indicare che se non accetto e non valorizzo il perdono e l’amore di Dio, non potrò viverlo, non riuscirò a esternarlo, a imitarlo. Se non capisco e se non accetto questo perdono, non conoscerò la libertà e continuerò a vivere come un servo, come uno schiavo. Dio mi offre gratuitamente il perdono e la salvezza, ma se li rifiuto mi condanno da solo e perdo tutto ciò che era disponibile, tutto ciò che mi era stato offerto.

Come riuscire allora a perdonare chi ci offende e ci ferisce? Conosco solo una strada: avvicinarmi al Gesù dei Vangeli, ascoltare le sue parole, sperimentare il suo perdono, sentire il suo amore e la sua grazia. E quando avrò capito quello che ha fatto per me, forse proverò dei sentimenti di affetto profondo per lui; allora crescerà in me la forza di perdonare, di seguire il suo esempio, di essere simile a lui.

Finalmente, perdonato, sarò capace di perdonare; infine, liberato dall’odio, sarò libero di amare. 

 

 

Pentecoste. Vieni Santo Spirito!

Pentecoste. Vieni Santo Spirito!

Michele Abiusi – “Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra” (Atti 1:8). Questa promessa di Gesù, pronunciata immediatamente prima della sua ascensione, si realizzò alla Pentecoste.

Vorrei riflettere sullo Spirito Santo, consapevole che quando parliamo della divinità, vi sono sempre dei limiti in noi, come la Bibbia stessa afferma: “Le cose occulte appartengono al Signore nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli per sempre, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge” (Deuteronomio 29:28).

Il termine Trinità, adoperato per la prima volta da Teofilo, vescovo di Antiochia (161-181), non appare nella Bibbia, il concetto invece esiste, così come avviene con altre parole quali incarnazione e millennio. È chiaramente biblico il concetto secondo cui abbiamo: un Dio personale, il Padre, che ci viene rivelato dal Figlio; ma nessuno conosce Gesù come Signore, senza l’aiuto dello Spirito Santo. La chiesa primitiva comprese questa realtà: tramite il Figlio noi abbiamo il Padre e attraverso lo Spirito Santo la Chiesa è unita al Padre e al Figlio. “E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: ‘Abbà, Padre’” (Galati 4:6).

“Doveva prodursi un doppio evento perché il Dio misterioso e sconosciuto potesse rivelarsi come Padre: doveva uscire dal Suo mistero, entrare nella storia e farsi vedere come Padre nell’immagine umana del Figlio e doveva, per mezzo dello Spirito Santo, illuminare il cuore dell’uomo affinché questi potesse, nell’immagine dell’uomo Gesù, riconoscere il Figlio e nel Figlio il Padre” – Emil Brunner, Dogmatique, vol. I, p. 223.

Non si mette in discussione l’unicità di Dio. “Ascolta, Israele: Il Signore, il nostro Dio, è l'unico Signore” (Deuteronomio 6:4). Ma è interessante notare che l’ebraico usa due termini per dire unità, con differenti sfumature: yachid significa unità assoluta, echad significa unità formata da parti (per esempio: e i due saranno uno). Potremmo vedere con un’infinità di testi biblici il modo in cui vengono associati il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. È sufficiente cercare, in una concordanza biblica, le voci creazione, nuova nascita, giustificazione, santificazione, battesimo, carismi, ecc., per renderci conto che la loro esistenza è chiaramente attestata e che sono visti in un’associazione così stretta che è difficile rappresentarli separatamente.

Quindi, lo Spirito Santo fa parte della Trinità. In ebraico ruah, in greco pneuma significa soffio, vento, respiro, spirito. Nella formazione dell’uomo l’alito vitale diventa suono, voce, parola, linguaggio e, di conseguenza, l’arte di comunicare fra le persone. Attraverso la parola, il soffio rivela i pensieri, istruisce colui che ascolta. In Gesù, Dio si avvicina a noi; attraverso lo Spirito Santo, Dio abita in noi.

Ma lo Spirito Santo è una persona? 
Esistono tre ipotesi: 
1. Ipostasi, cioè la sostanza che sta sotto i fenomeni, di cui i fenomeni non sono che le manifestazioni esteriori. Secondo questa ipotesi la divinità non è composta di tre persone, ma di tre centri di coscienza all’interno dell’unico Dio. 
2. Karl Barth ha cercato di rendere più chiara questa ipotesi che rimaneva un po’ oscura, parlando di modalismo, tre modi di essere, per cui le tre persone divine sono semplicemente tre fasi di una sola e stessa persona. Ma il modalismo è un concetto anti biblico; Gesù non era un fantasma! È pensabile che “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato un modo di essere?” (parafrasando il testo di Giovanni 3:16, ndr). 
3. Trinità, cioè tre persone distinte in unità organica, reale e misteriosa (e noi lo crediamo). Unità organica, non aritmetica! Lo Spirito Santo è sempre definito con un pronome personale, e il greco dispone del neutro per indicare le cose. Lo Spirito Santo non appartiene all’ordine della logica, non lo si può racchiudere in una definizione, in un sistema, perché è il rivelatore dei misteri di Dio.

La Bibbia non si sofferma tanto a rivelarci i misteri della natura di Dio, quanto a descrivere la sua opera in nostro favore. La sua teologia è redentrice. 
Lo Spirito Santo è Dio e si fa conoscere santificando i credenti. È un Dio che viene misteriosamente a rendere le sue creature conformi al suo disegno. Con il Padre e con il Figlio, lo Spirito Santo è Signore. 

Quale opera svolge lo Spirito Santo?
“… eletti secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, a ubbidire e a essere cosparsi del sangue di Gesù Cristo: grazia e pace vi siano moltiplicate” (1 Pietro 1:1, 2).

Santificazione e comunione nell’amore. Avere lo Spirito Santo non significa possedere qualcosa, ma Dio stesso e quindi la vita eterna. Ne consegue che se lo Spirito è Dio non può entrare in rapporto con le strutture fisico-chimiche del mondo, e con le strutture mentali e psichiche dell’uomo, senza sottometterle a una modificazione essenziale, a una metamorfosi che incomincia nel tempo presente e si completa nella vita eterna. “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove” (2 Corinzi 5:17).

Lo Spirito Santo ci rende nuove creature. La Chiesa ha bisogno di sperimentare la pioggia dell’ultima stagione, per conoscere le particolari benedizioni. 
Domandiamoci infine: come ricevere lo Spirito Santo? Quali sforzi debbo fare per averlo in me?

Lo Spirito Santo si riceve ascoltando e vivendo il vangelo. Accettando il vangelo, riceviamo lo Spirito come dono. Con la sua vittoria sul peccato e sulla morte, Cristo ha reso possibile che Dio possa guardarci attraverso la sua santità, ma desidera anche che noi viviamo la sua santità. E per questo non ci abbandona. “Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?” (Romani 8:32).

Dio ci dona lo Spirito Santo. Per questo che abbiamo bisogno più che mai di dire: “Vieni Spirito Santo!”. 

 

 

L’ascensione

L’ascensione

Michele Abiusi – Ascendere significa salire. Nell’Antico Testamento si parla di due ascensioni: quella di Enoc –  “Enoc visse sessantacinque anni e generò Metusela. Enoc, dopo aver generato Metusela, camminò con Dio trecento anni e generò figli e figlie. Tutto il tempo che Enoc visse fu di trecentosessantacinque anni. Enoc camminò con Dio; poi scomparve, perché Dio lo prese” (Genesi 5:21-24); e quella di Elia –  “Essi continuarono a camminare discorrendo insieme, quand'ecco un carro di fuoco e dei cavalli di fuoco che li separarono l'uno dall'altro, ed Elia salì al cielo in un turbine. Eliseo lo vide e si mise a gridare: ‘Padre mio, padre mio! Carro e cavalleria d'Israele!’. Poi non lo vide più. E, afferrate le proprie vesti, le strappò in due pezzi; raccolse il mantello che era caduto di dosso a Elia, tornò indietro, e si fermò sulla riva del Giordano” (2 Re 2:11-13).

Questi due personaggi non hanno subito la morte. Anche Gesù è asceso in cielo come il Risorto. Abbiamo la testimonianza nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli.
“Il Signore Gesù, dunque, dopo aver loro parlato, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. E quelli se ne andarono a predicare dappertutto e il Signore operava con loro confermando la Parola con i segni che l'accompagnavano” (Marco 16:19-20).

“Poi li condusse fuori fin presso Betania; e, alzate in alto le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato su nel cielo. Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio, benedicendo Dio” (Luca 24:50-53).

“Quelli dunque che erano riuniti gli domandarono: ‘Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?’. Egli rispose loro: ‘Non spetta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato alla propria autorità. Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra’. Dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi” (Atti 1:6-9)

Cosa ci ricorda l’ascensione? 
– L’ultimo discorso di Gesù ai discepoli. “Trovandosi con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l'attuazione della promessa del Padre, ‘la quale’, egli disse, ‘avete udita da me. Perché Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti giorni’ (Atti 1:4-5).

– L’annuncio degli angeli. “E come essi avevano gli occhi fissi al cielo, mentre egli se ne andava, due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: ‘Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo’” (Atti 1:10-11).

– L’attività di Cristo. “Ora, il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli,  ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto” (Ebrei 8:1-2)

L’Antico Testamento esprime una speranza nel futuro, parlando del malkuth di Yahwhé ossia il regno di Dio che sarà stabilito alla fine del processo storico di cui parla Daniele 2. Spesso adopera le espressioni “giorno del Signore”, “grande e terribile giorno di giudizio”. In quel giorno Dio farà ogni cosa nuova. Esprime l’aspettativa in un Messia. Tale speranza ha per centro una Persona; e, in questo predetto Uno che verrà, l’autorità e il regno sperati troveranno la loro concretezza.

Gesù ha adempiuto le speranze dell’Antico Testamento? 
Nell’autorità e nella potenza di Gesù, l’azione salvifica di Dio viene immediatamente dimostrata. Egli guarisce gli ammalati, caccia i demoni, purifica i lebbrosi, risana i malati di mente, persino risuscita i morti: il malkuth di Dio è venuto. Gesù ha invaso il tempo presente, ma non lo ha ancora conquistato; è entrato nella storia che ha così assunto una nuova dimensione, però è sempre storia. Anche la speranza del Messia trova il suo pieno adempimento in Gesù che realizza tutte le profezie messianiche, però il giorno “di vendetta” del nostro Dio appartiene ancora al futuro.

Questa è l’idea e l’insegnamento del Nuovo Testamento che guarda con speranza al futuro. “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere a sé ogni cosa” (Filippesi 3:20-21).

La fede e la speranza, il presente e il futuro non possono essere separati nella vera dottrina cristiana. Se Gesù è la persona escatologica, cioè se con la sua prima venuta ha inaugurato l’ultima era della storia, ciò significa che tutti gli eventi che lo riguardano, fanno parte di un solo grandioso evento.

Nel linguaggio biblico l’intero periodo che va dal primo al secondo avvento è descritto come ultimi tempi. Ne consegue che tutti i cristiani vivono negli ultimi giorni, perché Gesù ha dato origine all’ultimo periodo della storia. E i segni della fine? Come vanno compresi? Leggendo tutti quei segni si nota che il costante consiglio dato ai credenti è quello di vegliare, essere pronti in ogni momento perché non si sa quando verrà il Signore.

L’ascensione ci ricorda che il Signore è salito, ci sta preparando un luogo e ritornerà a prenderci con sé. L’ascensione mi ricorda che il Gesù Mediatore vuole trasformare la mia vita per portarmi con sé.

 

 

Da dubbioso a credente. Tommaso detto Didimo

Da dubbioso a credente. Tommaso detto Didimo

Michele Abiusi – Il libro degli Atti degli Apostoli ci rivela che Gesù è stato 40 giorni sulla terra prima di ascendere in cielo. E abbiamo già visto come la Scrittura descrive questo periodo vissuto dai discepoli. Vorrei ancora soffermarmi sulla prima e seconda apparizione di Gesù ai discepoli che erano riuniti nella camera alta.

La prima apparizione 
“La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: ‘Pace a voi!’. E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque, veduto il Signore, si rallegrarono. Allora Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi’. Detto questo, soffiò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti’. Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli, dunque, gli dissero: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò’” (Giovanni 20:19-25).

Abbiamo già considerato che, dopo la crocifissione di Gesù, i discepoli erano tutti un po’ sbandati, e il peggio avvenne quando fu annunciata la risurrezione di Cristo.

Pace a voi 
Quando Gesù appare ai suoi, mostra le sue ferite e subito aggiunge: “Come il Padre mi ha mandato, io mando voi”. È straordinario! Il mandato viene dato a persone che fino a pochi attimi prima erano increduli! 
Il Signore è venuto nel mondo in povertà, come un servo, ha rinunciato a se stesso, si è compiaciuto di fare la volontà del Padre, si è identificato con gli esseri umani, è venuto per praticare il bene, ha fatto ogni cosa grazie alla potenza dello Spirito Santo, è morto in croce. 
Nella camera alta dice ai suoi discepoli: “Anch’io mando voi”. Soffia su di loro e aggiunge: “Ricevete lo Spirito Santo”. 
L’effusione dello Spirito sarebbe avvenuta 50 giorni dopo, alla Pentecoste, ma con questo atto Gesù offre una “caparra” dello Spirito per far comprendere che la missione non è opera umana, ma va svolta con la guida dello Spirito Santo. 

E subito prosegue: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi li riterrete saranno ritenuti”. Gesù conferma che la chiesa ha il “potere” di legare e sciogliere: “Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo” (Matteo 18:18). Con queste parole non conferisce un potere particolare ai suoi discepoli, perché solo Dio può rimettere i peccati, ma li sta costituisce come chiesa.

Tommaso 
Soffermiamoci ora su Tommaso detto Didimo, che significa gemello. Nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca viene citato come uno dei dodici apostoli; solo Giovanni sottolinea alcuni aspetti della sua vita, rivelatori del suo carattere. Leggiamo insieme questi testi biblici.

“Tommaso gli disse: ‘Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo sapere la via?’. Gesù gli disse: ‘Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me’” (Giovanni 14:5-6).

“Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli, dunque, gli dissero: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò’” (Giovanni 20:24-25).

La seconda apparizione: “Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: ‘Pace a voi!’. Poi disse a Tommaso: ‘Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente’” (Giovanni 20:26-27).

“Tommaso gli rispose: ‘Signor mio e Dio mio!’. Gesù gli disse: ‘Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!’” (Giovanni 20:28-29).

Tommaso riconobbe la divinità di Cristo. È importante notare che Gesù accettò di essere adorato come Dio. Se fosse stato solo un uomo, avrebbe rifiutato. Ma quella di Tommaso non era la fede che il Signore gradiva maggiormente, poiché era basata sull’evidenza. Ritroveremo Tommaso Didimo quale testimone dell’Ascensione.

Qui finiscono le notizie sicure desunte dalle fonti canoniche; poi ci sono tanti scritti apocrifi: il Vangelo di Tommaso, gli Atti di Tommaso e finanche l’Apocalisse di Tommaso… La notizia più degna di credito è che egli abbia svolto il suo apostolato in India.

Quali lezioni possiamo trarre per noi da questi racconti dei Vangeli? 
Il tempo tra Pasqua e Ascensione è il tempo in cui rispecchi e rifletti sulle tue debolezze. 
Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto. 
La prova più certa che abbiamo oggi è la Parola di Dio che testimonia di Gesù. 
Quante volte anche noi, come Tommaso, avremmo voluto delle certezze per credere pienamente. Ma il Signore è paziente con noi così come lo è stato con Tommaso. 
Questo è il tempo in cui ricerchi la pace, lo shalom, ossia il benessere psico-fisico. 
E allora non ci resta che dire: “Grazie, Signore, perché ci accordi questo tempo fra Pasqua e Ascensione, per la riflessione, per acquisire maggiori certezze dalla tua sacra Parola. 
Guidaci perché a tua opera non sia vana in noi che desideriamo vivere secondo la tua volontà.

 

 

 

Fra Pasqua e Ascensione

Fra Pasqua e Ascensione

Michele Abiusi – Siamo nel periodo tra la Pasqua e l’Ascensione di nostro Signore ricordate dalla cristianità. È interessante vedere in che modo la Scrittura descrive questo periodo vissuto dai discepoli, dai primi cristiani. 

Dopo la crocifissione di Gesù i suoi seguaci erano tutti un po’ sbandati, ma il peggio venne quando si annunciò la risurrezione: “Or Gesù, essendo risuscitato la mattina del primo giorno della settimana, apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demoni. Questa andò ad annunciarlo a coloro che erano stati con lui, i quali facevano cordoglio e piangevano. Essi, udito che egli viveva ed era stato visto da lei, non le credettero” (Marco 16:9-11).

Stupisce l’atteggiamento dei discepoli, che vollero prove schiaccianti per credere, come Tomaso, l’incredulo per antonomasia. In quel periodo la domanda più ricorrente, conscia o inconscia, era: “Non abbiamo preso un abbaglio? Non abbiamo sbagliato tutto?”.

Il Vangelo di Marco insiste sull’incredulità: “e questi andarono ad annunciarlo agli altri; ma neppure a quelli credettero. Poi apparve agli undici mentre erano a tavola e li rimproverò della loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che l'avevano visto risuscitato” (Mc 16:13-14).

Poi disse loro: “Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato” (16:15-16).

La scelta degli “evangelizzatori” non poteva essere peggiore. Gesù prese una banda di miscredenti per andare ad annunziare il vangelo. Si potrebbe dire che la Chiesa iniziale è la comunità non dei credenti, ma degli increduli che annunziano la risurrezione di Gesù. Questa è la miseria e la grandezza della Chiesa: è fatta di increduli, ma non può nascondere la verità. La missione dell’evangelizzazione era stata affidata a un gruppo incredulo. Piuttosto che credere, i discepoli preferirono continuare a piangere.

Pensando a chi siamo stati e a chi siamo ancora, forse anche a noi non rimane che metterci a piangere; eppure, il vangelo è predicato, è accettato; produce carismi, miracoli, segni. E non è grazie alla Chiesa che questo avviene: è unicamente il dono di Dio.

Vado a pescare

Nel tempo fra Pasqua e Ascensione, la scelta più immediata che venne in mente ai discepoli fu di andare a pescare. “Simon Pietro disse loro: ‘Vado a pescare’. Essi gli dissero: ‘Veniamo anche noi con te’. Uscirono e salirono sulla barca; e quella notte non presero nulla” (Giovanni 21:3)

Ma Gesù aveva poca voglia di scherzare e, al tempo stesso, poca voglia di umiliare; così, dopo aver assecondato la pesca che passa alla storia come miracolosa ed aver rinfrescato le idee ai discepoli dalla memoria corta, dopo averli incontrati e spezzato il pane e mangiato il pesce disse: ”Adesso parliamo di cose serie”.

La cosa più seria fu la domanda sull’amore. “Quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: ‘Simone di Giovanni, mi ami più di questi?’. Egli rispose: ‘Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene’. Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli’” (Giovanni 21:15).

In altre parole, il Signore voleva dire: “Mi hai rinnegato, ti sono apparso, hai pescato oltre ogni misura, ma adesso dì chiaro: mi ami?”. Pietro disse di sì. Una risposta che Gesù prese sul serio: “Pasci…”. Il mio perdono non è una pietosa copertura dei tuoi sbagli, dei tuoi peccati. Il mio perdono è un incarico. Sei la persona meno affidabile, ma io ti affido il compito più impegnativo e delicato di questo mondo.

Nessuno può farsi scudo del proprio peccato per scantonare di fronte agli impegni. Non si può dire non ne sono degno. Non ne sei degno ma lo devi fare lo stesso.

Le comunità che ti saranno affidate diranno di te che hai rinnegato Gesù (gli altri lo hanno abbandonato, ma tu addirittura lo hai rinnegato) ma devi essere pastore lo stesso. Diranno che mancava solo che arrivasse da loro Giuda, il peggiore dei pastori possibili, ma tu devi essere pastore lo stesso; e se Giuda non si fosse impiccato, avrebbe dovuto farlo anche lui.

Gesù sa che, come suoi pastori, non può pretendere il meglio (così come per la comunità di increduli), anzi dice chiaro che si affida al peggiore (altro che primato di Pietro!). Gesù crea, dal peggiore, un peccatore riabilitato e graziato, e quindi ne fa il migliore. Gesù non ha paura di ricominciare, come se non avesse fatto nulla, nemmeno dopo che è morto e risorto. Noi abbiamo paura di dover ricominciare anche quando abbiamo fatto molto meno. Gesù chiede nuovamente a Pietro di seguirlo: “Gesù gli rispose: ‘Se voglio che rimanga finché io venga, che t'importa? Tu, seguimi’” (Giovanni 21:22).

Il periodo che passa fra la Pasqua e l’Ascensione è un tempo in cui ti accorgi della fragilità della Chiesa e dei suoi pastori. per dirla con Bonhoeffer: “È il tempo in cui ti accorgi di aver rinnegato Gesù e, al tempo stesso, in cui Gesù ti riagguanta e ti dà un incarico superiore alle tue forze”. Questo è il perdono.

Il tempo fra Pasqua e Ascensione è il periodo in cui rispecchi e rifletti sulle tue debolezze. È un tempo di preparazione al grande evento che segue l’ascensione. “’Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra’. Dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi” (Atti 1:8-9).

Senza lo Spirito Santo, Gesù non può vivere in noi e noi in lui.

Il Vangelo di Giovanni incomincia con: “In principio” (1:1).

Viene da chiedersi, e alla fine? “Or prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Giovanni 13:1). “Tutto è compiuto” (Giovanni 19:30).

E il compimento non è solo sulla croce, o quando lava i piedi ai suoi discepoli, amandoli sino alla fine, ma quando li riprende tra Pasqua ed Ascensione e li coinvolge come se loro lo avessero sempre amato e come se fossero stati sempre fedeli.

Grazie o Signore perché ci accordi questo tempo, fra Pasqua e Ascensione, per la riflessione, per la preparazione, per il perdono totale, per poter ricominciare con te, per evangelizzare nonostante le nostre limitazioni.

Grazie, o Signore, per il tuo amore che riagguanta, riabilita, incarica, dona incessantemente.

Fa’ che la tua opera non sia vana in noi.

La temperanza

La temperanza

Michele Abiusi – Per comprendere questa tematica è importante cogliere la visione olistica che la Scrittura ha dell’uomo. Secondo l’insegnamento tratto dal primo libro della Bibbia, “Dio il Signore formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente” (Genesi 2:7). Quindi possiamo così riassumere con corpo + spirito (psiche) = anima vivente (essere vivente). Noi siamo esseri psico-fisici.

Il corpo non è la prigione dell’anima (teoria di Platone, filosofo greco), ma addirittura il tempio dello Spirito Santo.
“Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi” (1 Corinzi 3:16-17).
“Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Corinzi 6:19-20).

La temperanza, o autocontrollo, fa parte del “frutto” dello Spirito: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22). Il Dizionario Devoto della lingua italiana definisce così la parola “temperanza”: moderazione nelle cose buone, astinenza in quelle negative.

Il principio biblico è fare tutto alla gloria di Dio: “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio” (1 Corinzi 10:31).

Nel cibo è bene seguire la dieta di Dio, descritta all’origine in Genesi 1:29; e poi in Levitico 11 e che non è legata a un popolo in particolare.

Lo stesso dicasi nell’esteriore: “Il vostro ornamento non sia quello esteriore, che consiste nell'intrecciarsi i capelli, nel mettersi addosso gioielli d'oro e nell'indossare belle vesti, ma quello che è intimo e nascosto nel cuore, la purezza incorruttibile di uno spirito dolce e pacifico, che agli occhi di Dio è di gran valore” (1 Pietro 3:3-4).

La temperanza cristiana ci incoraggia alla ricerca della purezza cristiana e a seguire gli stili di vita insegnati dalla Sacra Scrittura. 

 

 

La confessione (parte 3)

La confessione (parte 3)

Leggi qui la parte 2

Michele Abiusi – Uno dei testi biblici più usati dai sostenitori della confessione auricolare è senz’altro Giovanni 20:23, in cui Gesù dice ai discepoli: “A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti”. Può l’uomo, un ministro religioso, perdonare i peccati commessi contro Dio?

Per comprendere il nostro testo dobbiamo innanzi tutto chiederci: "In quale contesto sono situate queste parole?". Sia nel Vangelo di Giovanni sia nei Vangeli di Marco e Luca, le parole in oggetto vengono pronunciate il primo giorno della settimana ebraica, il primo giorno dell’avvenuta risurrezione di Gesù. Il Vangelo di Matteo sembra fare uno stacco tra gli accadimenti del giorno della risurrezione di Cristo e il mandato di predicare (nel cui contesto gli altri evangelisti collocano le parole del perdono dei peccati) anche se ci sono elementi comuni come il fatto che “alcuni però dubitavano” (Matteo 28:17) riportato anche negli altri Vangeli.

 

Dall’esame del prospetto sui quattro Vangeli si evince che il perdono dei peccati era conseguente al battesimo, infatti: 
1. Giovanni dopo le parole “anch'io mando voi”, che è una sintesi del mandato di predicare e battezzare, riporta subito “A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a chi li riterrete, saranno ritenuti”, collegando l’esito positivo della predicazione al perdono dei peccati e l’esito negativo al non perdono. Da un confronto con il Vangelo di Marco si capisce che l’esito positivo è in relazione al battesimo, come vediamo di seguito.

2. Marco dopo il mandato, “Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo”, mette in relazione la salvezza con il battesimo e viceversa, alludendo ovviamente che salvezza è uguale a perdono dei peccati, e condanna corrisponde a ritenzione dei peccati: "Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato".

3. Luca dice che “nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti”. Anche qui la predicazione viene collegata con il perdono dei peccati. Dal confronto dei quattro Vangeli emerge che la predicazione accolta include il battesimo del catecumeno. Quindi anche in Luca abbiamo che il battesimo del credente porta alla remissione dei peccati.

4. Matteo riporta il mandato della formula più conosciuta: “Andate, dunque, e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli”. Messa in parallelo con gli altri Vangeli porta alla conclusione che il perdono dei peccati avviene dopo il battesimo, perché il discepolo ha dimostrato di voler vivere una vita di dedicazione al Signore, essendo rinato d’acqua e di spirito (cfr. Giovanni 3:5).

Ora è interessante esaminare come il libro degli Atti riporta alcuni battesimi dei nuovi discepoli del Signore: 
– “E Pietro a loro: ‘Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo’” (Atti 2:38); 
– “Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati” (At 3:19); 
– “E ora, perché indugi? Àlzati, sii battezzato e lavato dei tuoi peccati, invocando il suo nome” (Atti 22:16)

Come si vede chiaramente, il battesimo dei nuovi convertiti era seguito dal perdono dei peccati. In Atti 3:19, il ravvedimento dai peccati è legato alla conversione e quindi implicitamente al battesimo. Considerato tutto ciò, le parole di Gesù in Giovanni 20:23, formulate in altro modo, sarebbero: chi riterrete idoneo per il battesimo sarà perdonato anche dai suoi peccati, chi non accetterà di sottoporsi al battesimo, o chi non riterrete idoneo per il battesimo perché non convertito, non sarà perdonato neanche dai suoi peccati.

Nelle parole di Cristo vi è anche la responsabilità di chi battezza, che deve comunque accertarsi della conversione del nuovo discepolo. Anania fece proprio questo quando, vedendo il cambiamento di Paolo, disse: “E ora, perché indugi? Àlzati, sii battezzato e lavato dei tuoi peccati, invocando il suo nome” (Atti 22:16).

Alla luce di tutto ciò, il passo di Giovanni 20:23 non parla certamente della confessione a un ministro religioso, ma del normale procedimento che porta il catecumeno al battesimo.

I peccati dei battezzati 
Che cosa dice la Bibbia sul perdono dei peccati commessi da chi è già stato battezzato? La Scrittura afferma chiaramente che “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” e che “sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Romani 3:23,24). Tuttavia, la giustificazione e la redenzione in Cristo non sono automatiche per tutti i peccati. Infatti, vi è un tipo di peccato per il quale non c'è perdono: "Se qualcuno vede suo fratello commettere un peccato che non conduca a morte, preghi, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono un peccato che non conduca a morte. Vi è un peccato che conduce a morte; non è per quello che dico di pregare” (1Giovanni 5:16).

Qual è questo peccato imperdonabile? Gesù lo dice e il Vangelo di Marco lo riporta: “ma chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è reo di un peccato eterno” (Mc 3:29. In cosa consiste il peccato contro lo Spirito Santo? L’autore della Lettera agli Ebrei lo definisce così: "Infatti quelli che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste e sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo futuro, e poi sono caduti, è impossibile ricondurli di nuovo al ravvedimento perché crocifiggono di nuovo per conto loro il Figlio di Dio e lo espongono a infamia” (Eb 6:4-6). “Infatti, se persistiamo nel peccare volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati; ma una terribile attesa del giudizio e l'ardore di un fuoco che divorerà i ribelli" (Eb 10:26,27).

Ovviamente solo Dio può dire chi commetta questo tipo di peccato dal quale non c'è perdono. In tutti gli altri casi di peccato dopo il battesimo si attuano le seguenti strategie scritturali: 
1. Per i peccati comuni, dovuti più alla nostra imperfezione che alla volontà di peccare, c'è la diretta confessione a Dio come ben illustra il salmista: "Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: ‘Confesserò le mie trasgressioni al Signore’. E tu hai perdonato l'iniquità del mio peccato" (Sl 32:5).

2. Chi persegue una condotta riprovevole, gettando il biasimo sulla chiesa di Dio, dando occasione d'inciampo ai fratelli nella fede e a quelli di fuori, l'apostolo Paolo previde questa procedura che, nel caso specifico, riguardava i fannulloni i quali, con la scusa dell'imminente ritorno del Signore, oziavano: “Fratelli, vi ordiniamo nel nome del nostro Signore Gesù Cristo che vi ritiriate da ogni fratello che si comporta disordinatamente e non secondo l'insegnamento che avete ricevuto da noi” (2 Tessalonicesi 3:6).

Giovanni così lo descrive: "Se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo. Chi lo saluta, partecipa alle sue opere malvagie" (2 Giovanni 10:11). Già in questo testo, comunque, abbiamo un intensificarsi della disciplina a causa della serietà del peccato di apostasia. Cosa che porta al terzo punto.

3. Per chi pecca di eresia, creando sette e fazioni all'interno della chiesa, l’apostolo Paolo raccomanda: “Ammonisci l'uomo settario una volta e anche due; poi evitalo; sapendo che un tal uomo è traviato e pecca, condannandosi da sé" (Tito 3:10,11). Qui Paolo non tratta più il peccatore come un fratello (cfr. 2 Tessalonicesi 3:15) e dopo almeno due tentativi di correzione, l'uomo si auto esclude dalla comunità.

Espulsione per i peccatori impenitenti 
Espulsione o scomunica di tutti i peccatori impenitenti che fanno del peccato il loro stile di vita. Paolo la raccomandò energicamente per il fornicatore di Corinto: "Vi ho scritto nella mia lettera di non mischiarvi con i fornicatori; non del tutto però con i fornicatori di questo mondo, o con gli avari e i ladri, o con gl'idolatri; perché altrimenti dovreste uscire dal mondo; ma quel che vi ho scritto è di non mischiarvi con chi, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone, un ladro; con quelli non dovete neppure mangiare. Poiché, devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi" (1 Corinzi 5:9-13). 

 

 

Chi concede il perdono dei peccati? La confessione (parte 2)

Chi concede il perdono dei peccati? La confessione (parte 2)

Leggi qui la parte 1.

Michele Abiusi – La domanda che si impone ora è: “Chi deve dare l’assoluzione per i peccati confessati?”. Cercheremo di spiegare un testo fondamentale contenuto nel Vangelo di Matteo: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va' e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello; ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni. Se rifiuta d'ascoltarli, dillo alla chiesa; e, se rifiuta d'ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano. Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo” (Mt 18:15-18).

Nel brano si parla di come agire quando subiamo offese dal nostro prossimo: “Se tuo fratello ha peccato contro di te”. Una volta chiarita la causa dell’offesa, il testo dice: “Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello”. Come si vede è l’offeso che, una volta appurato il pentimento dell’offensore, perdona e mette una pietra sopra la colpa ristabilendo la relazione fraterna.

Gesù stabilì una procedura a tre tappe:

1. Parlare con l’offensore per chiarire la cosa e ristabilire buone relazioni.

2. Nel caso che non si arrivi a un accordo e l’offensore non riconosca le ragioni della parte opposta, ritornare da lui con uno o due testimoni affinché con la loro consulenza si possa ristabilire la pace.

3. Se non si approda ad alcunché, chiamare in causa la comunità, la chiesa, affinché il consiglio della moltitudine possa sensibilizzare il cuore dell’offensore a far pace con la parte lesa.

In tutte queste tappe non si tratta di stabilire dove stia la ragione ed emettere una condanna del colpevole, ma piuttosto il restaurare relazioni amorevoli compromesse dal peccato. Lo scopo di questa procedura è riavvicinare il colpevole alla chiesa, facendogli fare pace.

Come comprendere le parole di Gesù “se rifiuta d'ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano”? Questo è l’ultimo passo suggerito da Gesù per risolvere i contrasti tra “fratelli” nella fede. La chiave per capire queste parole è l’espressione “sia per te”. Gesù indica che tutta la questione rimane a livello individuale, non di chiesa. L’intervento della chiesa ha il solo scopo di ristabilire spiritualmente il colpevole. Se il colpevole non mostra di capire il punto e rimane della stessa idea, allora l’ultima possibilità per aiutarlo è quello di considerarlo come un esattore delle tasse (pubblicano) o un pagano.

Dato che è Gesù a proporre questa procedura, è chiaro che si deve trattare il colpevole come Gesù trattava i pubblicani e i gentili (i pagani), cioè con amore e interesse sincero. Nella società ebraica del tempo di Gesù, i pagani e i pubblicani erano considerati i peccatori per eccellenza dai quali bisognava mantenere le distanze. A differenza dell’opinione corrente, Gesù fu sempre ben disposto verso costoro. Ricordiamo che un esattore delle tasse, Matteo, fu scelto per essere parte del gruppo degli apostoli. Anche i pagani ricevettero l’amorevole interesse di Gesù, come il centurione romano di cui esaltò la fede: “Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande!” (Mt 8:10). Condannando gli altezzosi farisei, Gesù li apostrofò: “Io vi dico in verità: I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio.” (Mt 21:31).

Quindi se il colpevole non aveva l’intenzione di ravvedersi, la controparte doveva fare in modo che, per quanto dipendesse da lui, l’amore e la pace regnasse tra loro, creando occasioni di riconciliazione.

L’ultimo versetto del nostro brano biblico termina dicendo: “tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo”. Ovviamente queste parole hanno relazione con quanto detto prima. Risulta chiaro che è l’atteggiamento del peccatore a determinare il perdono e l’assoluzione da parte di Dio. Se c’è pentimento, allora Dio convalida il perdono che l’offeso concede all’offensore, assolvendolo dal peccato commesso. Ora chiediamoci: “Su cosa si basa, secondo la Bibbia, il perdono dei peccati per noi discepoli del Signore?”.

Citiamo tre passi scritturali: 
“… se alcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati…” (1 Giovanni 2:1,2). 
“Poiché in lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia” (Efesini 1:7). 
“In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Colossesi 1:14).

Dai testi risulta chiaro che è grazie al sacrificio vicario di Cristo che possiamo ottenere il perdono dei peccati. La realtà della nostra condizione peccatrice è evidenziata da Gesù che, rispondendo agli accusatori della donna adultera, disse: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Giovanni 8:7).

Il conflitto interiore di ogni cristiano 
Paolo descrive magistralmente il conflitto interiore tra il bene e il male generato a volte dal peccato. In Romani 7:15-23, Paolo narra questo combattimento interiore. L’apostolo inizia descrivendo lo stato di smarrimento creatogli dal conflitto interiore: “ciò che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio” (v.15). Perfino sotto l’influenza del peccato Paolo riconosce la bontà della legge divina: “Ora, se faccio quello che non voglio, io ammetto che la legge è buona” (v. 16). Continua l’apostolo: “allora non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me” (v.17).

Paolo non cerca di trovare una scappatoia per sfuggire alla responsabilità morale del peccato, ma ne riconosce il potere nella vita del credente. Come prova del suo argomentare afferma: “Difatti, io so che in me, vale a dire nella mia carne, non abita alcun bene” (v. 18), dichiarazione esplicita della natura umana peccaminosa. Il salmista lo disse in chiave poetica: “Ecco, io sono stato generato nell'iniquità, mia madre mi ha concepito nel peccato” (Sl 51:5).

Continua l’apostolo: “poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no” (Ro 7:18). La parte cosciente di noi sa cosa fare, ma la peccaminosità a volte rende inutili gli sforzi rivolti al bene, per cui “il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio” (v. 19). L'apostolo raggiunge l’ovvia conclusione: “Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me” (20). Ciò che qui ribadisce Paolo non è una scappatoia morale, ma la dura realtà della nostra natura umana. Questa peccaminosità è talmente insita in noi da definirla: “Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me” (v. 21). Si tratta qui di una “legge” in senso lato, un principio, altrimenti sarebbe impossibile compiere il bene in assoluto.

Poi continua: “Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore” (v. 22). Per Paolo il bene è collegato all’adempimento della legge di Dio come espressa nei dieci comandamenti, ma il principio, o forza, che opera in lui “combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra” (v. 23). Qui il contrasto è tra “un'altra legge” – quella della carne decaduta, la “legge del peccato” – e la legge di Dio che governa la sua parte cosciente, la mente. Paolo esclama: “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (v.24), intendendo “il corpo del peccato” (cfr. Ro 6:6).

Ma subito risponde: “Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” (7:25). La salvezza per grazia è l’unica soluzione all’ingerenza del peccato nella vita del credente. Da soli non riusciremo mai ad emanciparci dal peccato, come Paolo scrisse anche agli Efesini: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (2:8,9). 

 

 

Cristo nostra Pasqua

Cristo nostra Pasqua

Michele Abiusi – La Pasqua era una delle grandi feste ebraiche che prevedeva il pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. Era celebrata in primavera, il 14 Nisan e durava 7 giorni.

Questa festa, in effetti, ne racchiudeva due: 
Pasqua, che significa “passaggio”, con il richiamo alla decima piaga d’Egitto, descritta in Esodo 12. Il testo dice: “Mangiatelo in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua del Signore. … Quel giorno sarà per voi un giorno di commemorazione, e lo celebrerete come una festa in onore del Signore; lo celebrerete di età in età come una legge perenne. Per sette giorni mangerete pani azzimi. Fin dal primo giorno toglierete ogni lievito dalle vostre case; perché, chiunque mangerà pane lievitato, dal primo giorno fino al settimo, sarà tolto via da Israele. … Quando i vostri figli vi diranno: ‘Che significa per voi questo rito?’ risponderete: ‘Questo è il sacrificio della Pasqua in onore del Signore, il quale passò oltre le case dei figli d'Israele in Egitto, quando colpì gli Egiziani e salvò le nostre case’. Il popolo s'inchinò e adorò” (Es 12:11,14,15,26,27).

Festa degli Azzimi.Queste sono le solennità del Signore, le sante convocazioni che proclamerete ai tempi stabiliti. Il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sull'imbrunire, sarà la Pasqua del Signore; il quindicesimo giorno dello stesso mese sarà la festa dei Pani azzimi in onore del Signore; per sette giorni mangerete pane senza lievito” (Levitico 23:4-6).

La Pasqua divenne per gli Israeliti la festa della liberazione e della libertà. Con la venuta e il sacrificio di Cristo, assunse un nuovo significato. “Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità” (1 Corinzi 5:7-8).

Non è per caso che Gesù morì nel periodo pasquale: Cristo è la liberazione dalla schiavitù del peccato. Cristo è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Cristo è il passaggio a Dio. non sono più semplici simboli esteriori, ma simboli interiori, duraturi: “Azzimi della sincerità e verità”.

La Pasqua cristiana ricorda l’evento del Golgota, unico ed irripetibile.
“In virtù di questa ‘volontà’, siamo stati santificati mediante l'offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre. Mentre ogni sacerdote sta in piedi ogni giorno a svolgere il suo servizio e offrire ripetutamente gli stessi sacrifici che non possono mai togliere i peccati, Gesù, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio” (Ebrei 10:10-12).

Gesù ci ha riscattato dal vano modo di vivere. “sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia. Già designato prima della fondazione del mondo, egli è stato manifestato negli ultimi tempi per voi” (1 Pietro 1:18-20).

Cristo è la nostra Pasqua perché attraverso l’accettazione del suo sangue che lava i nostri peccati, la punizione di Dio passa oltre. “Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi” (Romani 8:34).

Disponiamo i nostri cuori a festeggiare la Pasqua come insegna l’apostolo Paolo e siamo riconoscenti al Signore che ha vinto la morte. La sua risurrezione è garanzia della nostra.

 

 

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