Cristo è il “termine” della legge?

Cristo è il “termine” della legge?

Michele Abiusi – Fiumi di inchiostro sono stati versati nelle pagine delle riviste teologiche, più o meno prestigiose, a proposito del ruolo di Gesù Cristo nell’abolizione della legge mosaica. I sostenitori dell’abrogazione della legge di Dio spesso citano il testo di Romani che dice: “Poiché il termine della legge è Cristo…” (10:4).

Cerchiamo di capire il vero significato di questa espressione paolina. Nel greco biblico la frase risulta così: 
télos gár nómou Christós 
fine poiché di legge Cristo 
che in italiano potrebbe essere tradotto: poiché Cristo è la fine della legge.

Il termine chiave è télos, a cui vengono di solito dati due significati: 
– fine, terminazione, il limite dove una cosa cessa di esistere, compimento; 
– scopo.

Mettiamo a confronto alcune versioni della Bibbia per vedere quale traduzione hanno scelto. 
La Nuova Riveduta traduce: poiché Cristo è il termine della legge… 
La Nuova Diodati traduce: perché il fine della legge è Cristo… 
La Cei traduce: Ora, il termine della legge è Cristo… 
La Paolina traduce: Infatti il culmine della legge è Cristo… 
L'American Standard Version traduce: For Christ is the end of the law… (poiché Cristo è la fine della legge). 
La New International Version traduce: Christ is the culmination of the law… (Cristo è il culmine della legge)

Da questa panoramica vediamo che Nuova Riveduta, Cei e American Standard Version preferiscono identificare Cristo come la fine, il termine, della legge; mentre Nuova Diodati, Paolina e New International Version vedono il Cristo come il culmine o lo scopo della legge. È chiaro che i due intendimenti sono diametralmente opposti, lasciando apparentemente irrisolta la questione: Cristo è il fine o è la fine della legge?

Ciò di cui comunemente non si tiene conto è che vi è una terza alternativa alla traduzione di télos, che, a nostro modo di vedere, risulta più consona al pensiero dell'apostolo Paolo.

Il dizionario, oltre ai significati precedenti, ne fornisce un terzo molto interessante: imposta, tassa, tributo, pedaggio, dogana.
Poco più avanti, sempre nell'epistola ai Romani, Paolo utilizza télos proprio con il significato di tributo: “Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l’imposta a chi è dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa [in greco: télos to télos]; il timore a chi il timore; l’onore a chi l’onore" (Romani 13:7). Il termine compare in Matteo 21:32 nella parola telònes, esattore di tasse, formata da télos e néomai (comprare): "Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani [telònes] e le prostitute gli hanno creduto".

Nella Bibbia dei Settanta (LXX) in greco, télos compare per esempio in Numeri 31: "seicentosettantacinque per il tributo al Signore [télos kurio]" (v. 37). 
Pertanto, il senso da dare alla parola télos dipende dal contesto.

Nei versetti precedenti al nostro testo, e cioè Romani 10:1-3, si parla dei giudei che cercavano di essere giusti ma, non conoscendo la giustizia di Dio, stabilivano la propria: "Perché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio" (v.3). Gli ebrei facevano questo attraverso il legalismo tanto caro ai farisei. Gesù disse dei farisei che "legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente" (Matteo 23:4). 
Tali pesi che gravavano sulla coscienza delle persone erano aggiunte inutili alla perfetta legge di Dio, erano comandi di uomini, come li definì Gesù: "Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti d'uomini" (Matteo 15:9).

Ritornando al pensiero dell'apostolo Paolo, i giudei cercavano di essere giusti osservando anche il più piccolo comando della legge. Come aveva discusso precedentemente (Romani 7:7-25) nessuno poteva riuscire ad essere giusto con le sole forze umane perché "la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato" (v.14). 
A questo punto Paolo, dopo aver descritto l'impossibilità di conseguire la giustizia con le proprie forze, dice che Cristo è telòs di legge cioè "tributo di legge". La parola legge (in greco nómou) è senza articolo, per cui la traduzione più consona al contesto sarebbe: poiché tributo di legge [è] Cristo per giustizia per ogni credente (traduzione letterale).

Pertanto, nel testo di Romani 10:4 non si parla né della fine della legge, né dello scopo della legge, ma del tributo versato. Gesù ha pagato per tutti noi, egli è il tributo (télos) per la nostra salvezza: “Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6:20); “Infatti c'è […] un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo” (1 Tm 2:5,6)

Il peccato introdotto nel mondo ha richiesto un prezzo altissimo per essere estinto: il preziosissimo sangue di Cristo! A lui sia lode per l'eternità.

 

 

Il fariseo e il pubblicano al tempio

Il fariseo e il pubblicano al tempio

Michele Abiusi – L’evangelista Luca dedica diversi brani alla riflessione sull’importanza e sul significato della preghiera, prima della breve parabola oggetto delle nostre riflessioni.

“Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: ‘O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo’. Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me, peccatore!’ Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato” (Luca 18:8-14).

Nei versetti precedenti (1-8) dello stesso capitolo, viene affermata l’importanza della preghiera continua. Nel testo successivo, riportato sopra, si affronta il tema di come pregare. In questo racconto vi è una precisa idea di Dio, perché il modo di pregare rivela qualcosa della persona e del suo rapporto con Dio.

Destinatari ben definiti 
La parabola che Gesù presenta è rivolta a destinatari ben definiti: “Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri” (v 9). Essi spingono il Maestro ad elaborare riflessioni specifiche, su misura. Mi piace l’idea che Dio si occupi anche dei dettagli, che racconti una parabola per farci capire qualcosa che non vuole entrarci in testa! Ci sono alcuni che si sentono giusti di fronte a Dio e disprezzano gli altri. L’etimologia del termine disprezzare è de-prezzare, sminuire il valore.  Costoro si sentono, poi, giudici spietati degli altri. A loro è destinata la parabola.

Uguali davanti a Dio 
Gesù non inizia mettendo in risalto la differenza tra un fariseo e un pubblicano. Li considera uomini che salgono al tempio… Nessuna differenza! Sono solo uomini che desiderano incontrare Dio, che desiderano pregare. Di fronte a Dio non vi sono selezioni da dover superare. Il fariseo è un presuntuoso, il pubblicano è già un pubblico peccatore. Per Dio sono solo due uomini che vogliono incontrarlo. I farisei erano i puri, i separati, e volevano praticare la legge in ogni singolo dettaglio. Non erano come gli altri. Si impegnavano quotidianamente a vivere le innumerevoli prescrizioni. Erano quasi tutti di origine aristocratica, ricchi, conservatori. Il loro zelo e la loro fama costrinse il Sinedrio ad accogliere alcuni di loro come membri.

Il fariseo 
“O Dio, ti ringrazio” (v. 11). L’inizio della preghiera è buono, ma poi si perde per strada perché non è il ringraziamento l’origine dei sentimenti del fariseo. Non ringrazia Dio; è Dio che deve ringraziare lui! Non gli domanda assolutamente nulla, elenca le sue virtù perché sa di essere giusto. Si confronta con tutti e dice: “Non sono come gli altri”. Ed è vero, è un super-devoto!

Eppure, Gesù chiederà di superare la giustizia personale per entrare nel suo regno: “Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli” (Matteo 5:20).

Il problema del fariseo potrebbe essere anche il nostro: si finisce per diventare i professionisti del sacro. Il fariseo della parabola si confronta con il pubblicano rimasto a distanza; forse lo vede con la coda dell’occhio, sa che è un peccatore e allora elenca le sue pratiche devozionali: 
– digiuna tutti i lunedì e giovedì (in ricordo della salita e della discesa di Mosè al Sinai); 
– paga la decima (non restituisce).

In fondo il fariseo non ha bisogno di Dio, è bastante a se stesso.

Il pubblicano 
“Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me, peccatore!’" (v. 13). 
Il contrasto arriva come un pugno nello stomaco. Si passa dal “migliore” al “peggiore”! Un ebreo che riscuoteva le tasse dai suoi “fratelli” per conto dei Romani. Tre volte odiato e tre volte peccatore. E lo sa bene, il pubblicano! La sua preghiera è in quella frase appena sussurrata: Oh Dio, sii placato verso me peccatore. Chiede solo pietà.

Giustizia divina 
Entrambi i protagonisti della parabola dicono il vero di sé. Lo sbaglio del fariseo risiede nella fiducia che pone sulla propria giustizia. Gesù sentenzia su chi torna a casa giustificato. Spiazza tutti coloro che lo ascoltano, crea scompiglio fra tutti coloro che credevano i farisei i primi della classe.

L’imperdonabile, lui, il pubblicano, torna a casa perdonato. Gesù non loda la sua vita da pubblicano, così come non disprezza le opere del fariseo, ma vede l’umiltà del peccatore, la sua dolorosa consapevolezza del limite, che è l’unico modo di porci davanti al Signore. Il pubblicano torna a casa con il cuore colmo di Dio, ma torna anche al suo lavoro. Dio è paziente e aspetta il cambiamento di comportamento. Il fariseo torna a casa con il cuore colmo di sé. Entrambi sono chiusi all’Altissimo, solo che il pubblicano ne è consapevole, e questo basta.

E noi… 
Anche noi spesso pensiamo di essere, se non proprio i migliori, nemmeno peggiori di tante persone che vivono intorno a noi. Abbiamo dei limiti che teniamo nascosti agli altri per paura. Siamo consapevoli di avere delle virtù.

Questa parabola ci invita all’umiltà e alla consapevolezza dei propri limiti. Il peccato ci aiuta ad essere centrati sul nostro Signore, per lasciare che la sua grazia riempia il nostro cuore. Siamo chiamati ad avvicinarci a Dio, consapevoli del nostro limite e del nostro peccato, non dei nostri meriti.

 

 

 

La morte, una pausa prima della risurrezione

La morte, una pausa prima della risurrezione

Michele Abiusi – La morte, che ancora fa parte dell’esperienza umana, è in stretta relazione con il peccato, inteso come ribellione a Dio per essere autonomi: “perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23). 
Il peccato produce separazione da Dio e quindi la morte avrebbe dovuto essere l’annientamento totale dell’uomo (quello che la Bibbia definisce morte seconda).

Grazie a Cristo, la morte è una semplice interruzione della vita a cui farà seguito la risurrezione. È per questo che Gesù la paragona a un sonno, proprio perché presuppone un risveglio. 
“Così parlò; poi disse loro: ‘Il nostro amico Lazzaro si è addormentato; ma vado a svegliarlo’. Perciò i discepoli gli dissero: ‘Signore, se egli dorme, sarà salvo’. Or Gesù aveva parlato della morte di lui, ma essi pensarono che avesse parlato del dormire del sonno” (Giovanni 11:11-13).

Nella morte avviene la dissociazione degli elementi che costituiscono l’uomo, come lo descrive il racconto genesiaco della creazione: “Dio il Signore formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente” (Genesi 2:7). Il corpo torna in polvere alla terra e lo spirito ritorna a Dio che lo ha dato. Non si tratta solo dell’incapacità di respirare, ma torna a Dio la nostra personalità che ci verrà restituita alla risurrezione. “prima che la polvere torni alla terra com'era prima, e lo spirito torni a Dio che l'ha dato” (Ecclesiaste 12:9). Nella morte l’uomo, essere psico-fisico, non c’è più, ma Dio conserva la nostra personalità per restituircela alla risurrezione.

La morte sarà totalmente debellata al ritorno di Cristo. “Fratelli, non vogliamo che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati. Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati” (1 Tessalonicesi 4:13-15).

Le sedute spiritiche, medianiche e quant’altro sono inganni del maligno. Il messaggio più bello della Sacra Bibbia è quello dell’apostolo Paolo che si basa sulla fede in Cristo: “Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Perché la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati. Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: ‘La morte è stata sommersa nella vittoria’. ‘O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo dardo?’. Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge; ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo” (1 Corinzi 15:51-57).

Un vecchio adagio recita: “A tutto c’è rimedio tranne che alla morte”. Io mi permetto di dire: “A tutto c’è rimedio anche alla morte”. La risposta di Dio è la risurrezione. La morte, grazie a Cristo, non è più uno spauracchio, ma un’attesa incosciente che il piano di Dio per l’umanità si realizzi definitivamente. 

 

 

Maghi e oroscopi

Maghi e oroscopi

Michele Abiusi – Alcune vicende sconcertanti diventano, periodicamente e con frequenza sempre maggiore, fatti di cronaca. Arrestata la maga che prometteva di togliere il “malocchio” in cambio di piccole fortune. Incriminato il santone che vendeva a peso d’oro intrugli magici. Le statistiche parlano di individui senza scrupoli che approfittano di migliaia di persone speranzose di risolvere i loro problemi con l’aiuto della magia.

Esistono anche coloro che, approfittando delle sofferenze di chi ha perso un familiare, assicurano di comunicare con i defunti. Il rifiuto della separazione e l’incapacità di consolarsi altrimenti, ha incoraggiato il proliferare di medium e spiritisti. Infine, ultimo scalino di questo cammino in discesa, c’è chi cerca nei culti satanici la soddisfazione dei desideri di mistero, di potere, di sesso e di denaro.

Ciò che è incredibile è che i mezzi di comunicazione diano spazio a tanti maghi e presentino gli oroscopi come se fossero vera scienza, aprendo la strada allo sfruttamento dell’ignoranza. Tutti questi inganni creano false illusioni, impoveriscono profondamente gli individui e le famiglie e, non raramente, conducono ad atti criminali.

È vero che le pratiche occulte e magiche esistono da sempre ed è altrettanto vero che esse sono presenti in ogni cultura e anche in molte religioni, ma la Parola di Dio ha delle risposte al problema della magia, dello spiritismo e della negromanzia.

Leggiamo alcune dichiarazioni tratte dalla Scrittura. 
“Se vi si dice: ’Consultate quelli che evocano gli spiriti e gli indovini, quelli che sussurrano e bisbigliano’, rispondete: ‘Un popolo non deve forse consultare il suo Dio? Si rivolgerà forse ai morti in favore dei vivi? Alla legge! Alla testimonianza!’ Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora!” (Isaia 8:19-20).

“Fra quanti avevano esercitato le arti magiche molti portarono i loro libri, e li bruciarono in presenza di tutti; e, calcolatone il prezzo, trovarono che era di cinquantamila dramme d'argento” (Atti 19:19).

Questo episodio ci rivela che l’opinione del mondo ebraico riguardo alle pratiche magiche e spiritiste non cambiò affatto con il cristianesimo. La magia, la cartomanzia e l’astrologia insegnano che la vita e il bene dell’individuo dipendono da formule, da oggetti o da persone che finiscono con il dominare la nostra esistenza, togliendoci la libertà e la responsabilità personale.

Il progetto di Dio per ognuno di noi è ben diverso. Egli desidera che siamo persone libere, responsabili, capaci di scegliere la nostra strada senza farci condizionare da superstizioni che ingannano e ci rendono succubi della mente altrui.

Colui che pratica il culto dei morti, che li invoca tramite santoni, medium o spiritisti, si addentra in un mondo molto pericoloso, quello del male. E il male non può condurre che alla morte. A queste persone Dio ripete le parole del profeta Isaia: “Perché dovreste consultare i morti in favore dei vivi? Ritornate alla legge di Dio e alla sua parola. Solo allora avrete la vita, solo con Dio avrete un futuro”.

Il progetto di Dio per noi è di bene assoluto. Hai bisogno di consolazione, di compagnia, di affetto, di speranza? Hai bisogno di futuro? Non cercarli nei maghi e neppure negli indovini, e tanto meno consultando i morti, chiunque essi siano. Queste sono proposte illusorie e molto pericolose.

Cerca piuttosto Gesù Cristo nei Vangeli. In lui ho trovato tutto ciò che cercavo. Puoi trovarlo anche tu.

 

 

Gesù unico mediatore

Gesù unico mediatore

Michele Abiusi – “Vi è infatti un solo Dio, ed anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo” (1 Timoteo 2:5). 
Un solo Dio, un solo mediatore. Su cosa si fonda questa affermazione paolina? Devo dire che ha una logica biblica ineccepibile! 
“In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12).

Gesù, unico Salvatore 
“Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi” (Romani 8:34)-

Gesù, unico Mediatore 
“Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli” (Colossesi 1:19-20).

E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio. Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui (2 Corinzi 5:18-21).

Viene qui indicata la finalità della salvezza.

L’Epistola agli Ebrei è molto particolare, perché ha per tema Gesù Cristo sommo sacerdote. “Egli invece, poiché rimane in eterno, ha un sacerdozio che non si trasmette. Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (Ebrei 7:24-25).   

Intercessione continua 
“Ora, il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: abbiamo un sommo sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore, e non un uomo, ha eretto” (Ebrei 8:1-2).

Gesù sommo sacerdote
“In virtù di questa ‘volontà’ noi siamo stati santificati, mediante l'offerta del corpo di Gesù Cristo fatta una volta per sempre. Mentre ogni sacerdote sta in piedi ogni giorno a svolgere il suo servizio e offrire ripetutamente gli stessi sacrifici che non possono mai togliere i peccati, Gesù, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio, e aspetta soltanto che i suoi nemici siano posti come sgabello dei suoi piedi. Infatti con un'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati” (Ebrei 10:10-14).                      

Intercessione efficace 
Invito ad andare sempre a Cristo che è l’unico ponte fra noi e Dio, l’anello di congiunzione fra Dio giusto e l’uomo peccatore.

 

 

La Parola

La Parola

Michele Abiusi – Il prologo del Vangelo di Giovanni richiama il primo libro della Bibbia, la Genesi.

“Nel principio Dio creò…” (Genesi 1:1). 
“Nel principio era la Parola (in greco Logos)” (Giovanni 1:1).

Le informazioni su Gesù Cristo, contenute nei primi cinque versetti del prologo, indicano tre importanti relazioni che danno una grandiosa presentazione della sua persona.
1. La sua relazione con Dio. “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio” (Giovanni 1: 1, 2).
2. La sua relazione con l’universo. “Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” (Giovanni 1:3).
3. La sua relazione con il vangelo. “In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta” (Giovanni 1:4, 5).

Dopo i primi due versetti introduttivi, Giovanni ci presenta il ruolo della Parola nella creazione dell'universo e nella storia della salvezza: "Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” (v.3).

La Parola spinge tutte le cose all'essere e alla salvezza, in quanto esse partecipano alla comunione di vita con Dio. Tutta la storia appartiene a Dio. Tutte le cose sono opera del Figlio di Dio, di Gesù di Nazaret. La creazione non nasce dal nulla o da un caos primordiale, la creazione nasce da Dio, per mezzo di Gesù Cristo. Questa è la rivelazione biblica.

Il versetto 4 mette in relazione la vita e la luce. Ogni uomo è fatto per la vita ed è chiamato ad essere illuminato dalla Parola. 
Genesi 1 ci dice che Dio è il creatore dell'universo e della vita; Giovanni 1 ci dice che Gesù Cristo è la vita. Infatti, senza di lui saremmo irrimediabilmente morti a causa del peccato. Gesù è vita ed offre la vera vita. La luce di Cristo splende su ogni essere umano che viene nel mondo, e le tenebre lottano per eliminarla. Tuttavia, l'ambiente del male, che si oppone alla luce di Dio e alla Parola, che è Gesù, non riesce ad avere il sopravvento e a vincere. Ma non tutte le persone riescono ad accogliere questa luce, perché il peso dei peccati impedisce loro di vederla.

Il mio augurio per ogni giorno della nostra esistenza è che possiamo accogliere Gesù nei nostri cuori ed essere da lui illuminati per vivere una vita vera, in vista di ricevere quella eterna. 

 

 

 

È ancora possibile credere in Dio?

È ancora possibile credere in Dio?

Michele Abiusi – Si può credere in una società come la nostra dove, malgrado il proliferare delle associazioni per la difesa dei diritti umani, le ingiustizie e le violenze continuano a colpire i più indifesi? In una società dove, malgrado gli sforzi e l’impegno delle Nazioni Unite e dei pacifisti di tutto il mondo, le guerre e il terrorismo seminano ogni giorno morti e paura? Penso anche alle vittime di femminicidio nel nostro Paese!

Mai indifferenti 
Posso credere ancora in Dio? Nell’Essere Superiore che, secondo le varie religioni, si occupa dell’uomo e della sua storia? 
Non sono poche le persone che di fronte al dilagare della sofferenza se la prendono con Dio e rifiutano di credere in lui affermando che se veramente esistesse e se fosse un Padre buono, come spesso si sente dire, non assisteremmo a tante tragedie. Capisco questo modo di pensare anche perché io stesso a volte sono stato contagiato da questa ribellione e ho gridato: “Dove sei, mio Dio? Perché non intervieni? Perché non fai qualcosa? Perché non ci aiuti?”.
In effetti davanti alla morte di persone innocenti, allo sfruttamento di tanti bambini usati e violentati per il piacere di alcuni individui senza scrupoli, senza pietà e senza morale, non possiamo restare indifferenti. Anzi, guai a coloro che non si ribellano! Che non gridano! Guai a coloro che si conformano, che si abituano a tutto, anche al male più devastante.

Cosa dovrebbe fare Dio 
Quindi rimane la stessa domanda: “Posso credere ancora in Dio malgrado tutto questo?”. 
Prima di rispondere vorrei proporre un’ulteriore riflessione. Cosa dovrebbe fare Dio per aiutarci a vivere in un mondo migliore, con meno corruzione, con meno sofferenza in modo da poter credere in lui? A questa domanda alcuni mi hanno detto che se Dio esistesse dovrebbe intervenire nel cuore e nella mente di coloro che contano e convincerli ad essere più umani, più sensibili ai bisogni altrui, meno egoisti, meno violenti. Dovrebbe orientare coloro che gestiscono le sorti di popoli interi e magari distoglierli dalle strategie di guerra e di terrorismo. 

Si, sarebbe un’ottima soluzione. Ma chi può affermare che Dio non agisca già in questa direzione? Chi può credere che Dio non abbia fatto tutto per evitare il peggio? Quando penso all’ultima guerra mondiale e alla tragedia immane della Shoah, non mi ricordo soltanto delle tante immagini assurde, pazzesche e incredibili alle quali la televisione e il cinema ci hanno abituato, ma penso anche ai tanti che in Italia ed in vari Paesi d’ Europa sono intervenuti salvando famiglie, liberando centinaia e addirittura migliaia di ebrei destinati ai forni crematori o alle camere a gas. Chi ha dato la forza a questi “eroi” per sfidare quel potere assoluto? Chi ha dato il coraggio a questi “eroi” per rischiare la propria vita per degli sconosciuti, per degli stranieri?

Costoro erano persone semplici che sono diventate “grandi” perché erano sicuramente attente ai bisogni degli altri e credo anche perché hanno saputo ascoltare la propria coscienza, o meglio, la voce di Dio quando ha parlato e hanno agito in conseguenza. Quante volte mi sono chiesto: “Come racconteremmo la storia se di uomini come Perlasca, come Shindler, come Foley ne avessimo avuto centinaia, migliaia, milioni? Se milioni di bambini fossero stati educati negli stessi principi di giustizia, di amore, di solidarietà, di rispetto, di uguaglianza, forse non avremmo conosciuto né la Shoah né tante altre miserie.

Non secondo i nostri parametri
Altri amici mi hanno detto che se Dio esistesse davvero prenderebbe in mano la situazione e interverrebbe di persona e con decisione. Alcuni mi hanno detto che Dio avrebbe dovuto far morire Hitler quando era ancora in fasce. E per quei dittatori che hanno fatto scorrere fiumi di sangue nell’ex Unione Sovietica, in Cina, in Cambogia, sarebbe stato meglio che le rispettive madri avessero abortito. E poi, cosa riservare a tutti quei dittatori africani, mediorientali o sudamericani di cui la storia recente ci ha raccontato le violenze inaudite? Dio doveva eliminarli fisicamente. E cosa dire dei capi mafia che hanno insanguinato l’Italia? Quale sorte decreteremmo per i pedofili? Per coloro che sfruttano la prostituzione infantile? Per coloro che vendono droga ai giovani? Per i politici corrotti e per gli industriali e banchieri senza scrupoli? Quante persone dovrebbe eliminare Dio perché la giustizia e la pace siano ristabilite su tutto il pianeta? Quanti campi di concentramento dovremmo allestire per contenere tutte le persone inserite nelle nostre liste di condannati?

Su questa strada, volendo ristabilire la giustizia ognuno a modo proprio, moltiplicheremmo il numero dei dittatori, invece di limitarli. Chiedendo a Dio di intervenire secondo i nostri parametri, creeremmo un Dio assoluto, un Dio che per il mantenimento del bene usa la malattia e la morte, che per stabilire la pace usa la guerra e il terrore. Otterremmo esattamente il contrario di ciò che vorremmo. E allora finiamola di dire: “Se Dio esistesse le cose sarebbero diverse!”. Se Dio dovesse seguire i nostri consigli, allora sarebbe veramente il caos!

Dio interviene e educa
Sono sicuro che Dio è preoccupato della nostra esistenza e interviene per aiutarci. Dio non si è dimenticato dell’essere umano che ha creato con tanta perfezione e tanto amore. Dio ha fatto tutto per educarci al bene. Ancora di più: venendo ad abitare in mezzo a noi, tramite nostro Signor Gesù Cristo, ci ha dimostrato quanto siamo importanti per lui; ci ha rivelato quanto ci ama; si è interessato ai bambini, ai poveri, alle donne, agli stranieri, ai condannati a morte, ma anche ai potenti, ai politici, ai religiosi. Per tutti Gesù ha avuto una parola di conforto, un sorriso di incoraggiamento. Il perdono era il suo modo di vivere per stimolare la rinascita, per dare fiducia, per trasformare i più emarginati.

Ricordo alcune parole semplici ma profonde di Gesù Cristo: 
Beati i poveri…”. Gesù ha invertito i valori della società, in cui erano e sono ancora i ricchi che contano, dove il possedere dei beni determina il valore di ognuno. Gesù voleva fermare la corsa pazza alla ricchezza, allo sfruttamento dell’altro, al consumismo sfrenato e molto ancora. 
Beati quelli che si adoperano per la pace…”. Che rivoluzione questo messaggio ancora attualissimo! Quanti hanno voluto le guerre in nome di Dio. Gesù non è tra coloro che promettono il paradiso a patto di uccidere i nemici; al contrario ci invita ad amare anche i nemici. 
Beati quelli che sono affamati ed assetati di giustizia…”. Gesù desidera la giustizia per tutti, sia a livello sociale che personale e ci invita a desiderarla dal profondo del nostro essere. La giustizia esisterà solo se tu ed io la desidereremo e se ci educhiamo ad essa. Tra le migliaia di parole forti di Gesù, basterebbero queste tre per farci conoscere quello che Dio voleva per noi: pace, giustizia, amore.

Se… 
Se tutti i cristiani, almeno loro, avessero accettato e fatto propri questi messaggi, oggi non ci chiederemmo se vale la pena credere in Dio. E allora smettiamo di dire: se Dio esistesse, la società sarebbe migliore. Non è Dio la causa dei nostri tanti problemi. Siamo noi, è stato l’essere umano che ha inventato questa società. Siamo noi che abbiamo escluso Dio dalla nostra vita, dalle nostre famiglie, dalle scuole e dalle università dove i nostri figli studiano, dalla politica e dall’economia. Siamo sempre noi che abbiamo dato fiducia al potere, al denaro, al successo come soluzione ai nostri drammi e con tristi risultati. Sì, è l’uomo che non è degno di fiducia, non Dio. E quindi, abbiamo il coraggio di dire finalmente: “Se l’uomo fosse all’ascolto di Dio, se i capi di Stato, se i politici, se gli industriali, se gli educatori, se i giornalisti, se i religiosi credessero veramente in Dio e lo dimostrassero, la società sarebbe diversa, sarebbe migliore”. 
E di dire con me: “Se noi come genitori credessimo veramente in Dio e se educassimo i nostri figli a rispettarlo e a ubbidirgli, la società potrebbe essere molto diversa, molto migliore”. Sì, oggi possiamo credere, dipende solo da noi.

Ti invito a prendere un po’ del tuo tempo e a leggere i Vangeli, chiedendo a Gesù di far nascere o di far crescere in te la fede, di farti conoscere il Padre. Lui ti ascolterà e ti risponderà. Ne sono sicuro perché questa è stata ed è ancora la mia esperienza.

 

 

Conoscere la Bibbia

Conoscere la Bibbia

Michele Abiusi – “Appena ho trovato le tue parole, io le ho divorate; le tue parole sono state la mia gioia, la delizia del mio cuore, perché il tuo nome è invocato su di me, Signore, Dio degli eserciti” (Geremia 15:16). Vi è gioia nello studio della Bibbia perché incontriamo il Signore e lo conosciamo sempre meglio. Questa è stata anche la mia esperienza.

Da ragazzino, insieme con mia sorella leggevamo tutta la Bibbia in un anno: tre capitoli al giorno e cinque il sabato. Quelle che consideravamo all’epoca “noiose” cronologie, si leggevano di corsa. In seguito, acquistai un quaderno con rubrica per scrivere gli appunti sulle tematiche incontrate man mano che leggevo. Poi, da studente universitario, confrontavo il mio testo biblico con altre versioni e traduzioni, perché la conoscenza della Scrittura aumentava e volevo comprendere sempre meglio, al punto da sentire la chiamata a studiare teologia e a prepararmi per diventare pastore. Ministero che ho svolto gioiosamente per circa 45 anni.

Possiamo avere molte copie e edizioni della Bibbia sui nostri scaffali, ma non ci procureranno neanche un briciolo di gioia se non studiamo la Scrittura diligentemente. “Dovremmo studiare la Parola di Dio personalmente… se volete conoscere personalmente il Salvatore e sentirne la voce. Le parole di Dio sono l’acqua vivente che estingue la vostra sete ardente; sono il pane vivente che viene dal cielo” – E. G. White, La via migliore, pp. 88, 89.

Lo studio delle Scritture è conditio sine qua non della vita cristiana, deve essere guidato dalla preghiera e da un’attenta riflessione. Mentre studiamo incontriamo il Signore ed entriamo in comunicazione con lui attraverso il suo Spirito che comunica con noi. Domandiamoci: “Cosa produce lo studio della Bibbia?”.

La più grande tragedia del mondo, in mezzo a mille problemi, è quella della fame spirituale. “Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza” (Osea 4:6).

Come non dovrebbe esistere la fame fisica nel mondo, dove i Paesi sviluppati hanno sovrabbondanza di cibo e finiscono per buttarlo anche a causa delle loro regole di mercato, così non dovrebbe esistere a livello spirituale. Gesù Cristo è pane per tutti. Come cristiani abbiamo la responsabilità di condividere il cibo con coloro che vivono nell’inedia spirituale. Noi credenti dobbiamo aprire la Bibbia e permettere ad altri di nutrirsene. La Parola di Dio va masticata e digerita (anche ruminata, se vogliamo!), in modo che trasformi veramente la nostra vita.

Sapete come finì l’esperienza degli ammutinati del Bounty? Solo un uomo sopravvisse, insieme a undici donne e ventitré bambini. Tra gli effetti dei marinai, Addams trovò una Bibbia e lì avvenne il miracolo: l’isola di Pitcairn, abitata da cannibali, divenne un’isola di cristiani avventisti, grazie all’invio di volantini da parte di James White e John Norton Loughbourough (pionieri della Chiesa avventista) nel 1876. Lo studio della Bibbia produce miracoli! Ogni conversione è un miracolo!

Il Signore, attraverso la sua Parola, vuole comunicarci gioia: “Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa” (Giovanni 15:11). La gioia che provava Gesù era quella di realizzare l’opera per cui era venuto sulla terra: “perché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto” (Luca 19:10).

Questa gioia può essere offuscata dall'ansia che nasce dal soffermarci sulle circostanze negative dalla vita. Le preoccupazioni terrene soffocano la parola di Dio. “La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” (Salmo 119:105). “La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente, ammaestrandovi ed esortandovi gli uni gli altri con ogni sapienza, cantando di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali” (Colossesi 3:16).

Quando Cristo diviene parte della nostra esistenza, allora sperimentiamo la gioia di vivere e troviamo energie inesauribili per servire il prossimo, e per una conoscenza sempre più approfondita della Scrittura. I cristiani dovrebbero essere le persone più felici del mondo, perché trovano nella Bibbia fiducia e sicurezza. Nutriamocene con gioia, rallegriamoci nella salvezza offerta da Gesù, nostro Salvatore. 

 

 

La gioia del Padre

La gioia del Padre

Michele Abiusi – Quando la Genesi descrive la creazione dice che, prima di istituire lo Shabbath, Dio considerò l’opera fatta, ed era molto buona. Sicuramente questo gli diede gioia! Ma possiamo dire che Dio prova i nostri stessi sentimenti? Non lo so. Di certo, per aiutarci a comprendere Dio, i profeti hanno usato degli antropomorfismi (letteralmente: forme umane) e fra questi vi è la gioia. Oggi vorrei riflettere su questo sentimento,guardandolo da un’altra angolazione, quella di Dio, nostro Padre.

Chiediamoci: “Come suoi figli abbiamo la possibilità di dare gioia a Dio?”. E posso anche domandarmi: “La mia vita dà gioia a Dio?”.

Vediamo come si esprime il profeta Sofonia nel descrivere il ritorno a Dio di Israele: “Il Signore, il tuo Dio, è in mezzo a te, come un potente che salva; egli si rallegrerà con gran gioia per causa tua; si acqueterà nel suo amore, esulterà, per causa tua, con grida di gioia” (Sofonia 3:17).

Geremia descrive la restaurazione di Gerusalemme, che diventa per Dio motivo di gioia: “Questa città sarà per me un motivo di gioia, di lode e di gloria fra tutte le nazioni della terra che udranno tutto il bene che io sto per fare loro; esse temeranno e tremeranno a causa di tutto il bene e di tutta la pace che io procurerò a Gerusalemme" (Geremia 33:9).

Anche il profeta Isaia si esprime sulla gioia di Dio: “Come un giovane sposa una vergine, così i tuoi figli sposeranno te; come la sposa è la gioia dello sposo, così tu sarai la gioia del tuo Dio” (Isaia 62:5).

L’Emmanuele, Dio con noi, sopportò la croce “Per la gioia che gli era posta dinanzi…” (Ebrei 12:2).

“Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento” (Luca 15:7)

Quando faccio parte del progetto di Dio, vi è gioia da parte del Signore. La salvezza è motivo di gioia per Dio: “Il suo padrone gli disse: ‘Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore’” (Matteo 25:21).

La gioia di Dio produce la mia gioia, associata sempre alla grazia e alla pace.

 

 

Allegrezza nello Spirito

Allegrezza nello Spirito

Michele Abiusi – “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo…” (Galati 5:22).

Viviamo in un’epoca in cui è difficile vedere le persone serene e sorridenti. La gente, già di prima mattina, è rabbuiata! Tutte le mattine, alle 6.30, esco con il mio cane per una passeggiata. incontro quasi sempre le stesse persone e le saluto sorridente, perché le vedo già pensierose.

Nel presentare l’immagine della vite e dei tralci, Gesù afferma: “Vi ho detto queste cose affinché la mia allegrezza dimori in voi” (Giovanni 15:11). Nella preghiera sacerdotale Gesù invoca il Padre e prega perché i suoi seguaci vivano la stessa esperienza piena che lui ha vissuto: “… affinché abbiano compiuta in se stessi la mia gioia” (Giovanni 17:13).

Qual era la gioia, l’allegrezza del Cristo? La salvezza dell’umanità! Era venuto al mondo con questo scopo. “… sopportò la prova per la gioia che gli era posta dinanzi” (Ebrei 12:2).

Gesù aveva inaugurato il regno di Dio non come lo aspettavano i Giudei dell’epoca, i discepoli in particolare, e gli Zeloti. Non era venuto a liberare dal giogo dei Romani, ma a inaugurare il vero regno che, come lo definisce l’apostolo Paolo, è “giustizia, pace e allegrezza nello Spirito Santo” (Romani 14:17).

In qualità di credenti, come figli di Dio, dobbiamo chiedere allo Spirito che ci dia questo sentimento e dobbiamo vivere questa allegrezza per diversi motivi:

Gioia della parola. “Appena ho trovato le tue parole, io le ho divorate; le tue parole sono state la mia gioia, la delizia del mio cuore, perché il tuo nome è invocato su di me, Signore, Dio degli eserciti” (Geremia 15:16). Fin dal mattino, per ricevere un condizionamento positivo! Questo è il consiglio di E. G. White (scrittrice cristiana e co-fondatrice della Chiesa avventista, ndr), che ho fatto mio da tantissimo tempo.

Gioia della salvezza. “rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Luca 10:20).

Gioia della speranza. “siate allegri nella speranza, pazienti nelle afflizioni, perseveranti nella preghiera” (Romani 12:12).

Gioia della predicazione. Descrivendo la predicazione del vangelo in Samaria, Luca commenta: “e vi fu grande allegrezza in quella città” (Atti 8:4-8).

Gioia del culto comunitario. “rendendo grazie con allegrezza al Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” Colossesi 1:12. Compito del pastore, del sacerdote e degli anziani di chiesa è aiutare i credenti ad avere questa gioia. “Noi non signoreggiamo sulla vostra fede, ma siamo collaboratori della vostra gioia, perché nella fede già state saldi” (2 Corinzi 1:24).

Mi piace un pensiero di Friederich Shiller in La pulzella d’Orléan: il dolore è breve, la gioia eterna.
Incoraggio tutti ad avere piena fiducia in Dio che è la nostra allegrezza. 

 

 

 

Vado… e tornerò

Vado… e tornerò

Michele Abiusi -Gesù sapeva che si avvicinava il momento della sua morte e quindi della sua partenza da questa terra, dopo la risurrezione. Gli apostoli e la comunità dei primi credenti non avrebbero più avuto il Maestro con loro, almeno fisicamente. Gesù era stato per tutti loro un padre misericordioso, un amico fedele, un saggio incomparabile, un religioso profondo e sincero. Avrebbero perso tutto questo. Gesù doveva prepararli alla separazione, per questo parlò spesso della sua morte e di quel futuro che per i discepoli si presentava incerto.

Non preoccupatevi
Leggiamo le parole del Maestro, riportate dal Vangelo di Giovanni: “Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi” (14:1-3).

Gesù invitò i suoi amici a non essere preoccupati e, ancora di più, a non essere nell’angoscia o depressi per gli eventi che sarebbero accaduti a breve. Ma come avrebbero potuto far fronte a tanta delusione? Gesù li incoraggiò ad avere fiducia in Dio e nelle sue parole. Solo la fede li avrebbe salvati nei momenti più difficili di solitudine, di dubbio e di incomprensione da parte degli altri.

In seguito il Signore affermò che, pur lasciando questa terra, non  avrebbe dimenticato gli esseri umani, non poteva dimenticare i suoi figli. Infatti, sarebbe partito per preparare un luogo per ognuno di loro come per ognuno di noi. In altre parole, anche se fisicamente lontano, avrebbe continuato a occuparsi di noi, ad amarci come quando è morto in croce, a perdonarci, a comprenderci, a soccorrerci. Non saremmo stati mai orfani. Il Vangelo di Matteo condensa le ultime parole del Maestro con questa certezza: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente” (Matteo 28:20).

Gesù voleva rassicurarci che non siamo e non saremo mai soli in questo mondo. Anche quando ci sentiremo abbandonati da tutti, quando avremo l’impressione che nessuno ci capisca, quando i parenti e gli amici ci avranno voltato le spalle, ricordiamoci le parole del Cristo: io sarò con voi sempre, ogni giorno, ogni anno, durante tutta la vostra vita! Ma Gesù di dice anche qualcos’altro: non solo mi ricorderò di voi e vi sarò vicino in ogni momento, ma un giorno tornerò su questa terra per prendervi e portarvi con me, perché dove sono io, siate anche voi!

Il progetto divino continua
Gesù annuncia che il suo progetto in favore dell’uomo non finisce con la sua morte e risurrezione, bensì continua e prevede finalmente che l’uomo abiti eternamente con il suo Dio. E per questo Gesù ritornerà, per prenderci e portarci con sé.

Sì! Sto parlando del ritorno di Gesù! Sembra una favola, vero? Eppure, milioni di cristiani ogni giorno, recitando “il credo”, dicono che Gesù si trova “alla destra di Dio, da dove ha da venire a giudicare i vivi e i morti…”

Lo stesso Gesù, che morì e risuscitò, ritornerà fra di noi.  Questo evento è riportato nella Bibbia centinaia di volte. “… perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d'arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo. poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore” (1 Tessalonicesi 4:16,17). Su questa speranza si è fondata la fede di generazioni di credenti per 2.000 anni. Quanti cristiani hanno accettato e ancora oggi affrontano la sofferenza, la malattia, e la morte con la certezza che un giorno rivedranno Cristo, per vivere per sempre con lui in un mondo di giustizia e di amore. È strano che oggi si parli così poco di questa speranza. Pare che gli stessi cristiani l’abbiano dimenticata.

Credere in ciò che non si vede
Capisco chi sorride di questa speranza. In una società fondata sul materialismo è sempre più difficile credere in ciò che non si vede. Ciò che oggi conta è possedere; ci siamo lasciati condizionare e manipolare dalle tante filosofie e dai tanti modelli che noi stessi abbiamo creato e abbiamo estromesso Dio dai nostri programmi e dai nostri desideri. Ci sono credenti così stressati nel correre dietro ai tanti miti e alle tante illusioni inventate, da fermarsi raramente per leggere la Bibbia e per incontrarsi con il Dio che si è fatto uomo.

Perché allora dovrei sorprendermi se la fede è rara? Perché sorprenderci se gli stessi cristiani non credono più al ritorno di Cristo?

E tu, credi nelle parole di Gesù Cristo quando disse: “Io vado a prepararvi un luogo. Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi”?

Credi tu a questo evento futuro che trasformerà in meglio questo nostro mondo e la nostra vita?

Vorrei invitarti ad avvicinarti a Gesù, tramite i Vangeli. La Parola di Dio può trasformare anche la tua vita in un’avventura meravigliosa.

 

 

 

Cosa fare per avere la vita eterna?

Cosa fare per avere la vita eterna?

Michele Abiusi – “Cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Questa era la preoccupazione di un giovane ricco che un giorno si avvicinò a Gesù. Ecco come ci racconta l’episodio il Vangelo di Matteo.

“Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: ‘Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?’.  Gesù gli rispose: ‘Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti’. ‘Quali?’ gli chiese. E Gesù rispose: ‘Questi: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso’. E il giovane a lui: ‘Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?’. Gesù gli disse: ‘Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi’.  Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni” (Mt 19:16-22).

La domanda del giovane non è banale, anzi è essenziale: “Come posso, cosa devo fare per ottenere la vita eterna?”. Quante filosofie e religioni sono sorte per tentare di dare una risposta soddisfacente a questo quesito e proiettare la speranza dell’uomo nel tempo, anzi nell’eternità. All’epoca di Cristo si credeva che Dio desse la vita eterna in cambio di un comportamento corretto, fatto di ubbidienza a una serie di leggi rituali, morali e magari anche igieniche. La fede di ognuno era misurata dal numero delle preghiere, dalla quantità di monete offerte al tempio e dalla scrupolosità nel seguire i riti stabiliti dalle autorità ecclesiastiche nei giorni di festa. La legge dei dieci comandamenti era, fra tutte le altre, la più considerata e rispettata, e con ragione. Infatti, le dieci parole, così erano chiamate, erano state scritte da Dio stesso su due tavole di pietra e Mosè le ricevette dopo la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto. Queste poche parole erano il fondamento di tutte le altre leggi. In esse si evidenzia il rispetto e l’amore verso Dio e verso l’essere umano.

Alcuni fra questi dieci comandamenti esistono anche nella nostra legislazione. Per esempio, “non uccidere”, “non rubare”, “non bestemmiare”, “non testimoniare il falso”.

Altri comandamenti riguardano soltanto il rapporto del credente con il proprio Dio. Per esempio, il primo comandamento che chiede di adorare l’unico Dio creatore; il secondo che proibisce il servire o di pregare davanti a delle immagini qualunque cosa o persona rappresentino; il quarto che ricorda di celebrare l’unico giorno sacro cioè il settimo giorno, il sabato, giorno del Signore.

Questi tre comandamenti distinguevano il popolo di Dio da ogni altra nazione. Adorare un solo Dio senza la mediazione di statue o immagini e celebrare il giorno di sabato in ricordo dell’evento straordinario della creazione. Israele era l’unica nazione che aveva questi principi che lo rendevano un popolo speciale, diverso, unico. Solo dalla pratica di questi tre comandamenti si poteva riconoscere un vero credente nel Dio vivente, nell’Eterno, come spesso era chiamato. Perciò questa ragione tali leggi erano considerate essenziali per avere accesso alla vita. Si capisce quindi il perché le persone fossero giudicate in base alla pratica di tali precetti.

Ma torniamo al giovane ricco che si avvicinò a Gesù e gli chiese come ottenere la vita eterna. Gesù gli rispose secondo i parametri dell’epoca. Giovane, cosa ti hanno insegnato? Osserva le dieci parole! Gesù non abolisce la legge antica. Gesù riconosce la validità dei principi morali antichi. Lui non li ha mai trasgrediti. Eppure il ricco non rimase soddisfatto dalla risposta di Gesù e incalzò: “Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?”. Si aspettava dal Maestro “buono” una risposta diversa dal solito. Praticava la religione secondo le tradizioni dei padri ma percepiva che gli mancava qualcosa che voleva conoscere. Gesù lo capì e gli rivelò il suo amore e il cammino per ottenere la vita: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi”.

Credo che Gesù volesse svegliare il giovane da una fede sconnessa dalla vita. Ancora oggi, per molti, la religione è un momento della giornata o della settimana da trascorrere in luoghi santi ripetendo le stesse cerimonie. Quando poi si esce dalle chiese o quando quel momento “sacro” termina, tutto ritorna come prima.

Credo che Gesù volesse insegnare al giovane una lezione importante che ancora oggi sarebbe bene imparare: la religione non è un vestito che si mette e si toglie secondo il luogo dove ci troviamo o secondo le persone con le quali parliamo. La fede deve tradursi nella pratica. Non è sufficiente dire di essere dei credenti e praticare i riti previsti dalla propria religione. Se io sono un credente devo vivere come tale non solo quando sono in chiesa, ma anche quando sono a casa con i miei figli, con mia moglie o con mio marito; al lavoro devo ricordarmi che sono un figlio di Dio e che sono circondato da altri figli di Dio. Non posso sfruttarli, maltrattarli, schiacciarli.

Gesù propose al giovane di vivere la sua fede non solo nel luogo di culto, nella chiesa, diremmo noi oggi. Gli chiese di uscire e di guardarsi intorno per scoprire che non era solo al mondo e che esistevano anche persone meno fortunate di lui. Gli chiese di usare le ricchezze che possedeva, e che erano un segno della benedizione di Dio, per alleviare le sofferenze di altri figli dello stesso Padre eterno.

L’episodio purtroppo si conclude tristemente: “Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni”.

Sei soddisfatto di come vivi la tua fede? Ti senti un vero credente o pensi che a volte ti comporti da perfetto ipocrita? Cioè fai il credente solo quando ti fa comodo… magari per farti vedere?

Gesù ti invita a seguire le sue leggi, i suoi principi, i suoi insegnamenti ma non in modo formale, non in modo superficiale. Gesù ti invita a vivere la tua fede ogni giorno in mezzo agli altri, con gli altri, ascoltandoli e rispondendo ai loro bisogni.

 

 

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